ARTICOLI E CHIACCHIERE COSE TRA NOI
 AGOSTO 2014

UOMO A MARE 3

In genere nel mese di agosto preferisco riposarmi o tuttalpiù scrivere qualcosa di riposante
ma, pur di non spezzare la continuità con i due articoli precedenti, ho deciso di darmi da fare anche questo mese.
 


Se vi state chiedendo come mai ho inserito questa foto così spensierata per un argomento così serio, continuate la lettura e lo scoprirete.

Son certo che ancora tanto si potrebbe scrivere sull' argomento dell' uomo a mare e, soprattutto, che ci sia ancora molto da sperimentare e da migliorare.
Ci eravamo lasciati sul come sia importante fermare la barca per recuperare il naufrago.
Ebbene, io ho provato a tenere ferma la mia barca col genoa arrotolato e con la randa a riva che fileggia e, pur con una brezzolina insignificante, essa (la barca, non la brezzolina) avanza lo stesso a circa mezzo nodo.
Mezzo nodo è quasi una sciocchezza per un campione di nuoto, ma può essere un dramma per il commercialista obeso che se ne è stato a mollo già da una decina di minuti; così come è un dramma per coloro che dalla barca lo devono tirar su.
Voglio scusarmi con tutti i dottori commercialisti obesi, ma li reputo senza dubbio persone così intelligenti da comprendere che la situazione non cambierebbe sostituendo a loro un ragazzino impaurito o un avvocato nervoso o una psicologa nubile o un ingegnere presuntuoso (tanto per non tener fuori la mia categoria).

(Mannaggia, mi sto imbrogliando sempre di più: non credo che in tale situazione una psicologa coniugata possa essere particolarmente avvantaggiata rispetto a una psicologa nubile, salvo il fatto che la presenza del marito potrebbe esserle di particolare conforto ……Meglio glissare e proseguire).

Quindi sono assolutamente certo che nella tempistica del recupero dell’ uomo a mare occorre mettere in conto anche di dover ammainare tutte le vele; per questo motivo - come già detto - avere a riva lo spinnaker è un guaio aggiuntivo.

So che numerosi manuali spendono un sacco di parole sulle manovre di avvicinamento al naufrago a seconda delle condizioni di vento e mare; alcuni li ho letti anch’ io.
Non sono mai riuscito però a dare credito o ragione a un metodo piuttosto che a un altro.
E’ che da sempre io credo nella pratica: il che vuol dire che, senza scrivere tante ricette, è molto più utile che ciascuno di noi con la propria barca faccia delle esercitazioni in proposito.

DIGRESSIONE, CHE MEGLIO SAREBBE CHIAMARE PARENTESI…
Nei manuali e nei “sacri testi” si trovano veramente diverse pagine e illustrazioni su come la barca deve avvicinarsi al naufrago; si parla di avvicinamento da prua o da poppa o di fianco a seconda delle condizioni meteo, si parla di formazione di remora sottovento alla barca, addirittura si parla di fiocco a collo…
Non esiste però manuale che meglio del proprietario della barca conosca come essa si muove nell’ acqua.
Solo chi la conduce può sapere come ben manovrarla (o perlomeno così dovrebbe essere); quindi costui dovrà esercitarsi a motore, con svariate condizioni meteo, ad arrivare con la poppa il più vicino possibile a un galleggiante e a farlo nel più breve tempo possibile.
Da sopravento, da sotto, a macchina vanti o indietro…insomma per ogni condizione di vento e mare lo skipper dovrebbe conoscere le capacità evolutive e la potenza del motore necessaria per eseguire questa manovra, sennò che skipper è ?
Esercitarsi e prendere confidenza col mezzo è sempre e comunque una cosa intelligente.
A tal proposito, se ora vi raccontassi quale prova pratica sostenni nel lontano 1982 per ottenere il rilascio della patente nautica vi verrebbe da ridere.
Nemmeno un presidente del consiglio quando afferma “Adesso ognuno deve assumersi le proprie responsabilità” risulta essere più comico !
Purtroppo sto parlando di cosa molto seria, infatti non ho mai capito (e non capirò mai) perché gli esaminatori ci fanno dannare se dimentichiamo i segnali da nebbia di una nave di lunghezza superiore a 100 m con difficoltà di manovra, mentre si guardano bene da verificare se siamo capaci di prendere un gavitello da prua e da poppa navigando a motore.
Poiché l’ argomento sta degenerando è meglio tornare al tema iniziale.
FINE DELLA PARENTESI CHE SAREBBE MEGLIO CHIAMARE DIGRESSIONE…

