ARTICOLI E CHIACCHIERE COSE TRA NOI
  GENNAIO 2007
Eccola !
E' l' alba di un nuovo giorno e l' inizio di un nuovo anno.
Siamo ancora capaci di avere dei buoni propositi ?
Mi auguro proprio di sì, come li ha PIERLUIGI SURACE, che saluto da queste pagine e al quale invio questo augurio:
CHE IL 2007 TI VEDA NUOVAMENTE AL TIMONE DELLA TUA "COCALETTA GRANDE", PIERLUIGI.
IN BOCCA AL 2007  !

Foto di Loris Marconi,  grande arrampicatore e amante della montagna.   Casi della vita !


Lo scorso mese di novembre Pierluigi Surace mi ha richiesto di peritare la barca che aveva intenzione di acquistare (e che poi ha acquistato) a Neeuport, vicino a Ostenda in Belgio.
Potrei raccontarvi su queste pagine alcune cose che io ho insegnato a Pierluigi e molte altre che invece lui ha insegnato a me, ritengo però più utile per ora segnalarne una sola che abbiamo imparato sia lui che io.
Se a qualcuno di voi capitasse di andare da quelle parti col desiderio di trovare delle note di colore nel paesaggio, nel mare o nei suoi frutti (leggi cozze), resterà ampiamente deluso.
La sabbia silicea dei nostri litorali che brilla al sole e che insieme alle nostre scogliere e al nostro bel sole riesce a tingere di riflessi luminescenti il nostro bel mare (per nulla si chiama Mare Nostrum), lassù è ben altra cosa...Essa infatti in quei paraggi assume le sembianze di una fanghiglia torbosa tinta grigio-beige-nerastra che tutto invade e pervade, sicchè lo mare appare color caffelatte, le ripe appaiono color  caffelatte, lo cielo appare color caffelatte, le alghe appiono color caffelatte, le barche appaiono color caffelatte e, dulcis in fundo,
 le cozze SONO color caffelatte.  
Lo fatto più mirabolante, che su queste pagine non riesco in modo alcuno a riportare, è il loro sapore:
infatti - vi parrà impossibile - ma pur esse sanno di caffelatte....(senza zucchero però).

 

L' ARTICOLO DEL MESE
I FULMINI
E ALTRE CONSIDERAZIONI…ELETTRIZZANTI

C’è gente che in mare ha paura di molte cose, come i colpi di vento, la tenuta dell’ ancora, le onde, il motore che può non partire, ecc.
Quando navigo io ho molta soggezione degli eventi naturali connessi col mare e verso di essi nutro rispetto ma non paura.   
Una sola cosa invece letteralmente mi terrorizza: i fulmini.
Finora ho subìto il passaggio di molti temporali sopra la mia barca standomene all’ ormeggio in darsena, oppure alla fonda in rada o anche (ahimè) in navigazione, ma non mi è mai capitato di “essere colpito da un fulmine”.
Pertanto mi sono sempre basato sui racconti che mi sono stati riportati e quindi su esperienze altrui, cercando via via di farmene una ragione.
Vista questa situazione di "mancato protagonista" probabilmente me ne sarei stato zitto e buono ancora per chissà quanto tempo se proprio quest’ anno alla barca di Luciano Cencherle (mio dirimpettaio di posto barca) non fosse capitato di beccarsi due fulmini nel giro di un mese.
Poichè la cosa mi ha molto incuriosito, sia dal punto di vista probabilistico sia da quello dei danni riportati anche dalla mia barca ormeggiata lì accanto, ho deciso di documentarmi un po' e di scrivere qualcosa su tale argomento che - ahinoi - quasi mai viene trattato nella letteratura cosiddetta “tecnica”.

