ARTICOLI E CHIACCHIERE COSE TRA NOI
GIUGNO 2014

Con un po' di orgoglio vi annuncio che
QUESTO E' L' ARTICOLO NUMERO 100
DI ARTICOLI E CHIACCHIERE

UOMO A MARE 1
 

Buongiorno Ingegnere,
le scrivo per complimentarmi riguardo i suoi "Articoli e Chiacchiere" sempre molto interessanti tecnicamente e allo stesso tempo attuali al nostro navigare italico.
Purtroppo sempre più spesso in questo mare magnum incontriamo ogni sorta di maleducazione, prepotenza e continua ostentazione quando questo Mare meraviglioso dovrebbe farci riscoprire un modus vivendi a diretto contatto con la natura, il piacere di osservare (non guardare), ascoltare il silenzio e percepire la vita che scorre intorno e dentro di noi. 
Ci sarebbe da scrivere pagine e pagine, ma mi limito a queste poche righe a conferma del suo modo di veleggiare e vivere il mare che molto condivido.
Nei suoi articoli non ho ancora trovato nulla riguardo la manovra di recupero uomo a mare (UAM) e mi farebbe piacere conoscere la sua opinione.
Faccio spesso questa domanda a persone come Lei molto attente alla sicurezza e che oltre alle note dotazioni di sicurezza obbligatorie ex legis, si interrogano se i mezzi a bordo sono sufficienti ed efficienti e non lesinano ad integrarli con sistemi più intelligenti per la salvaguardia delle persone a bordo.
Se osserviamo quanto viene descritto nei corsi per la patente nautica la manovra di UAM è molto diversa da quanto prescrivono i nostri cugini oltralpe per non parlare dei britannici e i loro corsi Yacht Master.
Ora cercando di usare il buon senso prima ancora di regole e mezzi chiedo a Lei come si comporterebbe se le capitasse di perdere una persona e quali istruzioni ha insegnato a sua moglie sola a bordo nel caso fosse lei il malcapitato anche in condizioni impegnative.
Premetto che essere legati è il cordone ombelicale che ci lega alla sopravvivenza, ma sempre per quei casi fortuiti che la vita a volte ci regala, sarebbe meglio essere preparati, non farsi prendere dal panico, tentare la manovra di maggior successo almeno per non avere rimorsi di coscienza.
Spero anche di poterla contattare presto per una perizia di una barca a vela. Purtroppo al momento devo risolvere un problema serio alla mano che ormai mi tiene lontano dal mare da troppo tempo.

Buon Vento
Andrea Citeroni

 
Ora io dico come si fa a non rispondere ad una lettera così ?
Carissimo Andrea è molto bello condividere uno “stile di vita” nell’ andar per mare, se poi a ciò si aggiunge anche una richiesta tecnico-morale più che legittima come parlare del recupero di un uomo a mare, non posso certo esimermi dal dire qualcosa.
Purtroppo le mie esperienze sono limitatissime e, senza alcun dubbio, credo che il personale della Guardia Costiera sia in grado di dare un contributo ben più consistente del mio.
Se solo penso a quanti interventi sono stati svolti in questi anni nel salvataggio di quei disperati in cerca di lavoro e invece malamente scaricati a mare dagli scafisti, mi vengono i brividi: noi diportisti pensiamo ad un eventuale incidente che possa capitarci mentre ce ne andiamo a spasso per il mare con le nostre barchette consultando manuali, inventandoci manovre, prevedendo il possibile, ma questo è nulla in confronto ai drammi umani cui assistiamo quasi ogni mese: è il risultato di un’ Europa che si è arrogata il diritto di colonizzare il continente africano unicamente in nome dello sfruttamento delle risorse naturali e che invece ha prodotto divari sociali profondissimi e (per ora) ancora incolmabili.
Mi lasci dire che è anche il risultato di un’ Europa profondamente ipocrita, che si trincea dietro a una crisi economica che in realtà è solo di facciata se paragonata con la fame (e la sete) patita da milioni di creature nell’ altro continente....Al riguardo credo proprio che potrei scrivere un libro perché sono stato testimone di ciò che dico e delle inimmaginabili privazioni di grandissima parte della popolazione africana....ma questa è un' altra storia che con la nautica da diporto non ha nulla a che vedere.
Tuttavia anche i professionisti della Guardia Costiera, pur ricchi di esperienza, possono contare durante i loro salvataggi di mezzi idonei, collegamenti efficienti e soprattutto di personale addestrato e…forzuto.
Tutt’ altra cosa avviene quando chi è impegnato in una manovra di salvataggio è invece un equipaggio familiare su una imbarcazione da diporto.
Quindi, tornando al nostro argomento, come per tutti i mali di questo mondo esistono solo due strategie di soluzione: la prevenzione e la cura.
La prevenzione è ovviamente non cadere in acqua.
La cura è ovviamente come risalire a bordo.

