IL COMANDANTE
DELL’ UNITA’ DA DIPORTO
Noto,
rileggendo ciò che scrivo, che da un annetto a questa parte sto insistendo un
po’ sulla figura del comandante dell’ unità da diporto.
Ne
ho parlato nel novembre 2014 e nel marzo e nell’ agosto di quest’ anno, ma di
fatto in quasi tutti gli articoli ne faccio direttamente o indirettamente
menzione, forse perché la figura di colui che comanda a bordo è indubbiamente
affascinante.
Lo
è anche e soprattutto per le unità da diporto, dove la persona che incarna il
comandante non lo fa mai per mestiere ma per adattamento, essendo il più delle
volte un commercialista, un commerciante, un impiegato di banca, uno psicologo,
un medico o talvolta anche un ingegnere….
Mi
pare doveroso all’ uopo riproporre la definizione che scrissi nel novembre
2014: comandare significa “rappresentare il simbolo della massima fiducia a
bordo”, essere cioè in grado di dire l‘ ultima parola quando si tratti di
prendere una qualsiasi decisione nella consapevolezza che tutto il resto dell’
equipaggio riconosca tale prerogativa solo in quella persona.
Non
è facile per le categorie professionali sopra citate plasmarsi addosso questa
camaleontica trasformazione (che in genere dura d’ estate per una quindicina di
giorni) per poi ripeterla l’ anno successivo, sempreché l’ esperienza sia stata
positiva l’ anno precedente.
Trovo
pertanto moralmente indispensabile in queste pagine illustrare le prerogative
che ritengo assolutamente essenziali per poter svolgere tale compito con
sicurezza e disinvoltura.
Sono
certo che il lettore saprà apprezzare questo sforzo e ne trarrà un indubbio
vantaggio, che si ripercuoterà senz’ altro in una stima sempre più ampia da
parte delle persone ospitate sulla sua barca.
Narrano le leggende dell’ Arcipelago Toscano che Giorgio
Giorgino, comandante dell’ unità “LibertéEgalitéFraternité” (che lui chiamava
amichevolmente LEF), partisse un giorno da Stagnino con un bel po’ di ospiti a
bordo per una breve crociera tra le isole dell’ arcipelago.
Il tempo era bello e stabile, gli Uffici Marittimi
della zona erano al corrente della rotta che intendeva seguire (infatti egli l’
aveva seguita numerose altre volte e nessun Ufficio al controllo radar aveva mai sollevato alcuna obiezione)
e quindi mollò gli ormeggi pensando di dedicarsi alla conoscenza il più approfondita
possibile di una ospite, lasciando la condotta dell’ imbarcazione a un altro
ospite (patentato e fratello della signorina di cui sopra) che gli ispirava
fiducia.
(Il
lettore attento potrebbe considerare tutte queste prime vicende della leggenda come
degli errori da parte del protagonista, ma non fu così).
Avvenne che, sempre seguendo la rotta indicata come
da ordini superiori ricevuti e condivisi da tutti, LEF strisciasse la pancia su
di uno scoglio e cominciasse ad affondare con decisione.
Giorgio Giorgino, la signorina e il di lei fratello,
presi da un encomiabile senso del dovere frammisto a una certa dose di spirito
di sopravvivenza che nelle leggende ci sta sempre bene, abbandonarono subito l’
unità non prima di averla fatta prudentemente arenare vicino alla riva dell’
Isola del Papavero.
Degli altri ospiti ci fu chi si salvò e chi ci
rimase secco (un po’ umido tuttavia, restando imprigionato nelle cabine), tutti
comunque - al momento - furono assolutamente convinti della leggendaria
esperienza del comandante.
Fatalmente però nella sciagura ci fu chi dimostrò
uno scarsissimo buon senso: fu un ufficiale marittimo di terra che comunicò via
radio al Giorgino tutto il suo malumore perché secondo lui il Giorgino non si
era comportato come un comandante avrebbe dovuto fare e si permise addirittura di
dargli alcuni cortesi suggerimenti in merito a come usare la biscaglina per
risalire a bordo; fu una mossa avventata e sbagliata, infatti quell’ ufficiale
marittimo di terra fu immediatamente trasferito dai poteri istituzionali dello
Stato e di lui si persero le tracce.
Così come si persero le tracce dell’ ospite
patentato che aveva bene o male portato LEF a baciare gli scogli; di lui si
seppe in effetti in quale paese aveva trovato rifugio, ma sorte volle che con
quel paese non esisteva alcun accordo di estradizione.
Chi restò impavido al suo posto fu Giorgio Giorgino,
nel senso che pensò bene di starsene tranquillo a casa sua e quindi di pubblicare
un libro di avventure e di ricordi magnificando il suo impeccabile operato….E
fece bene!