Dato quindi per assodato che lo skipper sia in grado di arrivare vicino al naufrago con la poppa della barca ben ferma, passiamo a vedere come issare a bordo lo sventurato.
Anche per la risalita a bordo del naufrago, ovviamente, c’è un bel ventaglio di casi possibili, ma fondamentalmente le cose cambiano nel caso in cui egli sia cosciente o incosciente.
Poppe apribili, scalette retrattili, cime…tutto va bene purché il naufrago riesca a risalire da solo o magari con un po’ di aiuto alla fine.
Sarebbe bene sottolineare che esistono alcune barche, e sono anche molto apprezzate, i cui progettisti sembra abbiano fatto di tutto per complicare la manovra di recupero.
Non voglio aprire polemiche o far nascere critiche, ma è sufficiente esaminare la parte poppiera della barca (prima di comperarla) per sincerarsene; vi sono molti progettisti illustri che pare non se ne siano mai preoccupati.
Trovo addirittura scandaloso che le normative e quindi le verifiche per il rilascio dell’ abilitazione alla navigazione di un natante o di una imbarcazione si preoccupino tanto della collocazione della bombola del gas ma non prevedano un disciplinare di progetto preciso in proposito.

L' UOMO A MARE E' COSCIENTE
Egli non vede l' ora di poter afferrare qualcosa di solido su cui arrampicarsi, ed è soltanto ADESSO che la poppa della barca è vicina al naufrago ed è FERMA che è il momento di gettare una cima galleggiante, ciò gli faciliterà l' approccio alla scaletta.
Arrampicarsi sulla scaletta non è comunque una cosa facile dopo che si è stati a mollo per un bel po' di tempo e magari anche al freddo: i crampi alle gambe possono manifestarsi molto presto e ne so qualcosa...
In questa fase i vestiti sono un bell’ impiccio perché il loro peso, una volta impregnati di acqua, non aiuta di certo: pantaloni e maglie di cotone bagnati equivalgono per un adulto circa ad avere uno zaino sulle spalle; togliere i pantaloni è già un’ ottima idea….infatti, guarda caso, le divise dei marinai in genere hanno l’ estremità dei pantaloni molto larga.
Benedetta la moda degli anni ’70, ve la ricordate ? Quella dei pantaloni “a zampa di elefante” !
Per curiosità mio cugino Felice, che ho citato il mese scorso, una volta volle provare a salire in barca senza l’ ausilio di alcun mezzo di risalita esclusi i propri arti.
Si arrampicò utilizzando come appigli il buco dello scarico del motore, quello della pompa di sentina, gli ombrinali lungo la falchetta in alluminio e la bitta di ormeggio di poppa.
Il mare era calmo e Felice pratica alpinismo; riuscì a risalire, ma con una grandissima fatica e grattandosi per bene la pancia sulla falchetta.
Ma se il naufrago è incosciente o non riesce né a recuperare la cima galleggiante né a risalire nemmeno con la scaletta ?

L' UOMO A MARE NON E' COSCIENTE
Sperando che comunque abbia indossata la cintura di salvataggio prima di cadere, e che quindi sia stato con la testa fuori dell’ acqua, occorre che un altro membro dell’ equipaggio scenda in acqua (magari indossando due cinture di salvataggio) e imbraghi il naufrago, dopodiché si può pensare di formare un picco con il boma e issarlo alando sulla drizza della randa.
Ma credo che questa sia una di quelle manovre facili da scrivere, ma quasi impossibili da realizzare: far "penzolare" un uomo lungo la murata di una imbarcazione da diporto anche solo con un live moto ondoso equivale a produrgli contusioni non indifferenti.
Forse sarebbe più facile sfruttare le caratteristiche del tender, se è presente: dal gommone si lavora meglio, il bordo libero è più basso, è morbido, si può operare fianco a fianco lavorando in due, ma è comunque una operazione molto difficile e presenta il rischio che il tender si rovesci sul più bello gattando a mare anche i componenti della squadra di soccorso...E poi risulta una operazione comunque difficile perché, ammesso di essere riusciti a imbarcare sul gommone il naufrago, poi lo si deve comunque portare in barca.
Io non ci ho mai provato e, se qualcuno di voi lo avesse fatto, sarebbe bene ci raccontasse come è andata; più si sa meglio è.

