ARTICOLI E CHIACCHIERE COSE TRA NOI  
APRILE 2010

L' argomento di questo mese è piuttosto nero, nel senso che questo è il colore delle fibre 
di carbonio e della grafite, non è però il colore del diamante che pure è fatto di carbonio.
Bizzarrie della Natura

.

 

Mi hanno detto che le carrozzerie delle auto di Formula 1 sono in fibra di carbonio; tutti noi però per andare al lavoro o in giro con la famiglia comperiamo auto le cui carrozzerie sono fatte di acciaio e plastica.
Ovvio, mica dobbiamo vincere un Gran Premio. !

   

Mi hanno detto che gli scafi delle barche da regata sono fatti in fibra di carbonio.
Allora perché molti di noi vogliono la barca in carbonio anche solo per andarci a spasso con la famiglia ? 

OPINIONI SULLE BARCHE IN FIBRA DI CARBONIO

Ultimamente, sulla scia mediatica della pubblicità e dei notiziari sportivi, sempre meno persone considerano la nautica come “il mondo dell’ andar per mare” e sempre più la considerano come “il mondo dell’ esibire”.
E’ come se avendo molta fame, invece di sedersi soddisfatti e gustarsi un abbondante piatto di pastasciutta, costoro preferissero discutere sulle filiere di provenienza delle ostriche o sulla zonizzazione DOC o DOP del Valpolicella, senza però toccar cibo.
Sì, ho proprio sempre di più questa impressione: tolti quei pochi che fanno regate per professione e che girano il mondo navigando veramente, la grande massa dei diportisti (ai quali aggiungo anche coloro che si dedicano alle regatine estive domenicali) assomiglia sempre di più ai frequentatori di boutique. Sempre più raramente parlano delle miglia che hanno percorso o della scarsa tenuta di un fondale dove hanno poggiato l’ ancora e sempre di più parlano della lavorazione post-cure, dei colori e dei pollici dello schermo del cartografico e dello stile minimalista del ripiano della toilette in carbonio.
Credo che Moitessier (che, lo ricordo, a bordo di Joshua ha fatto un giro del mondo e mezzo con due pali telegrafici per alberi) continui a rivoltarsi sempre di più nella sua tomba.
Poiché comunque è più produttivo affrontare argomenti meno polemici mi chiedo : i cosiddetti “naviganti dell’ esibire” hanno ragione a volere la barca in carbonio oppure stanno commettendo un errore ?
Vi invito tutti a dare una occhiata al seguente link dove troverete un interessante documento di Paolo Lavacchini, dopodiché, se ne avete voglia, tornate pure a leggere più sotto che vedremo insieme di fare qualche commento... stavolta piuttosto tecnico.
 

www.lsoft.it/polemiche/sandwich.htm

Non conosco Paolo Lavacchini ma ciò che ha scritto e il modo con cui lo ha fatto me lo fanno apparire come una persona decisamente simpatica e con la quale sento di avere molte affinità.
Io non ho più dubbi in proposito: la vetroresina è stata la più grande innovazione per la nautica da diporto da che questa esiste.
Hanno un bel dire i detrattori che la vetroresina soffre di osmosi, ma è anche vero che il legno marcisce, il ferro arrugginisce, l’ alluminio si dissalda e i vari compositi ?
Già, che fanno (o meglio che faranno) i vari compositi ?
Cosa succederà a una barca di carbonio tra una ventina di anni ?
Forse vale la pena di fare qualche commento all’ articolo di Paolo Lavacchini e vale anche la pena di dire che un paio di anni fa ho periziato un’ Alpa del 1970 (quarant’ anni) la cui vetroresina era perfetta.

Mi viene spontaneo iniziare considerando alcune grandezze relative al cosiddetto carbonio.
Il modulo di elasticità (che abbiamo già visto nell’ articolo di Settembre 2006, al quale vi rimando) ha un valore medio di 32000 Kg/mm2 per la sola fibra di carbonio,  mentre per una barra costituita da fibre di carbonio annegate in resina epossidica vale circa 13000 Kg/mm2,  mentre per la sola resina epossidica vale circa 2200 Kg/mm2 .
Già questi tre valori così lontani tra loro fanno capire come il composito possa avere caratteristiche molto diverse a seconda della “miscela” con la quale lo si produce ma questo discorso ha senso solo se lo si considera come un materiale omogeneo, studiandone le caratteristiche esterne senza preoccuparsi di ciò che avviene al suo interno.
Ma cosa succede tra resina e fibre ?
Questo non è un interrogativo da poco perché esso risponde anche alla domanda: “Quanto dura il composito?” che, per essere considerato tale, occorre sia analizzato nell' insieme dei due materiali.


Credo che certe esperienze sui materiali sia bene lasciarle fare ai "collaudatori" di professione.
A noi piace comunque vivere il mare anche solo andando a spasso.