Molti infatti negli anni a seguire acquistarono “Il
miei giorni intorno all’ arcipelago” e in quelle pagine trovarono e trovano ispirazione
per i loro sogni di futuri comandanti di bastimenti.
A parte l’ ufficiale marittimo di terra (che molti
ma molti anni dopo ricomparse invecchiato e smarrito accanto ad una
fotocopiatrice di un ufficietto in riva al lago di Como) e i parenti dei caduti
(che riunitisi fondarono un comitato naturalmente del tutto inascoltato dai
poteri dello Stato), vissero tutti felici e contenti.
Anche Giorgino, che venne
ospitato per qualche anno in un istituto a spese dello Stato.
Bene,
caro lettore, questa leggenda fa comprendere come un buon comandante debba
prima di tutto saper badare a se stesso, nel senso che deve godere di una
incrollabile fiducia nelle proprie possibilità e nel proprio operato, e inoltre
che deve essere in grado di avere intorno a sé degli amici che lo sappiano
proteggere dalle avversità e dagli imprevisti che l’ amministrazione della
giustizia può produrre.
Ispirate
pertanto a questa bellissima leggenda del nostro mare Tirreno, eccovi le mie
modeste indicazioni assolutamente riservate agli aspiranti comandanti delle
unità da diporto.
Credo
sia molto, molto difficile che una coppia di ospiti a bordo decida di sposarsi
proprio nei giorni in cui si svolge la crociera e che si trovi in situazione
tale da non poter fare altrimenti; pertanto tra i compiti del comandante di una
unità da diporto escluderei quello di celebrar matrimoni.
Quindi
consiglierei di lasciar perdere sia la conoscenza della legislazione inerente
la comunione o la separazione dei beni, sia quella relativa ai Patti
Lateranensi.
Considero
invece molto importante che il comandante sia in grado di curare una ferita o
sapere come comportarsi in caso di svenimento di un membro dell’ equipaggio.
Mentre
infatti nelle navi vi può (o vi deve) essere un medico di bordo, nelle barche
da diporto la sua presenza spesso è un puro caso fortuito.
Pare
infatti che i crocieristi non amino sposarsi a bordo, ma siano invece molto
interessati a farsi del male soprattutto alla testa e alle dita di mani e
piedi.
Il
crocierista non sposato infatti partecipa all’ avventura nella speranza di
dimenticare l’ amore finito oppure di incontrarne uno nuovo, ma il più delle
volte non a scopo matrimoniale.
Il
crocierista sposato invece lo è già e non ha bisogno di diventare bigamo in
così breve tempo, oppure non ha alcuna intenzione di praticare la bigamìa infatti
si porta dietro la moglie (o il marito).
Entrambi
però, già sposati e non, amano praticare podismo in coperta a piedi scalzi.
Si
intrattengono inoltre ad accarezzare le scotte mentre esse vengono stritolate
dai winch, si inebriano d’ immenso nel fissare le vele e il riverbero del sole
senza lenti protettive, amano crogiolare la pelle delle spalle e delle
ginocchia senza creme solari e, dulcis in fundo, trovano una grande
soddisfazione nel sollevarsi in piedi improvvisamente dalla seduta del pozzetto
di sottovento capocciando sul boma.
Il
comandante dell’ unità da diporto pertanto deve possedere una discreta cultura
intorno a contusioni, strappi muscolari, ferite da taglio al cuoio capelluto,
scottature e colliri.
Anche
una certa dose di manualità chirurgica non è da disprezzare, perché a bordo c’è
sempre qualche sciagurato che propone (e soprattutto attua) la pratica dello
sport della pesca.
Pare
impossibile ma, istantaneamente, quell’ improvviso entusiasmo contagia anche
gli ami da pesca che fino a quel momento erano stati a riposare avvolti in un
velo di ruggine nella borsa in fondo al gavone del pozzetto, ed improvvisamente
essi si dedicano al loro lavoro con profonda coscienziosità, conficcandosi nei
polpastrelli delle dita dei pescatori e talvolta anche in qualche natica.
Altro
compito essenziale del comandante dell’ unità da diporto è l’ allenamento
fisico alla scaletta.
La
scaletta è quell’ aggeggio che permette dalla plancia (per le unità a vela
pozzetto) di scendere sottocoperta: si tratta di un aggeggio di pochi gradini,
distanti tra loro e in perpetuo movimento oscillatorio.
Un
comandante di un equipaggio di 4 - 6 persone deve essere in grado di
percorrerla nei due sensi almeno una trentina di volte al giorno, spesso
intuendo il movimento del gradino più in basso perché impossibilitato a vederlo.
Ciò
avviene molto più spesso di quanto si possa credere, principalmente in un paio
di occasioni: quando fa molto caldo o quando il vento rinfresca.
Quando
fa molto caldo infatti l’ equipaggio chiede inevitabilmente da bere.
Quando
il vento rinfresca inevitabilmente l’ equipaggio ha freddo.
