ARTICOLI E CHIACCHIERE COSE TRA NOI
DICEMBRE 2015

COME OGNI ANNO ARRIVA IL NATALE, PERIODO IN CUI CI SI DOVREBBE SENTIRE TUTTI PIU' BUONI E GENEROSI.
PER QUESTO MOTIVO  ( ED ANCHE PER CERCARE DI TENERE IL LETTORE SU DI MORALE)  PROPONGO LE SEGUENTI NOTE
SEMI-SERIE CHE HANNO PER TEMA
 

IL COMANDANTE 
DELL’ UNITA’ DA DIPORTO

Noto, rileggendo ciò che scrivo, che da un annetto a questa parte sto insistendo un po’ sulla figura del comandante dell’ unità da diporto.
Ne ho parlato nel novembre 2014 e nel marzo e nell’ agosto di quest’ anno, ma di fatto in quasi tutti gli articoli ne faccio direttamente o indirettamente menzione, forse perché la figura di colui che comanda a bordo è indubbiamente affascinante.
Lo è anche e soprattutto per le unità da diporto, dove la persona che incarna il comandante non lo fa mai per mestiere ma per adattamento, essendo il più delle volte un commercialista, un commerciante, un impiegato di banca, uno psicologo, un medico o talvolta anche un ingegnere….
Mi pare doveroso all’ uopo riproporre la definizione che scrissi nel novembre 2014: comandare significa “rappresentare il simbolo della massima fiducia a bordo”, essere cioè in grado di dire l‘ ultima parola quando si tratti di prendere una qualsiasi decisione nella consapevolezza che tutto il resto dell’ equipaggio riconosca tale prerogativa solo in quella persona.
Non è facile per le categorie professionali sopra citate plasmarsi addosso questa camaleontica trasformazione (che in genere dura d’ estate per una quindicina di giorni) per poi ripeterla l’ anno successivo, sempreché l’ esperienza sia stata positiva l’ anno precedente.
Trovo pertanto moralmente indispensabile in queste pagine illustrare le prerogative che ritengo assolutamente essenziali per poter svolgere tale compito con sicurezza e disinvoltura.
Sono certo che il lettore saprà apprezzare questo sforzo e ne trarrà un indubbio vantaggio, che si ripercuoterà senz’ altro in una stima sempre più ampia da parte delle persone ospitate sulla sua barca.

Narrano le leggende dell’ Arcipelago Toscano che Giorgio Giorgino, comandante dell’ unità “LibertéEgalitéFraternité” (che lui chiamava amichevolmente LEF), partisse un giorno da Stagnino con un bel po’ di ospiti a bordo per una breve crociera tra le isole dell’ arcipelago.
Il tempo era bello e stabile, gli Uffici Marittimi della zona erano al corrente della rotta che intendeva seguire (infatti egli l’ aveva seguita numerose altre volte e nessun Ufficio al controllo radar aveva mai sollevato alcuna obiezione) e quindi mollò gli ormeggi pensando di dedicarsi alla conoscenza il più approfondita possibile di una ospite, lasciando la condotta dell’ imbarcazione a un altro ospite (patentato e fratello della signorina di cui sopra) che gli ispirava fiducia.