L’ ANTEFATTO
Quello che conoscevo sull’ argomento prima di questo evento multiplo alla barca di Luciano si può riassumere nei seguenti punti:

sapevo che un noto cantiere italiano qualche anno fa provvide a mettere l’ albero a massa su alcune delle imbarcazioni a vela da lui prodotte e mi fu riferito che tali imbarcazioni furono colpite da fulmini;
  sapevo che il mio carissimo amico Pino (colui che mi ha fatto scoprire e mi ha iniziato alla vela e che ogni tanto cito nei miei articoli) prese un fulmine a Isto (Croazia) che mise fuori uso l’ elettronica di bordo della sua barca; 
  sapevo che già da anni esistono degli accorgimenti per armare la testa d’ albero delle barche a vela con dispositivi atti ad assorbire o attirare l’ elettricità atmosferica (una sorta di spazzolini metallici), che però non ho mai visto utilizzare.

IL FATTO
Nel corso del mese di luglio l’ albero della barca di Luciano ha preso un fulmine nel porto di Cittanova (Croazia) che ha asportato e/o danneggiato le attrezzature in testa d’ albero (antenna vhf, windex e stazione vento) e alcune strumentazioni elettroniche di bordo.
La barca di Luciano è un Beneteau First 42.7 di 7 anni fa.
Nel corso del mese di agosto, in occasione del passaggio di un temporale sulla darsena, l' albero della barca di Luciano è stato nuovamente colpito da un fulmine, quello della mia no.
C'è da sottolineare che la mia barca è un Comet 12 di 20 anni fa e che gli alberi della barca di Luciano e della mia hanno la stessa altezza (circa m 17,50 sull’ acqua); essi sono i più alti tra quelli della barche ospitate in darsena e sono posizionati tra loro ad una distanza di circa 15 metri.
In entrambe le occasioni Luciano era a bordo con la moglie ed entrambi non hanno riportato alcuna conseguenza.
Il secondo fulmine ha danneggiato nuovamente la strumentazione che Luciano aveva appena cambiato, l’ impianto frigorifero e il contagiri del motore.
Nella mia barca non c’era nessuno a bordo: il fulmine caduto a 15 metri di distanza ha messo comunque fuori uso il contagiri del motore.

EBBENE ?
Secondo me è bene analizzare l’ evento da diversi punti di vista.
Il fatto che il fulmine sia una scarica elettrica che si genera quando la differenza di potenziale elettrico tra una nuvola e la terra sia tale da permettere all’ aria di diventare conduttrice è cosa che tutti sappiamo.
Il fatto che esso sia la manifestazione di un flusso di particelle ionizzate e di elettroni che, bontà loro, cercano di rimettere le cose a posto tra il potenziale della nuvola e quello della terra è cosa altrettanto nota.
Alcuni dissertano sul fatto che il fulmine vada dalla nuvola alla terra, altri sul contrario; io non vado certo a misurare se il potenziale della nuvola sia positivo o negativo rispetto a quello della terra e comunque, ai fini dei danni prodotti dalla scarica, questo conta poco.
Piuttosto è notevole sottolineare che per rendere conduttrice l’ aria asciutta lungo un tratto di un centimetro occorrono circa 30000 V di differenza di potenziale (non 220 come abbiamo a casa nostra).
Durante un temporale le condizioni di pressione, di temperatura, di movimento delle masse d’ aria e di ionizzazione sono tali da abbassare drasticamente tale soglia, ed è per questo che per produrre un fulmine di due o trecento metri di lunghezza sono sufficienti “solamente” alcune centinaia di migliaia di Volt, alle quali corrisponde una corrente elettrica di alcune decine di migliaia di Ampère.

Brevissima digressione: mi dispiace essere così impreciso, ma non ho mai avuto voglia di mettermi tra una nuvola e la terra con un conduttore elettrico tra le mani e un voltmetro e un amperometro per misurare i parametri della scarica. Se qualcuno tra i lettori avesse fatto una qualche misurazione sarei ben lieto di conoscerne i valori (e anche le sue condizioni di salute dopo l' evento).

