Ricevo sempre più spesso lettere o telefonate di persone
che si complimentano con i miei scritti ma che non tutte poi pubblico in questa sede.
Ne sono compiaciuto, anche se francamente non mi pare di
esprimere nulla di eccezionale.
Ultimamente, anzi, mi pare di non aver quasi più nulla da
dire di nauticamente utile, sia perché ho già scritto tanto, sia perché gli
argomenti non sono infiniti, sia perché anche io ho dei pesanti limiti
culturali.
Il mio curriculum scolastico di maturità classica e laurea in ingegneria civile è stato quello che è stato,
così come il mio curriculum di “bricoleur” e quello di navigatore…Così ho
pensato di dedicarmi oggi a qualcosa di molto attuale: al rapporto tra pandemia
e barca.
Prima però lasciate che vi racconti un fatto che, anche se
non sembra, ha invece abbastanza a che vedere con la nautica e che mi ha dato
l’idea per il titolo di questo mese.
So che non solo per il sottoscritto, ma anche per molti di
voi, una delle più belle soddisfazioni nel passare certi momenti in barca è il
rito del Prosecco: trattasi del momento dell’ aperitivo (in coppia o con gli
amici) che segue la giornata di manutenzione o di navigazione e prelude al
riflesso che i raggi del sole al tramonto creano sulle bollicine che contornano
le superfici interne del bicchiere.
Alcoolisticamente romantico, quasi poetico, no?
Innegabilmente è un bel momento che siamo in molti a
sognare durante gli inverni nebbiosi e che mia moglie, di origini autenticamente friulane, apprezza molto.
Ebbene, circa 30 anni fa mi trovai ad avere come cliente il
signor Celestino Stramare che voleva ampliare la sua casa a Funer di
Valdobbiadene, ridentissima frazione immediatamente ad ovest della celebre
località nota per il Prosecco e il Cartizze DOC.
Con l’ occasione, ricordo, Celestino mi fece visitare la sua cantina
costruita a fine ‘800 e che ospitava botti rigorosamente in legno e la sua
vigna che si stendeva sulle pendici della collina subito sotto, situata in
pieno sole dall’ alba al tramonto.
Quella volta spinò dalla botte il Prosecco che allora
produceva: paglierino, profumatissimo, pareva di annusare una cornucopia piena
di mele, pere, albicocche, prugne, fichi…E le bollicine non avevano nulla di
aggressivo: erano lì a contornare il bicchiere, piccolissime e delicate, in una
parola “naturali”.
Oggi se comperiamo una bottiglia di Prosecco DOCG (*), caro
finché si vuole e millesimato finché si vuole, dopo il gran botto del tappo che
salta ci troviamo davanti a una bibita piena di bolle all’ inverosimile, senza
alcun aroma o profumo e che ci lascia in gola una forte sensazione di acidità.
E’ il risultato della politica dell’ espansione della zona
DOC a tutto il Triveneto, voluta dal Governatore della nostra regione,
che ha inesorabilmente portato ai trattamenti antiparassitari a
manetta, all’ aggiunta dei solfiti, alla
“stagionatura” in autoclave con
aggiunta di CO2 (come la Coca Cola) e a chissà quali altre
diavolerie di cui non sono nemmeno a conoscenza…
Oggi Celestino, di fronte a tale “imbarbarimento
commerciale”, non
produce più Prosecco: produce “Valdobbiadene DOCG”,
con lo stesso vitigno
(Glera) e con gli stessi criteri di stagionatura, ma con coltivazione
biologica...(si pensi che per fertilizzare le vigne usa il letame di
vacca non con frammista la segatura che non si decompone, ma con la
paglia che lui stesso compera e fornisce agli allevatori per fare la
lettiera delle loro vacche)...come una volta, insomma!
Produce inoltre una serie di bottiglie senza solfiti che,
guarda caso, somigliano sorprendentemente per profumo e per moderazione di
bollicine a quel vino che sorseggiai 30 anni fa….e che costano anche meno.
“Stramaret” è il soprannome della sua famiglia, che di
cognome fa Stramare.