(Il lettore attento potrebbe considerare tutte queste prime vicende della leggenda come degli errori da parte del protagonista, ma non fu così).
Avvenne che, sempre seguendo la rotta indicata come da ordini superiori ricevuti e condivisi da tutti, LEF strisciasse la pancia su di uno scoglio e cominciasse ad affondare con decisione.
Giorgio Giorgino, la signorina e il di lei fratello, presi da un encomiabile senso del dovere frammisto a una certa dose di spirito di sopravvivenza che nelle leggende ci sta sempre bene, abbandonarono subito l’ unità non prima di averla fatta prudentemente arenare vicino alla riva dell’ Isola del Papavero.
Degli altri ospiti ci fu chi si salvò e chi ci rimase secco (un po’ umido tuttavia, restando imprigionato nelle cabine), tutti comunque - al momento - furono assolutamente convinti della leggendaria esperienza del comandante.
Fatalmente però nella sciagura ci fu chi dimostrò uno scarsissimo buon senso: fu un ufficiale marittimo di terra che comunicò via radio al Giorgino tutto il suo malumore perché secondo lui il Giorgino non si era comportato come un comandante avrebbe dovuto fare e si permise addirittura di dargli alcuni cortesi suggerimenti in merito a come usare la biscaglina per risalire a bordo; fu una mossa avventata e sbagliata, infatti quell’ ufficiale marittimo di terra fu immediatamente trasferito dai poteri istituzionali dello Stato e di lui si persero le tracce.
Così come si persero le tracce dell’ ospite patentato che aveva bene o male portato LEF a baciare gli scogli; di lui si seppe in effetti in quale paese aveva trovato rifugio, ma sorte volle che con quel paese non esisteva alcun accordo di estradizione.
Chi restò impavido al suo posto fu Giorgio Giorgino, nel senso che pensò bene di starsene tranquillo a casa sua e quindi di pubblicare un libro di avventure e di ricordi magnificando il suo impeccabile operato….E fece bene!
Molti infatti negli anni a seguire acquistarono “Il miei giorni intorno all’ arcipelago” e in quelle pagine trovarono e trovano ispirazione per i loro sogni di futuri comandanti di bastimenti.
A parte l’ ufficiale marittimo di terra (che molti ma molti anni dopo ricomparse invecchiato e smarrito accanto ad una fotocopiatrice di un ufficietto in riva al lago di Como) e i parenti dei caduti (che riunitisi fondarono un comitato naturalmente del tutto inascoltato dai poteri dello Stato), vissero tutti felici e contenti. 
Anche Giorgino, che venne ospitato per qualche anno in un istituto a spese dello Stato.

Bene, caro lettore, questa leggenda fa comprendere come un buon comandante debba prima di tutto saper badare a se stesso, nel senso che deve godere di una incrollabile fiducia nelle proprie possibilità e nel proprio operato, e inoltre che deve essere in grado di avere intorno a sé degli amici che lo sappiano proteggere dalle avversità e dagli imprevisti che l’ amministrazione della giustizia può produrre.
Ispirate pertanto a questa bellissima leggenda del nostro mare Tirreno, eccovi le mie modeste indicazioni assolutamente riservate agli aspiranti comandanti delle unità da diporto.

Credo sia molto, molto difficile che una coppia di ospiti a bordo decida di sposarsi proprio nei giorni in cui si svolge la crociera e che si trovi in situazione tale da non poter fare altrimenti; pertanto tra i compiti del comandante di una unità da diporto escluderei quello di celebrar matrimoni.
Quindi consiglierei di lasciar perdere sia la conoscenza della legislazione inerente la comunione o la separazione dei beni, sia quella relativa ai Patti Lateranensi.
Considero invece molto importante che il comandante sia in grado di curare una ferita o sapere come comportarsi in caso di svenimento di un membro dell’ equipaggio.
Mentre infatti nelle navi vi può (o vi deve) essere un medico di bordo, nelle barche da diporto la sua presenza spesso è un puro caso fortuito.
Pare infatti che i crocieristi non amino sposarsi a bordo, ma siano invece molto interessati a farsi del male soprattutto alla testa e alle dita di mani e piedi.
Il crocierista non sposato infatti partecipa all’ avventura nella speranza di dimenticare l’ amore finito oppure di incontrarne uno nuovo, ma il più delle volte non a scopo matrimoniale.
Il crocierista sposato invece lo è già e non ha bisogno di diventare bigamo in così breve tempo, oppure non ha alcuna intenzione di praticare la bigamìa infatti si porta dietro la moglie (o il marito).
Entrambi però, già sposati e non, amano praticare podismo in coperta a piedi scalzi.
Si intrattengono inoltre ad accarezzare le scotte mentre esse vengono stritolate dai winch, si inebriano d’ immenso nel fissare le vele e il riverbero del sole senza lenti protettive, amano crogiolare la pelle delle spalle e delle ginocchia senza creme solari e, dulcis in fundo, trovano una grande soddisfazione nel sollevarsi in piedi improvvisamente dalla seduta del pozzetto di sottovento capocciando sul boma.
Il comandante dell’ unità da diporto pertanto deve possedere una discreta cultura intorno a contusioni, strappi muscolari, ferite da taglio al cuoio capelluto, scottature e colliri.
Anche una certa dose di manualità chirurgica non è da disprezzare, perché a bordo c’è sempre qualche sciagurato che propone (e soprattutto attua) la pratica dello sport della pesca.
Pare impossibile ma, istantaneamente, quell’ improvviso entusiasmo contagia anche gli ami da pesca che fino a quel momento erano stati a riposare avvolti in un velo di ruggine nella borsa in fondo al gavone del pozzetto, ed improvvisamente essi si dedicano al loro lavoro con profonda coscienziosità, conficcandosi nei polpastrelli delle dita dei pescatori e talvolta anche in qualche natica.

