ARTICOLI E CHIACCHIERE COSE TRA NOI
  FEBBRAIO 2010

…E siamo così giunti al quarto anno di attività di questo sito.
Buon compleanno Nauticautile!
Grazie.                         Prego.

Ho ancora da dire qualcosa sui fulmini.
Ma và ?                         Sì, pensa un po’!

Qualcuno troverà curioso che dopo i due articoli del gennaio e febbraio 2007 io torni su questo argomento ma un mio lettore - nonché collega fortunatamente (per lui) in pensione - mi ha scritto la seguente e-mail che pubblico interamente.
 

Ing. Marco Scarpa                                                                                                  10 settembre 2009
Treviso
      Cercando in internet qualcosa sui fulmini in barca sono capitato sul suo sito "nauticautile"
.
Dopo aver letto con interesse numerosi articoli, in particolare quelli sui fulmini, mi è venuta voglia di raccontarle una mia recente disavventura per un eventuale consiglio.
Premetto che sono ormai un VIP (Vecchio In Pensione classe 1941) ingegnere chimico ex Dirigente d’Industria di Montedison, poi ENI e, abitando a Mogliano Veneto, suo vicino.
Da sempre appassionato di mare e frequentatore  delle isole della Dalmazia con la canoa, quando ero più giovane, poi con un FD, da molti anni navigo con un Comet 420, barca con molti pregi ed altrettanti difetti cui penso di aver ormai ovviato con numerosi lavori, anche per adattarla alla riduzione dell’equipaggio ora che i figli hanno altro da fare e la moglie, se viene, non ama la manovra.
Venendo al fatto: l’11 agosto 2009  mi trovavo ormeggiato a un gavitello nella baia di Lucina (Brbini) all’Isola Grossa (Dugi otok) con a bordo moglie e un figlio con morosa. Per tutta la notte si erano alternati scrosci di pioggia e si erano sentiti lontani brontolii di temporali.
 
Verso le 5:30  sono iniziate raffiche di vento, poi una forte grandinata con tuoni e fulmini finchè non è arrivato uno schianto incredibile, una luce accecante e …leggero odore di gomma bruciata.
Un fulmine ci aveva colpito! Fortunatamente nessuno dei presenti, tutti erano in cuccetta, ha riportato danni.
Danni consistenti invece alla barca: praticamente tutto quello dove erano presenti diodi, transistor e circuiti integrati è partito! Faccio di seguito un elenco con le conseguenze, avendo ormai praticamente concluso i ripristini:
 
-Luce di Fonda in testa albero vetro bucato e lampada esplosa, sostituito
-Due antenne VHF in testa d’albero (una sola collegata alla radio), scomparse (fuse!).
-Apparato VHF : si è dovuto sostituire, compresa antenna e calata.
-Autoradio con CD sostituita
-Strumentazione Raymarine ST60: 
-Vento sostituito strumento e sonda
-Log                                       
-Ecoscandaglio sost. Strumento, sonda OK
-Terminale autopilota  sostituita scheda
-Autopilota Raymarine  7001+     Sostituita scheda, salvata bussola fluxgate, pos.rudder e motore
-Plotter Raymarine E120 sostituita una scheda
-Vecchio autopilota Ray 4000 strumento da buttare
-Vecchio ecoscandaglio Seafahrer da buttare
-GPS Garmin Vecchissimo non funziona più trasmissione dati NMEA, integrato con nuovo “funghetto” e tenuto come scorta
-Alternatore motore sostituito (verrà ripristinato per scorta quando arriverà piastra diodi nuova)
-Regolatore alternatore esterno “intelligente” sostituito
-Monitor tensione/correnti batterie sostituito
-Indicatore temperatura acqua motore sostituito
-Contagiri motore sostituito
-Indicatore livello gasolio sostituito
-Livello serbatoi acqua sostituito circuito integrato
-Caricabatteria da rete 220 sostituito

