Eccoci nel 2012 che segnerà la fine dei nostri problemi in quanto coinciderà con la fine del mondo.
Poichè però io sono molto scettico al riguardo, credo che i nostri problemi continueranno
e che la fine del mondo sia ancora molto lontana.
Pertanto questo mese (e i prossimi) vorrei occuparmi di un argomento di cui tutti i velisti parlano
da un sacco di anni ma che tuttavia resta sempre argomento di attualità.
Non si tratta né delle donne, né del vino, né del campionato di calcio, né tantomeno della politica, bensì
(come un po' umoristicamente vorrebbe dimostrare la foto seguente) de
I PESI A BORDO
...ovvero di quella barca ideale che tutti sogniamo, nata come
progetto per vincere e che vorremmo diventasse un confortevole yacht da passeggio.
E’ risaputo che a bordo di una barca a vela la quantità e l’ ubicazione dei pesi è un fatto importantissimo (lo è anche per quelle a motore, anche se in misura un po’ minore).
E’ altrettanto noto, o facilmente intuibile, che una parte dei pesi è “congenita”, cioè fa parte della barca e quindi risulti inamovibile (e di questo argomento parleremo tra un paio di mesi), mentre un’ altra parte è variabile sia per intensità che posizione.
Analizzare come i pesi siano in relazione tra loro in una barca da crociera e se e dove valga la pena ridurli è un argomento su cui la discussione è sempre aperta, mentre per le barche da regata o “da corsa” l’ argomento invece è bello che trattato: la corsa al dislocamento leggero è iniziata negli anni ’50 e continua tuttora, segno evidente che la riduzione dei pesi nelle competizioni è “conditio sine qua non” e paga sempre.
Prima di vedere come e perché distribuire i pesi in una barca da crociera ritengo appropriato però richiamare brevemente alcune semplici definizioni.
LE LINEE D’ ACQUA
Sono una delle cose più armoniose e belle che l’ uomo abbia creato o che possa ancora creare: possono essere un concentrato di potenza, di dolcezza o di equilibrio, addirittura possono definire un gusto o una moda o un periodo storico; sono in definitiva le linee che noi vedremmo proiettate su un foglio se ci divertissimo a “tagliare a fettine” uno scafo.
Sono i disegni che i progettisti adattano in continuazione al fine di ottenere prestazioni brillanti, stabilità e sicurezza in ogni situazione, naturalmente facendo i conti col mare e col vento e quindi giungendo sempre a un compromesso.
Queste linee tuttavia sono influenzate in modo determinante dall’ entità e dalla distribuzione dei pesi a bordo: è ciò che viene chiamato “variazione di assetto”.
Data la “liquidità” del mezzo in cui si trova ad essere accolta la barca, tale variazione di assetto può essere trasversale o longitudinale (o una combinazione di tutte e due).
L’ ASSETTO TRASVERSALE
Se proviamo a misurare all’ ormeggio l’ altezza che va dalla falchetta alla superficie dell’ acqua da entrambi i lati per un certo numero di barche, ci accorgeremo che difficilmente troveremo una barca che presenti la stessa misura tra dritta e sinistra.
Ciò non è molto importante: l’ assetto trasversale non ha in generale grande influenza sulle prestazioni e sulla sicurezza della navigazione, purché l’ entità della differenza sia contenuta: qualche centimetro di differenza su 1 metro di altezza di bordo libero è un valore ancora accettabile.
Su una barca di 12 metri di lunghezza fuori tutto e larga circa 4 metri, è sufficiente infatti spostare 5 membri di equipaggio del peso medio di 70 chilogrammi dal trincarino di dritta a quello di sinistra per ottenere una coppia di ben 1400 Kgm che è sufficiente a far immergere il fianco anche di 7 cm.
L’ ASSETTO LONGITUDINALE
Di gran lunga più importante è invece l’ assetto longitudinale: é quel modo di stare della barca che la fa definire come “appruata” o “appoppata”.
Si sa che una barca appruata diventa orziera, una appoppata diventa poggiera; la ragione mi pare di averla già spiegata qualche mese fa (forse è qualche anno fa…mio Dio, come passa il tempo !), comunque la ripeto qui molto brevemente: quando la barca è appruata significa che la parte “bagnata” dello scafo si posiziona più a prua rispetto all’albero (e alle vele); la forza del vento sulle vele si trova allora ad agire più verso poppa rispetto al nuovo centro di carena col risultato di far accostare lo scafo verso prua, e quindi a portarlo all’ orza.