Ovviamente ho voluto comunque provare a tirare su una persona in queste condizioni chiedendo agli amici "frocieristi" di darmi una mano (per la definizione di "frocierista" che nulla a che a vedere con la sessualità, invito i lettori a leggere l' articolo di Agosto 2011).
Piero si è offerto di fare il naufrago svenuto, Chicco di tirarlo su insieme a me, Luciano di fotografare le scene, Marcellino di occuparsi di cime e parabordi.

Abbiamo agganciato il naufrago per la cintura di salvataggio col mezzo marinaio e, tenendolo a pancia all' insù, gli abbiamo fatto passare una cima di grosso diametro sotto la schiena e sotto le ascelle; abbiamo predisposto un parabordo sullo specchio di poppa così da farlo rotolare su di esso mentre lo issavamo, ma non ci siamo riusciti (il naufrago "incosciente" ci ha informato che stavamo per lussargli le spalle).

Abbiamo allora aperto la scaletta ponendovi sopra il parabordo e, senza l' aiuto di cime, l' abbiamo tirato su a pancia ll' ingiù agendo direttamente sulle sue braccia.

 

E' stato molto impegnativo, nonostante il mare fosse calmissimo e fossimo in due uomini a tirare e nonostante "Siddharta" sia dotato di una plancetta di poppa aperta: ciononostante quei 20 cm dal pelo dell' acqua all' inizio della plancetta hanno creato non poche difficoltà.

 

Ritengo che con un po' di onda oppure nel caso drammatico che a bordo fosse rimasta una moglie con un paio di figli giovani QUESTA MANOVRA SIA DEL TUTTO IMPOSSIBILE.

Concludo questa accozzaglia di cose serie frammista ad alcune sciocchezze (perché senz’ altro anche io ne avrò scritte), con una esperienza personale… finita bene.

Nel primo articolo che scrissi in questo sito (Febbraio 2006), citai brevemente un episodio che mi accadde realmente.
Di ritorno da una delle svariate edizioni della Barcolana cui ho preso parte (al proposito vi rimando all’ articolo del Maggio 2012, se non lo avete letto) insieme col buio arrivò una nebbia molto fitta: erano circa le ore 20 e navigavo davanti a Lignano, sempre in compagnia di mio cugino Felice.
Avevamo ancora circa tre ore e mezzo di navigazione per arrivare alla nostra darsena, ore che passammo nel buio più assoluto e anche nella mancanza di visibilità più assoluta.
La barca procedeva a motore a circa 5 nodi e mezzo, Felice stava al timone mentre io me ne stavo seduto a prua tra lo strallo e l’ albero: questa scelta fu presa perché in questo modo ritenevo di essere in grado di avvistare l’ eventuale fanale di via di qualche imbarcazione qualche attimo prima che non se fossi stato in pozzetto.
Ma sarei riuscito ad avvisare il timoniere di accostare subito in caso di pericolo di abbordo ?
E sarei riuscito a non cadere in acqua nel caso di abbordo ?
E se invece fosse caduto in acqua Felice, dopo quanto tempo me ne sarei accorto ?
E in entrambi i casi come avrebbe fatto chi di noi due fosse rimasto a bordo a recuperare l’ altro ?
Fischietti, trombette, grida… Mah !
Col sottofondo del diesel che borbotta nella nebbia e nel buio non sarebbe stato facile, anzi avrebbe potuto benissimo diventare un dramma.
Ci andò bene, perché non incontrammo alcuna barca (e vorrei ben vedere col nebbione che c’ era !) ma io non agii bene.
Come comandante avrei dovuto entrare a Lignano e passare la notte lì, sarebbe stato molto più saggio.
Oppure, saggezza per saggezza, avrei potuto chiedere alla Società Velica di Barcola Grignano e a tutta la città di Trieste di cambiare la data della Barcolana….

MORALE : NON CADETE MAI  IN ACQUA !
Le foto, scattate a Luka Telascica (HR), sono state pubblicate per gentile concessione dell' autore, l' incommensurabile 
Luciano Michielin

Al prossimo mese, in cui vi aspetto con una parentesi turistico-poetica.

 

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