Detto questo è ovvio chiedersi: quale strada percorrerà il fulmine?
La risposta è quella cui la Natura ci ha da sempre abituato: poiché le persone fanno parte della “natura” e quotidianamente cercano di lavorare il meno possibile e di guadagnare il più possibile (a parte alcune che risultano appartenere alla categoria degli stupidi), tutti i processi naturali seguono la via della minor fatica possibile.
Siccome tra l’ aria (che consideriamo materiale isolante) e un filo di acciaio o un albero di alluminio (che consideriamo materiali conduttori) esiste una differenza di resistività elettrica dell’ ordine dei 1020 Ohm x m, significa che un metallo conduce cento miliardi di miliardi di volte meglio che l’ aria e quindi, quando il fulmine deve scegliere dove andare per eliminare l’ enorme differenza di potenziale che lo stimola, è chiaro che sceglierà la strada più agevole.
Naturalmente ciò sarà vero quanto più sarà lungo il percorso (cioè quanto più sarà alto l’ albero della barca) e quanto meglio l’ albero sarà collegato alla terra.
Su questo punto è bene precisare che l’ albero della barca non è mai collegato a terra (a meno che la barca non sia affondata ed esso sporga dalla superficie dell' acqua), ma può essere collegato all’ acqua attraverso la zavorra metallica della chiglia.
L’ acqua salata conduce piuttosto bene e il mare in definitiva rappresenta un discreto "impianto di messa a terra”.
Orbene, sul First 42,7 il cantiere Beneteau ha utilizzato una sartia per collegare l’ albero alla chiglia, ponendo un fusibile tra la chiglia stessa e una landa dove ha termine la sartia.

Il cantiere Comar, 20 anni fa, se ne è guardata bene dal farlo.

CONSIDERAZIONI NORMATIVE
Il Beneteau First 42,7 è una imbarcazione marcata CE anzi - dice Luciano - è proprio l’ osservanza a una direttiva CE che obbliga il cantiere a collegare a massa l’ albero.
Io sono andato a vedermi le Direttive 94/25/CE e 2003/44/CE (vedi “Articoli e chiacchiere” di marzo), ma non ho trovato nulla a riguardo della protezione dalle scariche atmosferiche.
Forse l’ idea deriva dal fatto che le normative comunitarie al fine di definire i criteri di progettazione delle imbarcazioni da diporto indicano la strada della massima sicurezza.
Comunque Beneteau l’ ha fatto (e non è il solo che ci abbia pensato), Comar e numerosi altri cantieri no.

Ma allora: è bene che l’ albero sia a massa o no ? 
O, per dirla in altre parole: è bene o no che la barca diventi a tutti gli effetti un parafulmine ?
Esiste pericolo per l’ integrità strutturale dello scafo, e quindi anche per il suo equipaggio ?
Oppure esiste pericolo solo per gli impianti e la strumentazione di bordo ?
E se sì vale al pena di far di tutto per attirare fulmini ?
Belle domande eh ?
Cercheremo di rispondere, se ne saremo capaci, il prossimo mese.
Certo che quando ci compriamo la barca per fortuna pensiamo solo alle belle navigate col solleone insieme agli amici o alla morosa ma all’ evenienza dei fulmini proprio non ci facciamo caso, sennò penso che tutti preferiremmo un buon albergo in riviera e i cantieri chiuderebbero i battenti in quattro e quattr' otto.



Tre rime conclusive:        Richiesi a zio Pino un commento                                                                                                                  attorno a questo bell' argomento                                                                      e ottenni un' occhiata di compatimento…  
Zio Pino era uno che a quasi 70 anni partiva da solo da Procida con la sua barca da 13 metri, passava tra Scilla e Cariddi, passava il golfo di Squillace, girava Santa Maria di Leuca, risaliva fino ad Ancona, e lì si faceva raggiungere da sua moglie in treno.
Poi, insieme, se ne andavano a spasso per la Croazia in crociera.
La sua occhiata voleva dire:
Fulmine ? Beh, anche senza stazione del vento o con qualche strumento che non va, sarà mica la fine del mondo!  
Finchè c’è vento e ho forza per tirar su le vele la barca cammina lo stesso, no ?”.
                       Già, questo era zio Pino.                                                                                                                                                                                                                                                                      
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