UOMO A MARE 1
Buongiorno
Ingegnere,
le
scrivo per complimentarmi riguardo i suoi "Articoli e Chiacchiere"
sempre molto interessanti tecnicamente e allo stesso tempo attuali al
nostro navigare italico.
Purtroppo sempre
più spesso in questo mare magnum incontriamo ogni sorta
di maleducazione, prepotenza e continua ostentazione
quando questo Mare meraviglioso dovrebbe farci riscoprire un modus
vivendi a diretto contatto con la natura, il piacere di osservare
(non guardare), ascoltare il silenzio e percepire la vita che scorre intorno e
dentro di noi.
Ci
sarebbe da scrivere pagine e pagine, ma mi limito a queste poche
righe a conferma del suo modo di veleggiare e vivere il mare che
molto condivido.
Nei
suoi articoli non ho ancora trovato nulla riguardo la manovra di recupero uomo
a mare (UAM) e mi farebbe piacere conoscere la sua opinione.
Faccio
spesso questa domanda a persone come Lei molto attente alla sicurezza e che
oltre alle note dotazioni di sicurezza obbligatorie ex legis, si
interrogano se i mezzi a bordo sono sufficienti ed efficienti e
non lesinano ad integrarli con sistemi più intelligenti per la
salvaguardia delle persone a bordo.
Se
osserviamo quanto viene descritto nei corsi per la patente nautica la
manovra di UAM è molto diversa da quanto prescrivono i nostri cugini oltralpe
per non parlare dei britannici e i loro corsi Yacht Master.
Ora
cercando di usare il buon senso prima ancora di regole e mezzi chiedo a
Lei come si comporterebbe se le capitasse di perdere una persona e
quali istruzioni ha insegnato a sua moglie sola a bordo nel caso fosse lei
il malcapitato anche in condizioni impegnative.
Premetto
che essere legati è il cordone ombelicale che ci lega
alla sopravvivenza, ma sempre per quei casi fortuiti che la vita a
volte ci regala, sarebbe meglio essere preparati, non farsi prendere dal
panico, tentare la manovra di maggior successo almeno per non avere
rimorsi di coscienza.
Spero anche di poterla contattare presto per una perizia di
una barca a vela. Purtroppo al momento devo risolvere un problema serio alla
mano che ormai mi tiene lontano dal mare da troppo tempo.
Buon
Vento
Andrea
Citeroni
Ora io
dico come si fa a non rispondere ad una lettera così ?
Carissimo
Andrea è molto bello condividere uno “stile di vita”
nell’ andar per mare, se
poi a ciò si aggiunge anche una richiesta tecnico-morale
più che legittima come parlare del recupero di un uomo a mare,
non posso certo esimermi dal dire qualcosa.
Purtroppo
le mie esperienze sono limitatissime e, senza alcun dubbio, credo che il personale
della Guardia Costiera sia in grado di dare un contributo ben più consistente
del mio.
Se solo
penso a quanti interventi sono stati svolti in questi anni nel salvataggio di quei
disperati in cerca di lavoro e invece malamente scaricati a mare dagli scafisti,
mi vengono i brividi: noi diportisti pensiamo ad un eventuale incidente che
possa capitarci mentre ce ne andiamo a spasso per il mare con le nostre
barchette consultando manuali, inventandoci manovre, prevedendo il possibile,
ma questo è nulla in confronto ai drammi umani cui assistiamo quasi ogni mese: è
il risultato di un’ Europa che si è arrogata il diritto di colonizzare il
continente africano unicamente in nome dello sfruttamento delle risorse
naturali e che invece ha prodotto divari sociali profondissimi e (per ora)
ancora incolmabili.
Mi lasci
dire che è anche il risultato di un’ Europa profondamente
ipocrita, che si
trincea dietro a una crisi economica che in realtà è solo
di facciata se
paragonata con la fame (e la sete) patita da milioni di creature
nell’ altro
continente....Al riguardo
credo proprio che potrei scrivere un libro perché sono stato
testimone di ciò che dico e delle inimmaginabili privazioni di
grandissima parte della popolazione africana....ma questa è un'
altra storia che con la nautica da diporto non ha nulla a che vedere.
Tuttavia
anche i professionisti della Guardia Costiera, pur ricchi di esperienza,
possono contare durante i loro salvataggi di mezzi idonei, collegamenti
efficienti e soprattutto di personale addestrato e…forzuto.
Tutt’ altra cosa
avviene quando chi è impegnato in una manovra di salvataggio è invece un equipaggio
familiare su una imbarcazione da diporto.
Quindi,
tornando al nostro argomento, come per tutti i mali di questo mondo esistono
solo due strategie di soluzione: la prevenzione e la cura.
La
prevenzione è ovviamente non cadere in acqua.
La cura è
ovviamente come risalire a bordo.
Questo mese
preferirei dire la mia sulla prevenzione, lasciando al prossimo (o ai prossimi)
la cura.
Cominciamo
quindi proprio dalla cintura di sicurezza, di cui tutti noi
conosciamo l' esistenza, ma quando la indossiamo o la
facciamo indossare ?
