Ho letto questa notizia riportata da una rivista "del settore": nell’ articolo si diceva che i venti provenivano da nord-ovest soffiando sui 35 - 40 nodi e che l’ andatura era al lasco.
Non ho elementi per affermare che nell’ articolo si raccontassero un sacco di bugie anzi, viste le moderne tecnologie in grado di azzeccare la posizione e la velocità in mare con precisioni ormai molto spinte, credo che la notizia sia del tutto vera.
Significa che quella barca ha mantenuto una media di oltre 25 nodi per un giorno e una notte di seguito.
Oggi una barca a vela da competizione di 60 piedi che navighi alle andature portanti con vento forte può raggiungere queste velocità, naturalmente in regime di planata continua.
Planare in continuazione è tutt’ altro che facile, ma è possibile, pertanto la notizia potrebbe essere autentica.
Non è però mia intenzione scoprire qui se il fatto sia vero o no, perché la mia attenzione è rivolta ad altro argomento, a questo correlato.
Qualcuno di voi si ricorderà le notizie dei primi navigatori che hanno circumnavigato il globo a vela: si trattava degli anni ’60 – ’80 e i nomi erano quelli di Chichester, Moitessier, Fogar e tanti altri, per non parlare di Slocum che della navigazione oceanica in solitario è senza dubbio il precursore.
Ebbene, le barche all’ epoca raggiungevano le “incredibili” velocità di 8 nodi perché il regime di planata era allora considerato pericoloso: infatti nella navigazione con mare grosso in poppa venivano predisposte le cosiddette “ancore galleggianti”; fu Moitessier il primo a giudicare fattibile la navigazione”libera” con mare frangente da poppa, a patto però di esser pronti fronteggiare qualche capovolgimento con alberi in acqua, che puntualmente si verificava: la velocità della barca era minore di quella delle onde che arrivavano da poppa e la possibilità di "traversarsi alle onde" era praticamente in agguato ad ogni frangente.
Le medie giornaliere dell’ epoca erano di 200 miglia, in alcuni casi arrivavano eccezionalmente a 220 miglia, vale a dire a una velocità media di 9 nodi.
Non è certo sulla differenza di velocità media tra 25 e 9 nodi che voglio porre l’ accento: mi pare ovvio che dopo 40 anni di rischi, di prove e di ricerche le prestazioni della navigazione a vela siano progredite; ciò che mi colpisce non è il fatto che le medie giornaliere siano più che raddoppiate, quanto il fatto che la durata delle navigazioni sia più che dimezzata.
Un navigatore di 40 anni fa per fare il giro del mondo (cioè per percorrere 30 mila miglia) a bordo di una barca in grado di raggiungere una velocità massima di 8 nodi, alla media ragionevole di 6 nodi impiegava 5000 ore, cioè 7 mesi.
Oggi per effettuare il giro del mondo con una barca in grado di raggiungere una velocità massima di 25 nodi lo stesso navigatore, alla media ragionevole di 13 nodi, impiega poco più di 3 mesi.
Ecco, questo è il fatto che mi fa pensare.
Quale è il valore di una navigazione condotta per 7 mesi paragonato a quello di una navigazione che ne dura 3 ?
Da quante onde deve essere sballottato un navigatore che sta sugli oceani per 7 mesi in confronto con uno che ne sta 3 ?
La fatica, la programmazione, la solitudine, il freddo, le malattie, il caldo, l’ alimentazione, l’ organizzazione, la meteorologia stagionale, lo stato d’ animo sono gli stessi - o meglio - sono paragonabili tra loro ?
Se vogliamo il discorso può essere più ampio, andando a considerare l ‘impegno che doveva impiegare un contadino di 50 anni fa nel mietere a mano un campo di frumento paragonato con quello del suo collega d’ oggi seduto all’ interno di una mietitrebbiatrice.
Tornando alla navigazione, ha senso oggi considerare “bravo” uno che batte un nuovo record di velocità o a più senso considerare “bravo” uno che se ne è stato in mare per più tempo ?
Ovviamente non c’è risposta, forse proprio perché la “bravura” non si misura col tempo, però se proprio vogliamo misurare quanto uno sia bravo allora mi pare più appropriato considerare il lavoro di chi miete il campo di grano con la mietitrebbia solo dopo che egli abbia dimostrato che è in grado di farlo anche a mano.
Insomma, il concetto che sostengo è che l ‘impegno e la fatica a fare una certa attività sono frutto di una ben definita “cultura storica” (che può intendersi anche come sviluppo tecnologico) ed è proprio questa che ci permette di considerare e valutare e soprattutto rispettare l’ impegno degli altri.
Se questa memoria viene meno, credo diventiamo più inclini a bearci delle conquiste facendole nostre e a considerarci come persone più importanti di quello che siamo.
Non si tratta di un discorso astratto e la riprova è data dalla situazione in cui si vengono a trovare oggi numerosi armatori.
Detto ciò, mi vene spontaneo porre il seguente interrogativo: non è che dietro tutta questa ricerca tecnologica e questo rimbombare della grancassa mediatica, invece che esserci “il progresso” ci sta invece solo “l’ invito al consumismo” ?
O meglio, non è che i vari marchi di fabbrica che sponsorizzano a destra e a manca nuove “avventure sui mari” con la scusa di testare nuovi materiali e progetti altro non fanno invece che tentare di riempirci di falsi bisogni ?
Certo - si dirà - che un imprenditore quando sponsorizza deve avere il suo tornaconto che è il fatturato derivato dalla vendita di ciò che la sua azienda ha prodotto; quindi se l’ azienda produce winch in carbonio e sponsorizza una barca per fare il nuovo record del giro del mondo, alla fine deve vendere i suoi winch in carbonio, sennò che la sponsorizza a fare ?
Allora penso (e scusatemi) che gli scemi siamo noi.
Se è vero come è vero che Moitessier ha fatto una volta e mezza il giro del mondo con due pali telegrafici di legno come alberi, perché noi abbiamo bisogno dell’ albero in carbonio per attraversare l’ Adriatico ?
Siamo sicuri che le nostre ferie in Croazia “riescano meglio” o addirittura “non si possano fare” se non siamo proprietari di una barca fatta e accessoriata come vuole la pubblicità ?
Su questo punto mi riprometto di tornare e lo farò con il contributo di un importante e molto noto cantiere italiano.