Mi scuso se per deformazione professionale ogni tanto porto ad esempio il calcestruzzo armato, ma il parallelo tra il calcestruzzo armato da una parte e il composito dall’ altra lo trovo molto pertinente: il calcestruzzo sta alla resina come le armature di acciaio stanno alle fibre (di vetro, di kevlar o di altro materiale).
Tutto ciò è vero dal punto di vista della ripartizione degli sforzi (vale a dire che il calcestruzzo e la resina assorbono le compressioni mentre le armature e le fibre assorbono le trazioni) ma con una importantissima differenza…che tra un po’ vedremo insieme.
Mi spiego meglio con un esempio che dovrebbe anche permetterci di chiarire bene ciò che Paolo Lavacchini ha chiamato effetto pumping.
Occhio alla tabella, amici !

 

COMPOSITO DI CARBONIO

CALCESTRUZZO ARMATO

 

Fibra carbonio

Resina epossidica

Acciaio

Calcestruzzo

Coeff. Dilat. Term. x10 – 6         °C – 1

4.6

15

12

10

Modulo di elasticità Kg/mm2

32000

(valore medio)

2200

21000

3000

La precedente tabella riassume i valori dei coefficienti di dilatazione termica e dei moduli di elasticità dei materiali che vengono accoppiati nel composito e nel calcestruzzo armato: fibre di carbonio e resina epossidica da una parte, barre di acciaio e conglomerato cementizio dall’ altra.
Il coefficiente di dilatazione termica definisce di quanto si allunga (o si accorcia) un metro di quel materiale al variare della temperatura di 1 °C (in + o in -), il modulo di elasticità stabilisce quanta opposizione alla deformazione è in grado di produrre un materiale quando gli venga applicata una data forza.
Adesso vediamo cosa succede nel calcestruzzo armato e nel composito di carbonio sia quando c’è una sollecitazione da sopportare, sia quando c’è una escursione termica da assorbire.

SOLLECITAZIONE A TRAZIONE - CALCESTRUZZO ARMATO
L’ acciaio si allunga circa 7 volte di meno del calcestruzzo (21000/3000 fa circa 7) e quindi è lui che comanda la deformazione e il calcestruzzo non potrà fare a meno di adeguarvisi con molto sollievo (del calcestruzzo)…

SOLLECITAZIONE A TRAZIONE - COMPOSITO DI CARBONIO
La fibra di carbonio si allunga circa 15 volte di meno della resina epossidica (32000/2200 fa circa 15) e quindi anche in questo caso è la fibra che comanda la deformazione e la resina ci si adegua, sempre con molto sollievo (della resina)….

SOLLECITAZIONE A COMPRESSIONE - CALCESTRUZZO ARMATO
Avviene la stessa cosa al contrario (nel senso che i materiali si accorciano invece che allungarsi) però in questo caso le barre di acciaio non devono ingobbarsi, cioè flettere su se stesse (infatti nei pilastri degli edifici esse sono legate insieme dalle staffe); è più verosimile quindi pensare che lo sforzo di compressione sia assorbito da entrambi i materiali, secondo la ripartizione data dai loro differenti moduli di elasticità.

SOLLECITAZIONE A COMPRESSIONE - COMPOSITO DI CARBONIO
Qui le fibre non sono legate insieme dalle staffe, sono semplicemente annegate nella resina; si può pensare che si ingobbino ? Sì, avete mai provato a comprimere uno spago ? 
Quindi dovremmo affidare questa sollecitazione solo alla resina; ciò si può evitare se invece di annegare alla resina delle sole fibre longitudinali si annega un tessuto di fibre (per esempio la stuoia di fibra di vetro); in questo caso si può pensare che la sezione reagisca come un pilastro di calcestruzzo e che quindi  ancora una volta lo sforzo di compressione sia assorbito da entrambi i materiali, secondo la ripartizione data dai loro differenti moduli di elasticità.

VARIAZIONE DI TEMPERATURA - CALCESTRUZZO ARMATO
Poiché i coefficienti di dilatazione termica sono molto simili (12 x 10– 6 contro 10 x 10
– 6 ) significa che con un salto della temperatura di 50 °C (tra estate e inverno, per esempio) una barra di 1 metro di acciaio si dilata di 6 x 10– 4 m (cioè di 6 decimi di millimetro) mentre 1 metro di calcestruzzo si dilata di 5 x 10 –4 m (cioè di 5 decimi di millimetro)....la differenza di 1 decimo di millimetro su 1 metro è talmente piccola che l' aderenza tra barre di acciaio e calcestruzzo non viene praticamente intaccata.