Altro compito essenziale del comandante dell’ unità da diporto è l’ allenamento fisico alla scaletta.
La scaletta è quell’ aggeggio che permette dalla plancia (per le unità a vela pozzetto) di scendere sottocoperta: si tratta di un aggeggio di pochi gradini, distanti tra loro e in perpetuo movimento oscillatorio.
Un comandante di un equipaggio di 4 - 6 persone deve essere in grado di percorrerla nei due sensi almeno una trentina di volte al giorno, spesso intuendo il movimento del gradino più in basso perché impossibilitato a vederlo.
Ciò avviene molto più spesso di quanto si possa credere, principalmente in un paio di occasioni: quando fa molto caldo o quando il vento rinfresca.
Quando fa molto caldo infatti l’ equipaggio chiede inevitabilmente da bere.
Quando il vento rinfresca inevitabilmente l’ equipaggio ha freddo.
Diabolicamente però sia le richieste di una bibita fresca sia quelle di una giacca a vento non avvengono tutte insieme, ma una alla volta, sicché il piacere del comandante a percorrere e ripercorrere la scaletta si prolunga sempre assai.
Ovviamente le operazioni relative alla ricerca nel frigorifero della bottiglia di birra giusta o nell’ armadietto della felpa azzurra giusta potrebbero essere svolte da un qualsiasi altro membro dell’ equipaggio, ma a nessuno piace calarsi nei meandri dello scafo mentre questo rolla o beccheggia.
Il comandante invece prova un vivo entusiasmo a tuffarsi a faccia in giù dentro un gavone alla ricerca dell’ indumento richiesto (e che sia proprio quell’ indumento), mentre viene sballottato in ogni direzione poi, intuendo che l’ indumento giusto non sarà quello da lui trovato, dovrà stazionare a metà scaletta reggendo in mano tre felpe e due giacche - tutte invariabilmente azzurre - attendendo il responso e la scelta.

