ARTICOLI E CHIACCHIERE COSE TRA NOI
AGOSTO 2020

UNA COPERTA IN SPECK

Prima di inoltrarmi sulla filippica relativa al titolo (chiedo già perdono per il gioco di parole tra speck e teak suggerito da un mio amico frocierista), sento doveroso dare una importante indicazione nel momento in cui a qualcuno di voi capiti di andare a visitare una barca usata in vendita.
Dopo anni in cui mi dedico a periziare barche ho imparato un trucco formidabile per avere subito una indicazione sullo stato dell’ imbarcazione che vorrei valutare.
Sono sicuro che è una procedura di cui nessuno ha mai parlato: non è certo un trucco basato sulla visione esterna della barca, piuttosto si tratta di un metodo di indagine interna quasi istantaneo ma molto efficace.
Si tratta di questo: quando scendo la scaletta dal tambucio per entrare nella cabina (di solito l’ accesso è direttamente in dinette), arrivato coi piedi al pagliolato chiudo gli occhi e mi affido al fiuto annusando….

Sì, annuso l’ aria della cabina.
La situazione ideale è quella in cui non sento alcun odore: significa che non ci sono liquidi stazionanti da tempo in sentina, che le tubolature e le fascette dell’ alimentazione del motore sono integre, che il tubo e la valvola del gas sono in buone condizioni, che le fodere e i cuscini non hanno muffa, che gli strati di vetroresina sono stati abbondantemente arieggiati, che le dispensa e il frigo sono stati svuotati, insomma che l’ attuale proprietario non è uno sprovveduto e che ha cura della sua barca.
E’ il momento in cui vorrei essere un Cirano (vedi foto), dotato di abbondanti ghiandole odorifere per riuscire a carpire anche i più lievi aromi (o puzze) provenienti dai recessi dello scafo.
Poi effettivamente apro gli occhi e mi dedico all’esame di tante altre cose, sia dentro che fuori, ma il naso mi ha già dato grandi informazioni ed anzi mi ha già indicato dove e cosa andare a guardare.
“Detto questo”, come affermano i politici e gli opinionisti per televisione, veniamo alla coperta in speck….

Il teak è un legno che, come tutte le opere della natura, di per sé è una cosa meravigliosa.
In campo nautico quando si parla di teak si pensa immediatamente e correttamente al rivestimento della coperta.
In effetti quando l’ unico materiale per costruire le barche era il legno, qualcuno (non so chi) pensò di usare il teak per rivestire le parti della coperta dove ci si doveva muovere per manovrare (non certo per prendere il sole) ed escogitò l’ idea di usare dei listelli avvitati o incollati (doghe) intervallati tra loro da strisce di gomma (comenti).

PICCOLISSIMA DIGRESSIONE
Il termine “comenti” non sarebbe appropriato per una coperta in teak di oggi; il termine comento veniva impiegato per il calafataggio del fasciame degli scafi in legno al fine di assicurarne l’ impermeabilità. Oggi la gomma usata tra le doghe delle coperte in teak serve solo ad assicurare stabilità e capacità di dilatazione delle stesse, quindi con finalità molto diversa.
FINE DELLA PICCOLISSIMA DIGRESSIONE

Il motivo era chiaro: usare una superficie di legno (allora non c’ era altro materiale disponibile) che fosse anti sdrucciolo e il più possibile durevole nel tempo.
Poi i vari carpentieri trovarono modo di rendere il più geometrico possibile l’ andamento di doghe e comenti sì da “copiare” - nel senso di andare dietro - l’ andamento delle linee della coperta.
Bene.
Ciò avvenne quando l’ unico materiale per fabbricare le barche era il legno, appunto.
Oggi, anzi da un bel po’ di anni, le cose sono cambiate…generalmente le coperte sono fatte di vetroresina, tuttavia ancora ci sono (o sono richieste) barche in vetroresina rivestite in teak.
Ora so che qualcuno dirà: “Ovvio, una coperta in teak è così elegante!”
Questa opinione può essere vera a patto di accordarsi sul concetto di “eleganza” e su quanto sia effettivamente indispensabile o utile avere l’ eleganza in coperta per navigare.
In questi anni ho visto di tutto e ho provato di tutto, anche a mie spese, rendendomi conto che eleganza, funzionalità e durata alle volte sono concetti antitetici...
Il teak può essere massiccio o impiallacciato sul compensato marino sottostante: il costo è un po’ diverso (ovviamente a favore dell’ impiallacciato), ma in entrambi i casi il teak si consuma.
Il suo consumo è causato da diversi fattori.
Innanzitutto ci pensa il sole, con gli onnipresenti U.V..
Poi intervengono anche lo smog (o polveri più o meno sottili che si depositano tutto l’ anno) e i muschi (che hanno il loro massimo sviluppo a fine inverno).
Quindi ancora il sole, stavolta con gli Infrarossi (escursioni termiche) insieme col vento.
Insomma, analizzando in successione: gli U.V. disgregano lentamente la materia organica; lo smog e i muschi vanno tolti spazzolando nel senso delle fibre del legno con acqua dolce contribuendo manualmente ad asportare ancora materia; gli Infrarossi insieme al vento essiccano togliendo umidità…Il combinato di tutto ciò comporta la diminuzione dello spessore del teak e l’ affioramento dei comenti.
A questo punto la coperta, anche se pulita, diventa una serie di canaletti, col fondo fatto dalle doghe e gli arginelli fatti dai comenti.

