ARTICOLI E CHIACCHIERE COSE TRA NOI
GENNAIO 2010

BUON ANNO A TUTTI
AUGURO UN 2010 PIENO DI BUONI PROPOSITI, CHE PER ME SIGNIFICA PENSARE UN PO' DI PIU' AGLI ALTRI E UN PO' MENO A NOI STESSI.

Ricordo che all' inizio del 2009 cominciai l' anno con un paio di articoli ad impronta "turistica" sulle Kornati. Oggi invece comincerò il 2010 con un paio di articoli piuttosto tecnici, ai quali farò seguire qualcosa di ulteriormente tecnico a proposito delle barche in fibra di carbonio, non prima però di aver divagato su altri argomenti molto più discorsivi ed anche più discutibili...
 Non voglio anticipare troppo ciò che scriverò nei prossimi mesi, pertanto

qualcuno voleva un articolo tecnico ?
Eccolo, tanto per gradire :

PERCHE' ALCUNE BARCHE PERDONO LA CHIGLIA ?

"Mmmm, ahi ahi ahi" - diceva zio Pino - "roba pesante questo mese !"...
Personalmente consiglierei la somministrazione di un buon Alkaseltzer
o di un analogo prodotto alcalino  prima della lettura.

Questa è l' immagine di quel che resta della sede dove era fissata la pinna di deriva di un Bavaria.

Come l’ attento lettore avrà capito non mi piace scrivere di cose tecniche, anche se credo sia questo che molti si aspettano da queste pagine; considerando però quel che succede in giro (vale a dire che certe barche perdono la chiglia), oppure ciò che si legge nei forum (vale a dire che molte persone sono piene di dubbi), ritengo sia un mio preciso dovere quello di cercare di contribuire il più possibile a chiarire le cose.

Fare chiarezza porta di per sè a intraprendere un cammino molto impervio, ma tentare non nuoce mai.

Lo spunto mi è stato dato dal signor Polimeri (cui ho fatto riferimento lo scorso ottobre) a proposito della trazione e compressione che - secondo lui - si chiamano flessione.
E’ un punto talmente importante nel settore nautico che trovo sacrosanto soffermarmi su di esso e trovo altrettanto importante che i lettori, che talvolta o spesso tecnici non sono, vi siano comunque coinvolti.

Ricordo di aver scritto che ogni onda provoca nello scafo sollecitazioni di trazione e di compressione.
L’ insieme di queste due sollecitazioni prende il nome di flessione allorquando la struttura può essere definita come “trave”: significa che se sego a metà un tronco di un albero o una putrella metallica io posso vedere che tutta la sezione segata è fatta di legno nel primo caso e di acciaio nel secondo, vale a dire che lungo tutta l’ altezza della sezione è presente lo stesso materiale con (più o meno) le stesse caratteristiche.
Il “più o meno” si riferisce al legno che, essendo un materiale naturale e non industrialmente prodotto,  non è perfettamente omogeneo ma lo è con una buona approssimazione.
Ebbene una trave in legno o una putrella metallica, secondo la scienza delle costruzioni, si comportano “a trave” se hanno una dimensione preponderante sulle altre, che si chiama lunghezza.
Nel senso della lunghezza esse sono soggette a flessione se devono reggere dei carichi perpendicolari ad essa o che abbiano una componente perpendicolare ad essa.
Per resistere a flessione abbinano una trazione su una faccia con una compressione sulla faccia opposta e tali sollecitazioni (che sono massime alle estremità) si riducono via via che ci si avvicina al centro della sezione fino a scomparire del tutto proprio lungo l’ asse mediano, che si chiama asse neutro.
Se lo scafo di una nave fosse fatto da un’ unica enorme trave di legno, quando esso si trovasse sospeso tra un’ onda a prua e una a poppa allora sarebbe soggetto a flessione.
Se lo scafo di una nave fosse fatto da un’ unica trave metallica andrebbe a fondo per ovvie ragioni di peso specifico (e quindi questo caso non ci interessa, o perlomeno non interessa a me).
La realtà però non è questa: a nessuno infatti viene in mente di costruire e far navigare una nave “piena di legno”, infatti le navi (e guarda caso anche le barche da diporto) all’ interno sono vuote.
Strutturalmente somigliano più a dei tubi, con le estremità di prua e poppa rastremate; insomma sono fatte con un involucro esterno pieno di aria all’ interno.
Quando esse si trovano sospese tra due onde si può parlare di flessione?
No.
Lo sarebbe se l’ aria contenuta al loro interno avesse le stesse caratteristiche del materiale che compone scafo e coperta, ma certo così non è; anzi, più spesso addirittura sia lo scafo che la coperta sono fatti di materiali diversi tra loro.
L’ unico modo che ha questa specie di “tubo” di reagire in quella situazione è tirare le fibre inferiori dello scafo e contemporaneamente comprimere quelle della coperta.
La stessa cosa, ma invertita, farà se si troverà a dover “cavalcare” un’ onda posta esattamente a metà della sua lunghezza, come stanno facendo per benino le strutture di questo peschereccio.