Su tale barca ci si troverebbe un po’ nella stessa situazione di un aereo con il carico non distribuito uniformemente lungo la fusoliera: volerebbe lo stesso ma il pilota dovrebbe “tenerlo su” (o giù) con i timoni; in pratica volerebbe “col freno a mano tirato”.
In genere quasi tutte le barche da crociera si trovano nella seconda situazione, risultano cioè appoppate; la ragione principale è che quasi tutti tendiamo a stivare roba maggiormente là dove c’è più posto, cioè appunto nei gavoni di poppa.
E’ infatti quello che i progettisti o i tecnici in generale chiamano “momento di inerzia polare” che dipende dalla massa e dal quadrato della distanza che la separa dal baricentro; insomma l’ inerzia della barca di Malfatto sarebbe di 668x7x7 = 32732 Kgm2 mentre quella di Benfatto di 59x7x7 = 2891 Kgm2 : le conseguenze si sentiranno sia in termini di diminuzione di velocità, sia in termini di spruzzi più frequenti in coperta (e di ribellioni più o meno nascoste da parte degli stomaci di bordo).
Sappiamo bene che anche in crociera quello che tutti noi vorremmo avere è una barca veloce; il modo più sicuro per rallentarla è di appesantirla, cioè far immergere la sua linea al galleggiamento più di quanto previsto dal progettista: questo è il caso che avviene sempre in quelle barche che hanno vinto qualche regata e che in seguito sono state prodotte in serie e “rivestite” per l’ uso crocieristico.
E’ più o meno quello che succede se viaggiassimo con la nostra automobile con tutte e quattro le ruote sgonfie (per rendervi conto di quel che significa provate a farlo in bicicletta, e poi sappiatemi dire !).
Adesso con una serie di rapidi calcoletti simuleremo quel che succede a un 12 metri che vince le regate e che poi viene commercializzato per la crociera.
Situazione iniziale per vincere qualche regatina:
- Costruzione in vetroresina con sandwich e qualche rinforzo assiale in kevlar (tutto in carbonio non lo facciamo sennò poi come cantiere non riusciamo più a “fazzolettarlo” e a rivenderlo coma barca da crociera), struttura in acciaio di collegamento tra lande piede dell’ albero e chiglia, deriva e bulbetto in piombo con pescaggio intorno ai tre metri, alberatura in carbonio, arredamento interno insistente, motore entrobordo da 25 CV; dislocamento intorno ai 5500 Kg.
Trasformazione dello stesso progetto (con le stesse linee) commercializzato per la crociera:
- Inserimento di qualche foglio in più di vetroresina un po’ dappertutto soprattutto dove viene eliminato il kevlar, posizionamento della ferramenta di coperta necessaria: bitte d’ ormeggio, passacavi, musone e verricello; riduzione del pescaggio a m 1,80 (con conseguente accorciamento della pinna e incremento del peso del bulbo di 1500 Kg), alberatura in alluminio, arredamento interno completo con relativa impiantistica e serbatoi, motore entrobordo da 60 CV.
Risultato: nuovo dislocamento intorno ai 9000 Kg.
Archimede stabilisce che la differenza di peso di circa 3500 Kg ovviamente comporta una maggiore immersione che è facile stimare: ipotizzando un’ area dello scafo racchiusa dalla linea di galleggiamento originaria pari a circa 20 mq, si ottiene la bellezza di 17 cm di linee d’ acqua immerse in più con conseguente enorme aumento degli attriti e perdita di velocità e di accelerazione.
La cosa più divertente (o forse semplicemente più stupida) è che, una volta comperata la barca vestita in tal modo, l’ armatore sensibile alle novità tecnologiche e disposto a spendere pur di essere più veloce e più alla moda pensa bene di “modificare il progetto nato per la regata (che il cantiere ha trasformato in barca da crociera) così da farlo ridiventare da regata e poter avere una barca da crociera che vince le regate” !
Ciò che ho scritto purtroppo non è un paradosso comico ma è tanto vero che le avventure di questo signore ritengo possano essere seguite meglio nel prossimo nostro appuntamento.
P.S. Lo scorso autunno ho portato Luciano Michielin in Barcolana e
naturalmente ha scattato una miriade di foto....ne vedrete delle belle !