E soprattutto
a chi la facciamo indossare ?
Le
assicuro, Andrea, che già rispondere a queste due domande implica fare dell’
ottima prevenzione.
Credo che non abbia alcun senso fare affermazioni del tipo: “La cintura va
indossata da mare
Ho visto
gente cadere in acqua in porto perché la passerella era stata montata male.
Ho visto
gente cadere in acqua all’ ormeggio nel lasciare la barca per salire nel
tender.
Pertanto
trovo sacrosanto ripetere quanto ho già scritto lo scorso mese di ottobre 2013:
IL MOTO ONDOSO VA SEMPRE CONSIDERATO NEL RAPPORTO TRA RIPIDITÀ DELLE ONDE E
DIMENSIONI DELLA BARCA.
Un “mare
Tanto per
capirci a bordo della mia barca (
Ricordo poi che una volta rischiai grosso perché, con mare 2, un colpo di bora mi
impose di arrotolare il genoa che non voleva saperne di obbedire e, nel
provvedere a prua, mi beccai un paio di dolorose frustate dalle scotte: le mani
sono l’ unico mezzo che ci permette di sfruttare gli appigli e di stare a bordo
in caso di sbandamento; senza di esse siamo persi quando il pavimento balla
sotto i nostri piedi.
Allora
credo opportuno che le risposte a quelle due domande scritte più sopra vadano
cercate non tanto in un manuale, quanto nelle condizioni psico-fisiche di chi è
a bordo.
Da che cosa
dipende infatti la “stabilità” di una persona in barca ?
Certo
dipende dalla situazione oggettiva del rapporto tra dimensioni della barca e
moto ondoso, ma non solo.
L’ età
gioca un ruolo importantissimo: per esempio ho navigato portando in crociera
mio figlio da quando aveva un anno e mezzo, ma era SEMPRE legato con una
cintura su misura che mia moglie aveva confezionato per lui.
Quando
navigo con qualche amico che ha superato i sessant’ anni e che so che conduce
una vita sedentaria LO OBBLIGO a non alzarsi dal pozzetto e a non aiutarmi a
fare manovre, mentre lascio libero di muoversi in coperta mio cugino Felice
(che di anni ne ha 65) perché è stato insegnante di educazione fisica e tutt’
ora pratica alpinismo e ciclismo.
Anche l’
esperienza o l’ inesperienza è importante.
Se col mare
calmissimo porto in barca qualcuno per la prima volta e lì vicino passa un motoscafo lo avviso comunque
di tenersi forte perché - per lui - quelle tre onde che faranno oscillare un po' la barca giungeranno inaspettate.
Talvolta
vedo transitare dei motoscafi in planata con due o tre ragazzini seduti
liberamente sul pulpito di prua e mi vengono i brividi…Basta poco perché uno
scivoli sotto il pulpito e venga sfracellato dalle eliche, eppure….
Ancora: le rare
volte che mi capita di uscire in barca da solo, MI LEGO E RESTO SEMPRE LEGATO
fino a che non torno all’ ormeggio anche se c’è bonaccia.
Un caso
ricorrente si presenta quando l’ amico che hai imbarcato ti chiede di fare pipì
fuori bordo, tenendosi con una mano al pulpito di poppa.
Anche in
questo caso come si fa a rispondere basandosi semplicemente con un dato oggettivo
come la misura del moto ondoso ?
L’ amico è
sano ? Che età ha ? Quale esperienza ha di navigazione ? In quel momento com’ è
il mare ? La barca rolla o beccheggia ? Ha indossato le scarpe ? Sono scarpe
chiuse e adatte o sono ciabatte infradito ? Ha le mani nude ? Ha indossato dei
guanti ? Sono guanti che possono sfilarsi dalle mani ? Com’ è la superficie
dove ha poggiato i piedi ? La sua persona è vincolata alla barca in almeno tre
punti, due piedi più una mano ? I tre punti di appoggio passano per la stessa
retta o sono tra loro quasi ortogonali ?
Quanti interrogativi ai quali non è immediato rispondere!
Eppure la responsabilità anche in un gesto dettato da un
bisogno così banale è comunque del comandante, perchè solo lui può dare il
permesso o negarlo.
Poi, come
spesso succede, tutto viene condensato nella frase: “Se proprio la vuoi fare
vedi di farla dalla parte giusta, scemo non vedi che sei sopravento ?”
Come appare
chiaramente dalle banalità che ho scritto non sono riuscito a rispondere alle
due domande di cui sopra per il semplice fatto che non ho ricette valide; ho
portato però degli esempi che mi auguro possano far ragionare un comandante, il
che è già un bel passo avanti.
Naturalmente,
oltre alla cintura, esistono anche altri modi e mezzi a disposizione dello
skipper per fare prevenzione, cioè per evitare la caduta in mare.
Le passerelle.
Controllare
le condizioni delle passerelle, delle loro cerniere se ripiegabili e fare
attenzione ai loro punti di appoggio è buona cosa: come già detto è
impressionante il numero delle persone che cade in mare salendo o scendendo
dalle barche.