La proprietà di essere antisdrucciolo si esalta fintantoché i comenti reggono, poi anche essi cedono all’ azione degli U.V. sfilacciandosi a tratti alterni e il concetto di eleganza lascia lo spazio a quello di una disarmante trasandatezza.
Non solo, ma fintantoché la coperta in teak è in buono stato la proprietà di essere antisdrucciolo praticamente non c’è o se c’è è veramente ben nascosta; insomma risulta di gran lunga meno sdrucciolevole una coperta in vetroresina con inserti ruvidi stampati o verniciati o incollati.

Oltre a questo i raggi Infrarossi, di per sé fatti per trasportare calore, innalzano la temperatura delle superfici: camminare a piedi nudi su una coperta in teak sotto il sole è impossibile.
La qual cosa sarebbe anche positiva, in quanto in barca bisogna sempre avere le scarpe indossate, tuttavia diventa molto negativa quando invece di camminare ci si sieda sopra (e questo - consentitemi - ritengo sia concesso farlo indossando anche solo il costume da bagno con le conseguenze che non sto qui a descrivere!)
Infine, particolare affatto non trascurabile, per putire il teak dallo smog e dai muschi occorrono tempo, olio di gomito e ginocchia buone…tre cose che a lungo andare e con l’ avanzare dell’ età diventano noiose e soprattutto molto scomode se non dolorose e impossibili.
Alla fine di tutto ciò ci si trova a dover rifare la coperta in teak in media ogni 12-15 anni, con un costo in cantiere di circa 1300,00 Euro /mq.
Di questi circa 1/4 vanno via per la manodopera di asportazione del rivestimento deteriorato e di preparazione del fondo, 1/2 per la manodopera di sagomatura, taglio e fissaggio del nuovo e 1/4 per il materiale.
Significa che il materiale (doghe e comenti) incide per circa 300 Euro/mq.

E se invece che rifare la coperta in teak la facessi in speck?
Risparmierei la metà per la manodopera di sagomatura, taglio e fissaggio e con 5 mm di speck a circa 55 Euro/mq (4 kg e mezzo a mq) sai quanti panini mi faccio?
Naturalmente sto scherzando.

Però mi chiedo con più serietà: se ho una barca di plastica chi me lo fa fare a tornare a usare il teak?
Unicamente perché avrei una coperta più “elegante”?
Se una barca nasce di plastica, sarebbe più opportuno avere una coperta di plastica: è bianca, non occorre spazzolarla, non scotta, non si essicca, si può fare antisdrucciolo come si vuole e infine dura nel tempo tanto, ma tanto di più.
O se proprio si vuole strafare ci si può incollare sopra un rivestimento adeguato sul quale il giudizio di eleganza potrà essere diverso, ma quello di tenuta e manutenzione sarà senz’ altro migliore.
Ed è quel che ho deciso di fare per il pozzetto della mia barca, nata in plastica ma con le sedute del pozzetto in teak.
Già fatte rifare 14 anni fa (con una spesa di Euro 1200,00), le sedute oggi sono da buttare.
La mia scelta è stata per il Treadmaster, rivestimento già abbondantemente sperimentato anche e soprattutto su barche professionali da lavoro; uniforme, eccellentemente antiscivolo, disponibile nelle tinte: ocra chiaro, grigio, ardesia, azzurro e sughero.
Non solo, ma sulla scorta dei diversi lavori manuali che ho imparato in tutti questi anni in barca (elettricista, idraulico, meccanico, falegname, resinatore), tutto il lavoro l’ ho fatto da me in compagnia dell’ immenso amico frocierista Nicola.
Ho potuto così “testare” le ore di manodopera richieste da un cantiere per fare lo stesso lavoro e darvi qualche suggerimento su come fare voi stessi nel caso voleste cimentarvi in tale avventura.
Il risultato è il seguente:
Materiali:
Treadmaster pannelli cm 90x120 n° 2 x 90,00 = Euro 180,00
sigillante Sicaflex o simili tubi da 33 ml n° 4 x 12,00 = Euro 48,00
materiale di consumo  = Euro 30,00
Manodopera asportazione, preparazione del fondo, sagomatura, taglio e fissaggio:
Sedute di poppa:  ore 5 x 2 persone = 10
Sedute laterali:  ore  6 x 2 persone = 12
A questo punto il confronto col cantiere non si deve basare tanto sul costo del materiale, ma su quello delle ore impiegate. Considerando che anche in cantiere ci si impieghi lo stesso numero di ore, e tenendo buona la ripartizione per il cantiere fatta più sopra tra importo per materiali e per manodopera, ne uscirebbe un costo orario di 1000 / 22 = 45 Euro/h.
Corretto?
Esoso?
Lascio il commento a voi.
Ora, con qualche foto e un breve filmatino, riassumo le operazioni che ho fatto insieme a Nicola.