Questo mese preferirei dire la mia sulla prevenzione, lasciando al prossimo (o ai prossimi) la cura.

Cominciamo quindi proprio dalla cintura di sicurezza, di cui tutti noi conosciamo l' esistenza, ma quando la indossiamo o la facciamo indossare ?
E soprattutto a chi la facciamo indossare ?
Le assicuro, Andrea, che già rispondere a queste due domande implica fare dell’ ottima prevenzione.

Credo che non abbia alcun senso fare affermazioni del tipo: “La cintura va indossata da mare 4 in su”: ho visto gente cadere in acqua in baia solo perché il mezzo marinaio si era incattivato nell’ anello del gavitello e la barca continuava ad avanzare - molto lentamente - con la superficie del mare calma come uno specchio.
Ho visto gente cadere in acqua in porto perché la passerella era stata montata male.
Ho visto gente cadere in acqua all’ ormeggio nel lasciare la barca per salire nel tender.
Pertanto trovo sacrosanto ripetere quanto ho già scritto lo scorso mese di ottobre 2013: IL MOTO ONDOSO VA SEMPRE CONSIDERATO NEL RAPPORTO TRA RIPIDITÀ DELLE ONDE E DIMENSIONI DELLA BARCA.
Un “mare 4” affrontato con un natante lungo 8 metri che disloca 2 tonnellate e mezzo crea effetti completamente diversi se affrontato con una imbarcazione di 20 metri che disloca 35 tonnellate.
Tanto per capirci a bordo della mia barca (12 metri per 10 tonnellate) quando devo lasciare il pozzetto per muovermi in coperta mi lego "circa" da mare 4 in su e pretendo che il resto dell’ equipaggio resti seduto in pozzetto ma, considerando che ho 58 anni, questo parametro senz’ altro diventerà più restrittivo col tempo.
Ricordo poi che una volta rischiai grosso perché, con mare 2, un colpo di bora mi impose di arrotolare il genoa che non voleva saperne di obbedire e, nel provvedere a prua, mi beccai un paio di dolorose frustate dalle scotte: le mani sono l’ unico mezzo che ci permette di sfruttare gli appigli e di stare a bordo in caso di sbandamento; senza di esse siamo persi quando il pavimento balla sotto i nostri piedi.
Allora credo opportuno che le risposte a quelle due domande scritte più sopra vadano cercate non tanto in un manuale, quanto nelle condizioni psico-fisiche di chi è a bordo.
Da che cosa dipende infatti la “stabilità” di una persona in barca ?
Certo dipende dalla situazione oggettiva del rapporto tra dimensioni della barca e moto ondoso, ma non solo.
L’ età gioca un ruolo importantissimo: per esempio ho navigato portando in crociera mio figlio da quando aveva un anno e mezzo, ma era SEMPRE legato con una cintura su misura che mia moglie aveva confezionato per lui.
Quando navigo con qualche amico che ha superato i sessant’ anni e che so che conduce una vita sedentaria LO OBBLIGO a non alzarsi dal pozzetto e a non aiutarmi a fare manovre, mentre lascio libero di muoversi in coperta mio cugino Felice (che di anni ne ha 65) perché è stato insegnante di educazione fisica e tutt’ ora pratica alpinismo e ciclismo.
Anche l’ esperienza o l’ inesperienza è importante.
Se col mare calmissimo porto in barca qualcuno per la prima volta e lì  vicino passa un motoscafo lo avviso comunque di tenersi forte perché - per lui - quelle tre onde che faranno oscillare un po' la barca giungeranno inaspettate.
Talvolta vedo transitare dei motoscafi in planata con due o tre ragazzini seduti liberamente sul pulpito di prua e mi vengono i brividi…Basta poco perché uno scivoli sotto il pulpito e venga sfracellato dalle eliche, eppure….
Ancora: le rare volte che mi capita di uscire in barca da solo, MI LEGO E RESTO SEMPRE LEGATO fino a che non torno all’ ormeggio anche se c’è bonaccia.
Un caso ricorrente si presenta quando l’ amico che hai imbarcato ti chiede di fare pipì fuori bordo, tenendosi con una mano al pulpito di poppa.
Anche in questo caso come si fa a rispondere basandosi semplicemente con un dato oggettivo come la misura del moto ondoso ?
L’ amico è sano ? Che età ha ? Quale esperienza ha di navigazione ? In quel momento com’ è il mare ? La barca rolla o beccheggia ? Ha indossato le scarpe ? Sono scarpe chiuse e adatte o sono ciabatte infradito ? Ha le mani nude ? Ha indossato dei guanti ? Sono guanti che possono sfilarsi dalle mani ? Com’ è la superficie dove ha poggiato i piedi ? La sua persona è vincolata alla barca in almeno tre punti, due piedi più una mano ? I tre punti di appoggio passano per la stessa retta o sono tra loro quasi ortogonali ?