Nelle navi nessun passeggero biasima il comandante se il tempo è brutto; la colpa è sempre di quelli del servizio meteorologico, ma tale malcontento dura poco perché la nave beccheggia poco e soprattutto naviga velocemente così, dopo poche ore o tuttalpiù il giorno dopo, entrerà in una zona di tempo splendido.
Nelle imbarcazioni da diporto invece (soprattutto quelle a vela che viaggiano a 5 nodi invece che a 35) le distanze percorribili in un giorno sono un’ inezia e la perturbazione atmosferica può sostarvi tranquillamente per più giorni, oppure può costringere l’ equipaggio a navigare ballando samba e fox-trot sotto l’ acqua per molte, molte ore.
In questi casi la colpa viene sempre attribuita al comandante che non ha saputo amministrare le tappe o organizzare il passaggio delle nuvole in modo conveniente.
Uno dei compiti principali infatti del comandante dell’ unità da diporto è la programmazione istantanea degli eventi atmosferici: egli deve essere in grado di gestire irraggiamento solare, nuvolosità, temperatura dell’ aria e soprattutto dell’ acqua e naturalmente intensità e direzione del vento, in modo tale da non lasciare la possibilità a tali fenomeni di prendere iniziative autonome.
E’ inammissibile che un comandante permetta che il sole non appaia la mattina presto, così come è inammissibile che si alzi il vento quando l’ equipaggio ha finito di fare il bagno.
La mattina deve sempre essere limpida e soleggiata così che la temperatura dell’ aria si alzi presto; la brezza deve levarsi dopo colazione (ogni barca ha un orario diverso, ma non importa) e spirare dalla direzione giusta senza sollevare mare (ogni barca tiene una rotta diversa, ma non importa) fino ad ora di pranzo; quindi deve quietarsi; questo è il momento in cui per una mezz’ ora il cielo deve coprirsi di una coltre di nuvole per poter pranzare fuori ma senza sudare o scottarsi; poi il sole deve uscire nuovamente per scaldare ben bene l’ acqua e permettere il bagno pomeridiano; guai se il vento si alza nel momento in cui vengono aperti gli asciugamani quando l’ equipaggio torna a bordo gocciolante; dopo un’ altra ora di asciugatura e riscaldamento, la brezza può riprendere vigore per potere navigare con soddisfazione fino a sera; quindi tutto deve calmarsi e il sole deve tuffarsi nell’ orizzonte con sfumature incredibilmente elaborate, meglio se coadiuvato da qualche nuvoletta innocente.

Orbene, se come aspirante comandante di un’ unità da diporto il lettore ritenesse di non essere in grado di curare una ferita da taglio, di non riuscire a trovare una felpa in fondo al gavone di estrema prua della barca, di stancarsi già al quindicesimo sali-scendi della scaletta, di non saper comandare a sole nuvole e vento, è meglio che lasci perdere…questa carica non fa per lui.
Se conosce tre lingue, sa rimettere il buonumore tra chi è irascibile, sa fare il punto anche senza gps, conosce a menadito la manovrabilità e le prestazioni della sua barca, sa starsene sveglio una notte senza fare una grinza, sopporta bene la fame e il freddo, ha una enorme pazienza con la burocrazia doganale, sa riconoscere sulla costa un campanile dall’ altro, sa distinguere e riconoscere le luci in mare e sulla riva, sa far da mangiare bene, sa fare l’ idraulico, sa fare l’ elettricista, sa fare il meccanico, sa di elettronica (questo è assolutamente impossibile per definizione), tutto ciò non importa un accidente !
Se sa fare queste cose al massimo potrà diventare il comandante di una nave, non certo di una unità da diporto.

Se proprio ci tiene, pare che il relitto della “LibertéEgalitéFraternité” sia stato gratuitamente (?) rimesso in sesto e pare che abbia bisogno di un nuovo comandante.
Anticipo a tale aspirante che LEF verrà ribattezzata col nome di “LibertéEgalitéFraternitéSureté” perché verrà marcata CE, così (forse) potrà andare a scogli senza affondare più...

Concludo queste "chiacchiere semi-serie" con un immagine seria.
Lo so che sono stato un po' megalomane a riproporre la mia faccia così tante volte in questa pagina, ma ritengo che l' auto-ironia sia necessaria:
ciascuno di voi, cari amici naviganti per diporto, si potrà mettere nei miei panni e potrà vivere personalmente tutto quanto ho cercato di descrivere più sopra.
Di anno in anno, di stagione in stagione, credo avrà modo di comprendere che tutto ciò che ho descritto non ha la benchè minima traccia di umorismo o di esagerazione,
ma diventerà invece la sua personale raccolta di fatti e di esperienze realmente vissute.

Vi giunga il mio più sincero augurio di passare delle feste serene, che si avvererà solo se perdonerete,
se vi perdonerete e se poi vi donerete agli altri.
Lo so che non è uno scherzo ma proviamoci, sennò che ci stiamo a fare qui ? 
Ad accumulare denaro ?   A far dannare chi ci sta vicino ?   A dannarci noi stessi ?    Auguri M.
  









TORNA A ARTICOLI E CHIACCHIERE