Holostomacosottosopra

Questa differenza di comportamento tra “trave” e “tubo” non è una sciocchezza, sia perché le modalità di calcolo strutturale non sono le stesse, sia perché il medesimo meccanismo si ha in tutti i casi in cui vi sono accoppiamenti di materiali diversi.
Pensiamo per esempio all’ albero, che è di alluminio ma dentro è vuoto.
Pensiamo alla coperta che è di vetroresina ma è a sua volta fatta da due strati con in mezzo del materiale leggero e coibente (il sandwich).
Pensiamo allo scafo stesso che talvolta è esso pure fatto a sandwich.
Insomma, ogni onda produce trazione e compressione che si fondono nella flessione solo e laddove esiste omogeneità di materiale.
Un esempio può essere quello della costruzione tradizionale del fasciame delle barche in legno, dove le tavole incurvate si comportano come lastre piane poggiate sulle ordinate (o costole) interne all’ ossatura dello scafo: esse sono delle travi vincolate su più appoggi (ordinate) dove il carico in navigazione varia continuamente dall’ esterno all’ interno al passaggio di una piccola onda.
Ma dal punto di vista dell’ onda grande, cioè di cresta a prua e cresta a poppa, anche nel caso di scafo in fasciame torniamo allo schema già posto prima in evidenza, perché tutto lo scafo non si può considerare come “pieno” di materiale omogeneo.

A che serve raccontare tutte queste cose, che sono senza dubbio meno divertenti di una puntata del Grande Fratello o di Porta a Porta, o degli svariati scandaletti a sfondo sessuale dei nostri ineffabili e improcessabili politici che reputano la costituzione della repubbblica tale e quale a una opinione da trasformare a piacimento con qualche decreto?
Ci arrivo subito ponendo a chi legge la seguente domanda (accompagnata da una foto): come "lavora" il materiale dello scafo che è intorno all' attacco della chiglia ?

Ecco, ora credo proprio che un barlume di interesse si sia risvegliato e che le pupille dell’ incauto lettore si siano improvvisamente aperte: questo è proprio un punto delicato, anzi è “il” punto delicato.
Tanti anni fa non era così perché le barche erano costruite in fasciame e le chiglie erano un tutt’ uno con lo scafo: le stesse ordinate si assottigliavano fino ad accompagnare la “trave di chiglia” che sorreggeva la zavorra e ne era parte integrante.
Allora non esisteva il problema di collegare insieme due materiali diversi, tanto il legno (o l' acciaio) fasciava e collegava tutto, come ben si vede nella foto che segue.

Oggi invece il problema tra scafo e pinna di deriva esiste, e come !
Che si tratti di vetroresina e ghisa, oppure di composito di carbonio e piombo la faccenda è sempre la stessa: si tratta di un carico fortemente concentrato che dall’ estremità superiore della pinna di deriva deve diffondersi nello scafo attraverso lo spessore del guscio e, si badi bene, non con continuità ma attraverso alcuni punti dove passano i bulloni (i cosiddetti prigionieri).
Come è sollecitata la zona intorno al profilo di unione pinna-scafo ?
Flessione, trazione, che altro ?
La risposta non è semplice, soprattutto perché in quel punto:
- la pinna di deriva (e corrispondente zavorra) risultano appese al guscio solamente quando la barca è all’ ormeggio e in quiete;
- la pinna di deriva sopporta tutto il peso della barca (orientato come una reazione dal basso verso l’ alto) se quest' ultima si trova a terra; 
- in navigazione le sollecitazioni da statiche diventano dinamiche e ad esse si somma la portanza dovuta allo scarroccio;
- in navigazione la barca sbanda e può al limite disporsi orizzontalmente (albero in acqua) o addirittura capovolgersi (pinna in aria);
- nelle barche armate a sloop tutta la compressione dell’ albero va a scaricarsi grosso modo nel   punto che stiamo esaminando.
Si comprende bene quindi come nelle barche cosiddette “moderne” la zona dello scafo tutta attorno al profilo superiore della pinna di deriva sia il punto più delicato di tutto lo scafo; forse ancor più delicato del collegamento sartie-scafo (dove le lande trasmettono gli sforzi al guscio) che viceversa era il punto più delicato nei tradizionali scafi in fasciame.
Orbene, quali sono le sollecitazioni cui va soggetta tale zona del guscio di una barca moderna ?
La situazione è così complessa che tutti i progettisti la risolvono annegando nello spessore della resina del guscio altre strutture.
C’è chi incolla al guscio delle vere e proprie travi metalliche trasversali; c’è chi incolla al guscio travi metalliche trasversali e longitudinali (come nei vecchi Polaris e negli X); c’è chi realizza delle nervature a scatola in composito (corrispondenti ai vecchi madieri in legno degli scafi in fasciame); c’è chi, molto più semplicemente (ed economicamente), diffonde i carichi trasmessi dai prigionieri con una o più piastre metalliche poste in sentina.