VARIAZIONE DI TEMPERATURA - COMPOSITO DI CARBONIO
Qui i coefficienti di dilatazione termica sono ben diversi (4.6 x 10– 6 contro 15 x 10– 6).
Significa che, con lo stesso salto della temperatura di 50 °C, 1 metro di fibra di carbonio si dilata di 2,3 x 10– 4
m (cioè di 2,3 decimi di millimetro) mentre 1 metro di resina si dilata di 7,5 x 10– 4m (cioè di 7,5 decimi di millimetro) con una differenza di oltre 5,2 decimi di millimetro su 1 metro....insomma se lo scafo di una barca è lungo 10 metri la differenza di lunghezza totale (attenzione !) tra fibra e resina sarebbe di  52 decimi di millimetro, cioè di 5,2 millimetri di lunghezza.
Dico sarebbe, perchè questa è la tendenza dei due materiali se non fossero attaccati insieme.
Vi sembra poco ?
Allora facciamo due conti (basati sulla relazione
s = E x e per i più esigenti) : su uno scafo di 10 metri un allungamento della resina di 5,2 mm provoca nelle fibre di carbonio una tensione di 16,6 Kg/mmq, cioè di 1660 Kg/cmq (siamo allo stesso livello della tensione di snervamento di una putrella di acciaio).
Come si comporterà l’ aderenza tra fibre e resina in questo caso ? Sarà ancora tale ?
Non lo so.
Non mi risulta siano state fatte esperienze sulle tensioni di aderenza tra la resina epossidica e la fibra di carbonio, mentre lo sono state fatte tra calcestruzzo e barre di acciaio.
Quello che so per certo è che la resina tenderà a “tirare” sulle fibre di carbonio perchè deve dilatarsi molto di più, ma l’ elevato modulo di elasticità delle fibre non lo consentirà: la soluzione più immediata per il composito è che esso non lo sia più, cioè che avvenga lo “scollamento”, cioè la sparizione della aderenza tra fibre e resina.
Poco male se questo succede sotto il sole d’ estate a 40°C, ma quando tornerà l’ inverno a – 10°C ?
Allora la resina si restringerà, ma senza più l’ aderenza con le fibre nel tratto dove c’è stato lo “scollamento”.....probabilmente si formeranno delle microfessure tra i due componenti del composito.
E quando tornerà l’ estate, e poi l’ inverno, e poi l’ estate?
Si creerà l’ effetto pumping.
Questo voleva dire Paolo Lavacchini.
Possiamo obiettare che l’ escursione termica stagionale per le barche da diporto è molto progressiva e non certo immediata come quella cui è sottoposto un aereo, che in pochi minuti può passare da + 40 °C a – 20 °C; possiamo anche obiettare che al livello del mare è anche difficile che avvenga una differenza di 50 °C (non sempre al mare d’ inverno si raggiungono i -10°C).
E’ pur vero però che d’ estate la superficie di uno scafo dipinto di blu supera agevolmente i 40°C di temperatura.


E' dura, caspita se è dura !  La dilatazione termica esiste e da sempre ha creato un sacco di problemi.

Ora che ho quasi finito di tormentarvi con tutti questi calcoletti, vorrei mettere una pulce nell’ orecchio a qualcuno…e lo faccio ponendo questa domanda: è possibile che per la vetroresina l’ osmosi sia una conseguenza dell’ effetto pumping ?
Insomma, se le microfessure si formassero anche nel composito chiamato vetroresina, potrebbero portare umidità dentro agli strati ?
E allora potrebbe succedere che l’ osmosi (magari ribattezzata carbosmosi) attaccasse anche i compositi con fibre di carbonio ?
Non ho elementi per dire sì, ma non ne ho nemmeno per dire no.
Ciò che posso aggiungere è che il coefficiente di dilatazione termica del vetro è circa 6 x 10 – 6 (un po’ più grande di quello delle fibre di carbonio ma comunque ancora più piccolo di quello della resina) e che quindi l’ effetto pumping è possibile anche nella vetroresina ma in misura minore rispetto al composito di carbonio (circa il 15 % in meno:  15 – 6 = 9 contro 15 – 4,6  = 10,4  vale a dire -15% ).
Quindi guardando i numeri verrebbe da concludere che se l’ osmosi può essere causata anche dall’ effetto pumping, il composito di carbonio ne dovrebbe soffrire in maggior misura rispetto alla comune vetroresina
A nostra parziale consolazione gioca il fatto che in entrambi i casi l' opera viva se ne sta a bagno nell' acqua, ove l' escursione termica tra estate e inverno è molto più moderata rispetto all' opera morta.

Io non credo ai politici nella stessa misura in cui invece credo ai numeri e, non facendo parte della schiera dei professionisti della vela che fanno regate ad altissimo livello, NON comprerò mai una barca in carbonio; permettemi anzi di elogiare la vetroresina per andare a spasso sul mare, anche se qualcuno non sarà d’ accordo e dirà senz’ altro che io sono un imbecille.

Del resto siamo in tanti ad essere imbecilli.

Tornando a quanto detto all’ inizio sulle filiere di provenienza delle ostriche, mentre me ne sto a sorseggiare un drink con gli amici in un esclusivo bar di Porto Cervo (è ovvio che il bar è esclusivo, non può essere che così) posso sempre dire che “la mia barca ha lo scafo di PRFV” invece che “la mia barca ha lo scafo di vetroresina”.
Zio Pino si girerebbe dall’ altra parte (perchè a Porto Cervo non ci sarebbe proprio andato) ma qualche amico seduto a quello stesso tavolino potrebbe invece restare impressionato e pensare a qualche nuovo materiale di moda che l’ industria chimica ha appena creato...Hai visto mai ?

Porto Cervo : vetroresina e mattoni.

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