Diabolicamente
però sia le richieste di una bibita fresca sia quelle di una giacca a vento non
avvengono tutte insieme, ma una alla volta, sicché il piacere del comandante a
percorrere e ripercorrere la scaletta si prolunga sempre assai.
Ovviamente
le operazioni relative alla ricerca nel frigorifero della bottiglia di birra giusta
o nell’ armadietto della felpa azzurra giusta potrebbero essere svolte da un
qualsiasi altro membro dell’ equipaggio, ma a nessuno piace calarsi nei meandri
dello scafo mentre questo rolla o beccheggia.
Il
comandante invece prova un vivo entusiasmo a tuffarsi a faccia in giù dentro un
gavone alla ricerca dell’ indumento richiesto (e che sia proprio quell’
indumento), mentre viene sballottato in ogni direzione poi, intuendo che l’
indumento giusto non sarà quello da lui trovato, dovrà stazionare a metà
scaletta reggendo in mano tre felpe e due giacche - tutte invariabilmente
azzurre - attendendo il responso e la scelta.
Nelle
imbarcazioni da diporto invece (soprattutto quelle a vela che viaggiano a 5
nodi invece che a 35) le distanze percorribili in un giorno sono un’ inezia e
la perturbazione atmosferica può sostarvi tranquillamente per più giorni, oppure
può costringere l’ equipaggio a navigare ballando samba e fox-trot sotto l’
acqua per molte, molte ore.
In
questi casi la colpa viene sempre attribuita al comandante che non ha saputo
amministrare le tappe o organizzare il passaggio delle nuvole in modo
conveniente.
Uno
dei compiti principali infatti del comandante dell’ unità da diporto è la
programmazione istantanea degli eventi atmosferici: egli deve essere in grado
di gestire irraggiamento solare, nuvolosità, temperatura dell’ aria e soprattutto
dell’ acqua e naturalmente intensità e direzione del vento, in modo tale da non
lasciare la possibilità a tali fenomeni di prendere iniziative autonome.
E’
inammissibile che un comandante permetta che il sole non appaia la mattina
presto, così come è inammissibile che si alzi il vento quando l’ equipaggio ha
finito di fare il bagno.
La
mattina deve sempre essere limpida e soleggiata così che la temperatura dell’
aria si alzi presto; la brezza deve levarsi dopo colazione (ogni barca ha un
orario diverso, ma non importa) e spirare dalla direzione giusta senza
sollevare mare (ogni barca tiene una rotta diversa, ma non importa) fino ad ora
di pranzo; quindi deve quietarsi; questo è il momento in cui per una mezz’ ora
il cielo deve coprirsi di una coltre di nuvole per poter pranzare fuori ma
senza sudare o scottarsi; poi il sole deve uscire nuovamente per scaldare ben
bene l’ acqua e permettere il bagno pomeridiano; guai se il vento si alza nel
momento in cui vengono aperti gli asciugamani quando l’ equipaggio torna a
bordo gocciolante; dopo un’ altra ora di asciugatura e riscaldamento, la brezza
può riprendere vigore per potere navigare con soddisfazione fino a sera; quindi
tutto deve calmarsi e il sole deve tuffarsi nell’ orizzonte con sfumature
incredibilmente elaborate, meglio se coadiuvato da qualche nuvoletta innocente.
Se
conosce tre lingue, sa rimettere il buonumore tra chi è irascibile, sa fare il
punto anche senza gps, conosce a menadito la manovrabilità e le prestazioni
della sua barca, sa starsene sveglio una notte senza fare una grinza,
sopporta bene la fame e il freddo, ha una enorme pazienza con la burocrazia
doganale, sa riconoscere sulla costa un campanile dall’ altro, sa distinguere e
riconoscere le luci in mare e sulla riva, sa far da mangiare bene, sa fare l’
idraulico, sa fare l’ elettricista, sa fare il meccanico, sa di elettronica
(questo è assolutamente impossibile per definizione), tutto ciò non importa un
accidente !
Se
sa fare queste cose al massimo potrà diventare il comandante di una nave, non
certo di una unità da diporto.
Se
proprio ci tiene, pare che il relitto della “LibertéEgalitéFraternité” sia stato
gratuitamente (?) rimesso in sesto e pare che abbia bisogno di un nuovo comandante.
Anticipo
a tale aspirante che LEF verrà ribattezzata col nome di
“LibertéEgalitéFraternitéSureté”
perché verrà marcata CE, così (forse) potrà andare a scogli senza affondare più...
Vi
giunga il mio più sincero augurio di passare delle feste serene, che
si avvererà solo se perdonerete,
se vi perdonerete e se poi vi donerete agli altri.
Lo so che non è uno scherzo ma proviamoci, sennò che ci stiamo a fare qui ?
Ad accumulare denaro ? A far dannare chi ci sta vicino ? A dannarci noi stessi ? Auguri M.