Questo è il modo più economico (e meno valido) di diffondere i carichi trasmessi dalla pinna. 

Naturalmente più complessa è la progettazione e la realizzazione di questi "diffusori degli sforzi", più i costi lievitano; ecco allora che la situazione diventa scabrosa per il cantiere: scabrosa perché esso deve battere la concorrenza e realizzare il più alto guadagno possibile.
Allora tutte le belle cose che la scienza delle costruzioni ci insegna, quelle che i laboratori di chimica e chimico-fisica scoprono e quelle che la tecnologia dei materiali applica passano in secondo piano.
Si ha un bel dibattere sulle fibre aramidiche, sulla lavorazione post-cure, sull’ umidità e temperatura controllate…. l’ ordine di scuderia è : ”vetroresina con uno strato in meno rispetto al modello dell’ anno precedente e piastre di acciaio inox un po’ più strette”.


Sia qui che nella prima foto della pagina si vedono chiaramente gli effetti del sistema economico.

Il risultato è sotto gli occhi di tutti : non parliamo neppure di pinna in aria o di alberi in acqua (nessuno più si sogna di attraversare un oceano con una barca di serie di 9 o 10 metri come si faceva 30 anni fa), parliamo semplicemente di un bordo di bolina con un po’ di maretta di prua durante la crociera o la regatina con gli amici, parliamo di un bel crack del guscio e conseguente distacco della pinna.
Trazione, compressione, flessione?
No, sforzo di taglio, che è la principale sollecitazione negli strati del guscio intorno al collegamento con la pinna.
Qualsiasi sia la posizione della pinna (in acqua, in navigazione o all’ asciutto) lo sforzo di taglio è l’ azione dominante negli strati di composito.
La stessa cosa avviene sui plinti in calcestruzzo che sostengono i pilastri nelle strutture dei capannoni industriali: le solette dei plinti (che sono equiparabili al guscio dello scafo) sostengono e diffondono lo sforzo proveniente dei pilastri (che sono equiparabili alla pinna di deriva, naturalmente capovolta): le solette vengono verificate non solo a flessione ma anche a punzonamento (cioè a sforzo di taglio).
Infatti, tornando al nostro scafo, le fibre (che in questo caso sono ortogonali allo sforzo) possono fare ben poco…lo sforzo che devono sopportare viene ad essere amplificato del fattore radice quadrata di 2 (perché le linee di trazione viaggiano nello spessore con direzione a 45°) e la resistenza a rottura della resina conta ridotta circa di 1 fratto la radice di 3 (perché questo risulta nei provini di laboratorio tra tensione tangenziale e tensione assiale).
L’ amplificazione pari alla radice di 2 significa il 41% in più di sforzo.
La riduzione pari a 1 fratto la radice di 3 significa il 57% in meno di resistenza.
Vale a dire che rispetto al caso che il composito fosse sollecitato a sola trazione o a compressione le fibre tengono il 41 % in meno e la resina il 57 % in meno.
Un bel colpo !
Pensate che anche nell’ edilizia c’è la stessa tendenza: in zona sismica è lo sforzo di taglio (ancor più che la flessione) il responsabile dei crolli, ma poiché le armature di acciaio per sostenerlo dovrebbero esser inclinate a 45° e poiché far lavorare l’ operaio che piega le barre è costoso, si preferisce lasciare le barre rettilinee con l’ accortezza di  metterne un po’ di più anche trasversalmente (il 41% appunto).
Se l’ impresario lo mette va bene, ma se non lo mette ?
Confesso che è molto triste per me sapere che la tendenza odierna a tenere bassi i costi per restare competitivi invece che toccare le rifiniture estetiche (la forma) tocca le resistenze strutturali (la sostanza).
E torniamo così sempre a rimbalzare tra questi due concetti: forma e sostanza.
Se essi restano confinati nell’ ambito del modo di essere delle persone non creano grossi danni: possiamo sempre capire che un bell’ uomo o una bella donna pieni di tailleur e mutande firmati che scendono da bellissime automobili ma che dentro di sé non hanno nulla da dire non saranno mai persone che contano.
Ma se la forma e la sostanza diventano oggetto di speculazione allora c’è da ribellarsi con forza: credo fermamente che una barca dove si spende sulla cucina o nella pubblicità e si risparmi sull’ attacco scafo-pinna possa essere considerata un vero e proprio strumento di omicidio colposo.
Ed è ancora più triste notare che per sapere quali sono i cantieri più scellerati da questo punto di vista occorra leggere i giornali…a incidenti purtroppo già avvenuti.


Questo è il rimedio eseguito dal cantiere...un sostanzionso ingrandimento delle piastre.
Ma la marcatura CE a che è servita ?

Tutte le foto di questa pagina, esclusa la seconda e la terza,
sono state gentilmente concesse dal signor Massimo Nascimben. 

Vi aspetto il prossimo mese quando, in un' atmosfera ancora elettrizzante,
questo sito compirà 4 anni !

TORNA A ARTICOLI E CHIACCHIERE