Si fa prima ad elencare quello che si è salvato:
-Verricello ancora (inutilizzabile senza alternatore funzionante)
-Autoclave
-Luci in genere tranne che testa albero
-Motore avviamento
-Frigo (che abbiamo spento subito per conservare la carica delle batterie per avviare il motore più volte possibile)
In queste condizioni si è anticipato il rientro a Lignano dove si è ormeggiato il  13 agosto per iniziare il ripristino.
Neanche uno di tutti i fusibili presenti si è bruciato, neanche quelli da 0,3 A. Sui poli dell’alternatore c’era uno snubber (che dovrebbe salvare da sovratensioni): è andato in conduzione e poi si è bruciato il filo di collegamento (l’unico bruciato).
La barca  ha strallo, paterazzo, sartie e albero non collegati al bulbo e al motore forse solo con la calza del VHF via negativo. Eravamo ormeggiati ad un gavitello con cime in poliestere.
Nell’eterno dilemma: collegare e attirare i fulmini – non collegare e sperare Lei è sempre dell’idea di non collegare?
Le sarei grato di un conforto.

Giardini Andrea

Che bello sentirsi in grado di confortare i lettori !
Magari vi riuscissi davvero con la mia modesta cultura !

La prima banale osservazione su questo Comet 420 che si è preso un bel fulmine è che ha riportato un bel po’ di danni.
A parte i conduttori elettrici e tutto quanto era loro connesso (VHF, lampadine albero) mi sorprende la messa fuori uso di tanta strumentazione che connessa non dovrebbe essere stata (autopilota, contagiri, plotter, ecoscandaglio, alternatore, indicatore temperatura, indicatori livelli).
O meglio - come già scrissi l' anno scorso - se è accettabile che strumenti che al loro interno abbiano avvolgimenti elettrici (come contagiri, indicatori di temperatura e alternatori) possano saltare per forti correnti indotte, è più difficile accettare che saltino strumenti prettamente elettronici (come indicatori di livelli e plotter) se isolati dal resto dell' impianto.
In altre parole se sta per arrivare il temporale sarebbe buona cosa scollegare dalle batterie tutto il possibile, come se si lasciasse la barca sola all' ormeggio; pare tuttavia che il campo elettromagnetico a pochi metri dal fulmine abbia veramente una intensità micidiale e sia in grado di mettere fuori uso qualsiasi apparecchiatura che contenga un qualsiasi circuito elettrico, non solamente composto da avvolgimenti.
Paradossale l' effetto del fulmine sui fusibili: dice l' ing. Giardini: "
Neanche uno di tutti i fusibili presenti si è bruciato, neanche quelli da 0,3 A"; verrebbe da dire che non sono state le correnti indotte a creare danni.
E' curioso che i frigoriferi restino salvi, ma è spiegabile considerando che il loro compressore elettrico è custodito all' interno di una specie di boccia metallica (e risulta quindi completamente schermato dai campi esterni).
Poi mi viene da aggiungere che sostanzialmente non v’ è pericolo per le persone se esse sono “contenute” all’ interno della barca (commento che già feci negli articoli del gennaio e  febbraio 2007).
Il fatto che lo scafo sia bagnato esternamente lo dovrebbe far assomigliare a una gabbia decentemente conduttrice e quindi il campo elettrico al suo interno dovrebbe tendere pressoché a zero (teorema di Gauss).
Mi permetto di usare il condizionale e il termine “pressoché” in quanto per la barca dell’ ing. Giardini e per  quella di Luciano (vedi articolo di gennaio 2007) che erano entrambe bagnate dalla pioggia, vi sono stati comunque danni alle apparecchiature interne alla barca; del resto non credo che il velo d’ acqua dolce presente all’ esterno in caso di pioggia sia proprio del tutto sufficiente a costituire una perfetta gabbia di Faraday, anzi non credo proprio sia così…
Piuttosto mi chiedo se sussista pericolo per le persone ospitate dentro la barca nel caso capiti di prender un fulmine con l’ esterno dello scafo asciutto (il cosiddetto fulmine a ciel sereno), ma non ho conoscenza alcuna di tale evenienza.