Quanti interrogativi ai quali non è immediato rispondere! 
Eppure la responsabilità anche in un gesto dettato da un bisogno così banale è comunque del comandante, perchè solo lui può dare il permesso o negarlo.
Poi, come spesso succede, tutto viene condensato nella frase: “Se proprio la vuoi fare vedi di farla dalla parte giusta, scemo non vedi che sei sopravento ?”
Come appare chiaramente dalle banalità che ho scritto non sono riuscito a rispondere alle due domande di cui sopra per il semplice fatto che non ho ricette valide; ho portato però degli esempi che mi auguro possano far ragionare un comandante, il che è già un bel passo avanti.

Naturalmente, oltre alla cintura, esistono anche altri modi e mezzi a disposizione dello skipper per fare prevenzione, cioè per evitare la caduta in mare.

Le passerelle.
Controllare le condizioni delle passerelle, delle loro cerniere se ripiegabili e fare attenzione ai loro punti di appoggio è buona cosa: come già detto è impressionante il numero delle persone che cade in mare salendo o scendendo dalle barche.
Ricordo una volta di aver assistito ad un volo fenomenale dello skipper titolare il quale aveva appena finito di installare la nuova passerella in fibra di carbonio e teak...

I candelieri.
Controllare le sedi dei candelieri lungo le falchette: essi possono essere imbullonati al loro sostegno a bicchiere oppure possono essere rivettati… In quest’ ultimo caso è molto importante verificare se i rivetti ci sono e/o se sono corrosi (N.B. rivetto = alluminio    bicchiere candeliere = acciaio inox    somma dei due = corrosione).
Mi è capitato più di una volta di salire a bordo di barche che avevano un candeliere che allegramente si sfilava dalla sua sede: un candeliere ben fissato in certe occasioni può essere determinante per salvare una vita.


Il boma.
Tutti lo sappiamo che può essere letale, eppure qualche botta la prendiamo ugualmente.
Oltre che imbottirne l' estremità, può essere fatta un’ ottima prevenzione semplicemente operando nel modo seguente: è normale portare in barca amici inesperti, magari con moglie e figli altrettanto inesperti, ed è normale far provare loro a tenere il timone sia per il loro divertimento che per saggiarne le attitudini.
Ebbene questa “concessione” sia ammessa solo nell’ andatura di bolina!
Anche se c’è solo un soffio di vento, appena questo provenga a poppavia del traverso, al timone ci deve stare solo una persona esperta.