 
Levigatura del sottofondo                                                                                Stesa impregnante (Paraloid - leggi oltre)

Direi che la cosa più lunga è stata la levigatura del sottofondo, la più impegnativa il taglio preciso del rivestimento ed anche la stesura del Sicaflex.
La levigatura l’ abbiamo eseguita con due levigatrici orbitali, una delle quali col piatto triangolare per raggiungere gli spigoli, e con dischi di carta vetrata da 60/80.
Naturalmente occorre avere a portata di mano anche un aspirapolvere.

LAVORI IN COPERTA

La precisione nel taglio dei pannelli di Treadmaster è l’operazione che più di ogni altra alla fine darà l’ effetto di un lavoro ben eseguito o di un disastro.
Per tale motivo consiglio vivamente di predisporre delle sagome in cartone, sagomate con precisione, con le quali poi tagliare il Treadmaster col cutter e un profilato rigido di guida.

  
Sagomatura delle sagome in cartone                                                                                    Taglio del Treadmaster

Particolare cura inoltre deve essere riservata alla posa del silicone sul contorno, che deve essere né troppo, né poco; piuttosto che sia poco è meglio sia troppo, in quanto una volta completata la polimerizzazione (insomma quando è diventato duro) si potranno tagliare le parti in eccesso col taglierino.
Io ho usato del silicone (Sicaflex) tinta legno, che mi è parso particolarmente indicato per la scelta che ho fatto del Treadmaster tinta sughero, quantomeno sulla parte perimetrale che alla fine resta a vista.


Applicazione del Sicaflex con spatola

Prima di posare il pannello, su indicazione di Nicola, abbiamo anche steso sul residuo del teak levigato una mano di acetone con diluito del Paraloid (resina acrilica); a detta di Nicola (che lavora e risana il legno) la resina aiuta a fissare il supporto di teak residuo sottostante.

 

Una volta posato il pannello di Treadmaster, va riservata molta cura nel togliere l’ eventuale aria in eccesso sottostante al fine di non creare delle bolle.
Si può usare un rullo o le mani o i piedi, ma attenzione a non toccare il bordo di Sicaflex ancora fresco sennò trasportate il Sicaflex fresco in giro per la coperta della vostra barca e fate un macello…
Nel caso malaugurato in cui di formasse una bolla, una volta asciutto il Sicaflex si può fare una incisione col cutter su un tassello del Treadmaster, infilarci una siringa di silicone (trasparente) e riempire la cavità, quindi pressare e pulire subito l’ eccedenza. Se la bolla non è grossa il metodo funziona e dell’ incisione praticamente non resta traccia.
Inoltre non riesco proprio a pensare di riuscire a fare questo lavoro da solo: sia il taglio prima, che la posa del rivestimento sul letto di silicone poi, richiedono quattro mani e non due.
Una ultima precauzione: occorre munirsi di molta carta assorbente; è facilissimo impiastricciarsi le mani di Sicaflex che macchia molto e le mani devono essere sempre pulite perché si appoggiano dappertutto.

 
Le sedute del timoniere prima e dopo

  
Il pozzetto finito: può piacere o no, ma la pulizia e la manutenzione 
si sono ridotti parecchio e i miei gomiti e le mie ginocchia ringraziano.

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