A questo punto la domanda (sia dell' ing. Giardini che mia) sorge spontanea : se il Comet 420 avesse avuto l’ albero collegato alla chiglia, un bel po’ di strumentazione sarebbe ancora integra ?
Difficile rispondere.
Il Beneteau First 42.7 di Luciano disponeva - così come è nato - di una sartia collegata alla chiglia attraverso un grosso fusibile, eppure di danni all’ elettronica ne ha avuti molti ugualmente.
Del resto un fulmine ben organizzato ha facilmente ragione di un fusibile e non ci pensa minimamente a bruciarlo all’ istante.
Sembrerebbe quindi che la risposta non esista in quanto nessuno di noi ha dati disponibili per confrontare gli eventi tra loro: come facciamo a paragonare il fulmine di Lucina caduto sul Comet 420 con quello di Cittanova caduto due anni prima sul First 42.7 ?.......Eppure qualcosa si può ancora aggiungere....

Mi sento di aggiungere un breve ragionamento probabilistico – ingegneristico non prima però che voi, affezionati lettori, leggiate la digressione e diate un' occhiata alla foto che seguono.

Digressione: quando mi rendo conto di essere ignorante invece che affidarmi alla metafisica mi piace affidarmi all’ intelletto e mettermi a ragionare…Non che io snobbi la metafisica (il destino, la spiritualità, le religioni sono aspetti dell’ uomo che godono della mia massima stima)  ma preferisco considerarne i loro possibili contributi in prospettiva a ciò che mi accadrà dopo la fine della mia vita, limitandone per ora il campo di azione alla sola sfera sentimentale.

La baia di Lucina sta immediatamente a NW di quella di Brbini (vedi foto) e tra
le due
sorge un promontorio boscoso e tondeggiante (vedi collina sullo sfondo).
Siamo sulla costa orientale dell' Isola Lunga (Dugi Otok), vicini al distributore di carburante di Zaglav.
Il minuscolo paesino di Brbini consta di una decina di case, un risorante 
(insomma, proprio un ristorante no, facciamo una konoba, via) e di un market 
(insomma, proprio un supermercato no, facciamo 15 metri quadrati di un po' di tutto, via) 
situati lungo una banchina molto ben ridossata; in banchina si sta sui corpi morti,
mentre all' uscita della baia c'è la possibilità 
di ormeggiare ai gavitelli
con cima a terra: si è un po' esposti al maestrale pomeridiano

ma il posto è bellissimo, ha i pini fin sulle rive e profuma di resina.

 RAGIONAMENTO PROBABILISTICO-INGEGNERISTICO UN PO' SERIO
CHE NON SEMBRA FATTO PER I FULMINI, MA CHE POI LO DIVENTA...