Ricordo una volta di aver assistito ad un volo fenomenale
dello skipper titolare il quale aveva appena finito di
installare la nuova passerella in fibra di carbonio e teak...
I
candelieri.
Controllare
le sedi dei candelieri lungo le falchette: essi possono essere
imbullonati al
loro sostegno a bicchiere oppure possono essere rivettati… In
quest’ ultimo
caso è molto importante verificare se i rivetti ci sono e/o se
sono corrosi (N.B. rivetto = alluminio bicchiere candeliere =
acciaio inox somma dei due = corrosione).
Mi è
capitato più di una volta di salire a bordo di barche che avevano un candeliere
che allegramente si sfilava dalla sua sede: un candeliere ben fissato in certe
occasioni può essere determinante per salvare una vita.
Il boma.
Tutti lo
sappiamo che può essere letale, eppure qualche botta la prendiamo ugualmente.
Oltre che imbottirne l' estremità, può essere
fatta un’ ottima prevenzione semplicemente operando nel modo seguente: è normale portare
in barca amici inesperti, magari con moglie e figli altrettanto inesperti, ed è
normale far provare loro a tenere il timone sia per il loro divertimento che
per saggiarne le attitudini.
Ebbene
questa “concessione” sia ammessa solo nell’ andatura di bolina!
Anche se c’è
solo un soffio di vento, appena questo provenga a poppavia del traverso, al
timone ci deve stare solo una persona esperta.
Le foto.
Chi sta
fotografando non vede le onde in arrivo ed ha quasi sempre le mani occupate, si
trova cioè nella condizione ideale per non avere stabilità.
Inoltre chi
viene fotografato talvolta si atteggia a esibizionismo, assumendo posizioni fachiresche a
imperituro ricordo della “navigata con gli amici”.
Il
comandante deve vegliare in queste situazioni, dare consigli e non
lasciare mai troppa libertà di iniziativa o di movimento.
L’ alcool e
la droga.
Beh,
ritengo che qui ci sia poco da dire: considero entrambe queste
“sostanze” un
unico piccolo-grande dramma (anche se, chissà per quale arcana
ragione, qui da
noi il primo è legale e la seconda no).
Esse sono comunque entrambe l’ espressione
del disagio psichico di una persona nella trattazione del quale (ed anche sul diverso atteggiamento da parte della legge) mi
guardo bene
dall’ entrare in questa sede.
Sia alcool che droga alterando la
“stabilità dell' equilibrio” favoriscono
la caduta in mare; quindi sia un’ uscita in mare con gli amici
sia il fantasticare in coperta alla
luce del tramonto risultano assai più gratificanti se goduti in
condizioni di
sobrietà; non necessitano quindi certo di "surrogati di
qualsiasi genere" per far vedere bello ciò che lo è
già.
Insomma, se una
torta è già buona non ha certo bisogno di essere guarnita con la panna montata per essere meglio apprezzata.
La
labirintite.
Già,
potremmo anche avere tra i nostri amici qualcuno che ne sia affetto e che, pur
di non rinunciare a una gita in barca, non ce lo dica.
Non dobbiamo
certo trasformarci da skipper domenicali in ufficiali sanitari
pretendendo da
chi imbarchiamo anamnesi e certificati medici, tuttavia è doveroso pretendere sia una certa
attenzione, sia una piena sincerità e confidenza.
Questo è un discorso un po' difficile, sia da fare che da comprendere.
Su talune persone la sicurezza o l' insicurezza generano degli stati
psichici che possono sfociare nel terrore e quindi in comportamenti
irresponsabili, imprevedibili o pericolosi.
A tutela di quanto appena scritto la figura dello skipper è
assolutamente determinante e, per comprendere meglio ciò che
vorrei esprimere, non sarebbe male tornare a rileggere quanto scrissi
nell' articolo del Dicembre 2009 dal titolo "Noi e lei, ovvero il
nostro mdulo di elasticità".
Lo skipper deve riuscire a comportarsi quasi costantemente da
adulto-genitore (e vi assicuro che non è per nulla facile) perchè solo in questo caso riuscirà ad
infondere sicurezza negli altri membri dell' equipaggio e quindi riuscirà ad
evitare (o contenere) comportamenti pericolosi che, è bene
ricordarlo, non con tutte le persone vengono repressi semplicemente vietandoli !
Ricordiamoci che il comandante (mi piace in questa occasione chiamarlo così, invece che skipper) è il solo e l’ unico responsabile di qualsiasi accidente e di qualsiasi comportamento si manifesti a bordo....E il comandante DEVE fare il comandante, anche se solo durante le poche ore di una uscita domenicale.
“The
captain’s word is law”
dice la targhetta in ottone che molti appendono in barca nei pressi del
carteggio.
“La parola
del capitano, più che legge, deve essere prevenzione”, potremmo qui noi riassumere
adesso....
...Infatti una
delle cose che lo skipper deve fare assolutamente è insegnare a qualcun altro
come avvicinare la barca a un galleggiante qualsiasi
e come fermarla nel più breve tempo possibile; il prossimo mese vedremo quanto ciò sia essenziale.