Le foto.
Chi sta fotografando non vede le onde in arrivo ed ha quasi sempre le mani occupate, si trova cioè nella condizione ideale per non avere stabilità.
Inoltre chi viene fotografato talvolta si atteggia a esibizionismo, assumendo posizioni fachiresche a imperituro ricordo della “navigata con gli amici”.
Il comandante deve vegliare in queste situazioni, dare consigli e non lasciare mai troppa libertà di iniziativa o di movimento.


L’ alcool e la droga.
Beh, ritengo che qui ci sia poco da dire: considero entrambe queste “sostanze” un unico piccolo-grande dramma (anche se, chissà per quale arcana ragione, qui da noi il primo è legale e la seconda no).
Esse sono comunque entrambe l’ espressione del disagio psichico di una persona nella trattazione del quale
(ed anche sul diverso atteggiamento da parte della legge) mi guardo bene dall’ entrare in questa sede. 
Sia alcool che droga alterando la “stabilità dell' equilibrio” favoriscono la caduta in mare; quindi sia un’ uscita in mare con gli amici sia il fantasticare in coperta alla luce del tramonto risultano assai più gratificanti se goduti in condizioni di sobrietà; non necessitano quindi certo di "surrogati di qualsiasi genere" per far vedere bello ciò che lo è già.
Insomma, se una torta è già buona non ha certo bisogno di essere guarnita con la panna montata per essere meglio apprezzata.

La labirintite.
Già, potremmo anche avere tra i nostri amici qualcuno che ne sia affetto e che, pur di non rinunciare a una gita in barca, non ce lo dica.
Non dobbiamo certo trasformarci da skipper domenicali in ufficiali sanitari pretendendo da chi imbarchiamo anamnesi e certificati medici, tuttavia è doveroso pretendere sia una certa attenzione, sia una piena sincerità e confidenza. 

La psicologia.
Questo è un discorso un po' difficile, sia da fare che da comprendere.
Su talune persone la sicurezza o l' insicurezza generano degli stati psichici che possono sfociare nel terrore e quindi in comportamenti irresponsabili, imprevedibili o pericolosi. 
A tutela di quanto appena scritto la figura dello skipper è assolutamente determinante e, per comprendere meglio ciò che vorrei esprimere, non sarebbe male tornare a rileggere quanto scrissi nell' articolo del Dicembre 2009 dal titolo "Noi  e lei, ovvero il nostro mdulo di elasticità".
Lo skipper deve riuscire a comportarsi quasi costantemente da adulto-genitore (e vi assicuro che non è per nulla facile) perchè solo in questo caso riuscirà ad infondere sicurezza negli altri membri dell' equipaggio e quindi riuscirà ad evitare (o contenere) comportamenti pericolosi che, è bene ricordarlo, non con tutte le persone vengono repressi semplicemente vietandoli !

Ricordiamoci che il comandante (mi piace in questa occasione chiamarlo così, invece che skipper) è il solo e l’ unico responsabile di qualsiasi accidente e di qualsiasi comportamento si manifesti a bordo....E il comandante DEVE fare il comandante, anche se solo durante le poche ore di una uscita domenicale.

The captain’s word is law” dice la targhetta in ottone che molti appendono in barca nei pressi del carteggio.
“La parola del capitano, più che legge, deve essere prevenzione”, potremmo qui noi riassumere adesso....

...Infatti una delle cose che lo skipper deve fare assolutamente è insegnare a qualcun altro come avvicinare la barca a un galleggiante qualsiasi 
e come fermarla nel più breve tempo possibile; il prossimo mese vedremo quanto ciò sia essenziale.

Guai all’ uomo che tiene per sé un patrimonio di esperienze senza passarle ad altri !  

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