Immaginiamo che in un Paese a rischio sismico tutti siano impegnati nel voler costruire case sicure: chi fa le leggi, chi le fa rispettare, chi calcola, chi costruisce e chi ci abita….un Bel Paese ideale, insomma.
Che farebbero queste persone ?
Probabilmente si metterebbero d’ accordo per usare buoni materiali le cui tensioni di lavoro fossero controllate e calcolerebbero le strutture con delle forze che simulassero l’ evento sismico.
Già, ma quale evento ? Forte, debole, breve, lungo…Quanto forte? Quanto lungo?
Forse stabilirebbero dei gradi di intensità a seconda delle zone e dividerebbero le sollecitazioni previste in scaglioni a seconda della pericolosità della zona.
E’ insomma ciò che è stato fatto negli ultimi anni.
Ma oggigiorno non si fa più così.
Oggi quelle persone progetterebbero gli edifici secondo questo ragionamento: poiché non possiamo indovinare quale sarà l’ intensità e la durata di un terremoto in questa zona, allora stabiliamo che ognuno sceglie il grado di danno che giudica ammissibile per la propria casa…l’ importante è che questa non caschi sopra le persone facendo vittime.
Aggiriamo l’ ostacolo, insomma, scegliendo noi a priori il grado di rischio che riteniamo più conveniente.
Vogliamo che l’ edificio non ci crolli addosso ma ammettiamo che dopo il terremoto sia comunque talmente danneggiato da essere inagibile ? Bene, allora calcoliamolo e realizziamolo con 80 unità di denaro e definiamolo una casa residenziale economica.
Vogliamo invece che l’ edificio non solo non ci crolli addosso ma che con qualche lavoro di restauro sia nuovamente abitabile ? Bene, allora calcoliamolo e realizziamolo con 220 unità di denaro e definiamolo una chiesa.
Vogliamo addirittura che l’ edificio resti intatto ? Bene, allora calcoliamolo e realizziamolo con 500 unità di denaro e chiamiamolo ospedale.
Ecco, sembrerà curioso, ma questo modo di ragionare che coinvolge enormemente la bontà dei materiali e il modo di farli lavorare insieme in campo elastico o plastico ci dà modo di capire che pur essendo soggetti del tutto agli eventi e al caso tuttavia ammettiamo di assumerci un grado di rischio calcolato nei confronti di un evento.
Complicato ?
Se vi sembra tale, allora torniamo alle barche fulminate e applichiamo ad esse questo modo di ragionare.
Possiamo prevedere quanti e che tipo di fulmini cadranno sulla nostra barca durante la sua vita nautica ?
No di certo.
Allora poniamoci delle domande sull’ accettazione del grado di rischio.
1 - Ci è sufficiente non morire, anche se dovremmo buttar via la strumentazione ?
2 - Oppure vogliamo salvare la pelle e limitare i danni accettando che si rompa (per puro esempio) solo l’ antenna VHF o il contagiri del motore ?
3 - Oppure vogliamo non solo salvarci la pelle, ma anche che non si rompa proprio nulla ?
Insomma quale grado di rischio vogliamo assumerci ?
Ecco, per ognuna di queste tre possibilità noi definiamo e accettiamo un grado di rischio diverso.
Nel caso 1 è sufficiente non collegare l’ albero a massa.…Ci teniamo la barca così com’ è e confidiamo che il fulmine si scarichi da qualche altra parte, consci però che se colpisse proprio la nostra barca senza dubbio provocherebbe seri danni alla strumentazione di bordo.
Nel caso 3 invece dovremo avvolgere tutta la barca con una pesante e fitta rete di acciaio zincato che abbondantemente continui almeno per un metro sott’ acqua, una grande gabbia che dalla testa dell’ albero rivesta come il bozzolo di un baco da seta albero, vele e scafo. Standocene lì sotto a prendere l’ abbronzatura a scacchi prenderemo un sacco di fulmini ma non faranno alcun male né a noi né all’ attrezzatura né agli accessori della barca (telefonini, radio e GPS però non funzioneranno perché saranno sempre schermati).
Tralascio qualsisi commento sulle qualità estetiche e nautiche di una simile barca...
E nel caso 2 ?
Credo che forse potremmo collegare ogni sartia alla pinna di deriva con una treccia di rame (almeno della stessa sezione della sartia): prenderemo un bel po’ di fulmini e resteremo vivi ma anche così facendo non potremo mai essere sicuri che si bruci solo l’ antenna VHF o il contagiri del motore.
A ciascuno di noi la scelta: contro l’ imprevedibile resta solo l’ accettazione del grado di rischio.

Non è un discorso tanto balordo.
Pensate che tutte le compagnie di assicurazione campano proprio su questo modo di ragionare ! 

Per concludere non ci resta che affidarci all' esperienza, consci che la professionalità di chi sul mare ci naviga per lavoro sia senza ombra di dubbio superiore a quella di chi naviga per solo diletto.
Ecco pertanto il modo molto spiccio per mezzo del quale il comandante 
di una nave ha risolto il problema dell' attrazione di fulmini.....

COME RIDURRE IL RISCHIO DI FULMINAZIONE

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