Sul fatto che oggi il mercato, cioè la richiesta della
grande produzione, richieda un tipo di bevanda (più truccata) e non un’ altra (più
naturale) è un dato oggettivo.
Sul fatto che oggi viene sempre più usato il prefisso “bio”
che una volta non esisteva (perché unico e naturale era il modo di coltivare e
allevare) pure.
Tornando alle nostre barche, pur producendo una notevole
scia di bollicine, esse non possono certo dirsi un prodotto “bio” con tutta
quella caterva di plastica con cui sono costruite.
Il navigarci sopra tuttavia rappresenta ancora un modo di
passare il tempo abbastanza biologico, soprattutto in questi mesi (ormai anni)
di pandemia.
Queste brevi immagini mi fanno sempre emozionare: sono le bollicine della scia della mia barca che, accompagnate dalle prime note di ”Torna a Surriento”, per me si vestono di autentica magia….
Sicché mi sono chiesto: l’ attuale situazione di libertà ristrette
e a singhiozzo ha modificato e come il rapporto tra noi e le nostre barche?
Per cominciare mi viene in mente una breve storia che
risale all’ 11 e 12 gennaio scorsi.
Mi ha telefonato Gino Bargellini da Arcola, in provincia di
La Spezia, chiedendo la mia disponibilità ad effettuare una perizia a Split
(Croazia) su di un Grand Soleil 40.
Si fosse trattato di un periodo primaverile senza epidemie
in giro non ci sarebbero stati problemi.
Ma essendo in gennaio e in piena pandemia i problemi ci
sono stati, eccome.
Abbiamo, lui ed io, dovuto cominciare dalla consultazione
degli aggiornamenti normativi riguardanti il traffico frontaliero tra Italia,
Slovenia e Croazia, naturalmente aggiornati alla situazione in evoluzione da
settimana a settimana.
Abbiamo considerato ciò che si poteva fare e ciò che non si
poteva fare, in merito al viaggio, alle soste, ai tamponi, ai controlli…
Abbiamo scaricato moduli, autocertificazioni, e inviato
mail a uffici governativi di cui ignoravamo l’ esistenza, quindi dopo aver
prenotato l’ albergo siamo partiti in auto.
Di fatto uscire dall’ Italia non ha comportato alcun
controllo: solo la polizia Slovena ci ha chiesto dove andavamo e perché, poi
nessun altro stop.
Il problema è stato il meteo: non finirò mai di scrivere
che il mare Adriatico così incastrato tra gli Appennini, le Dolomiti e le Alpi
Dinariche, così lungo e stretto, così climaticamente diverso tra sud e nord,
così orograficamente diverso tra ovest ed est è veramente un casino meteorologico
!
Lasciato il Carso triestino col cielo un po’ nuvoloso e
assenza di vento, valicando l’ Istria ha cominciato a nevicare con bora fissa e
ghiacciata; scesi a Rijeka (Fiume) pareva una discreta giornata autunnale; infilata
la galleria che passa sotto la catena montuosa e porta l’ autostrada in
direzione di Zagreb è iniziata una autentica bufera di neve e bora, tanto che Gino
ha dovuto ridurre la velocità dell’ auto a 60 Km/h.
Poi, piegando verso sud, gradualmente la neve ha cessato,
il ghiaccio sulla strada si è sciolto e, scendendo dal Velebit verso Zadar, è
uscito il sole.
A Sebenico sembrava primavera, a Split quasi estate… il
tutto a 6 ore e mezza dalla partenza !
A Split abbiamo sperimentato la disciplina croata nei
confronti della pandemia: tutto rigorosamente chiuso, non un bar o un
ristorante aperto.
Aperto solo qualche supermercato, giusto per non far patir
la fame agli abitanti.
Gino, consapevole della tormenta di neve passata, il giorno
dopo ha ironicamente definito la mia prestazione come “una perizia coi fiocchi”
!
Il ritorno, lungo la Jadranska Magistrala (la strada
costiera che collega tutte le località dalmate) è stato senza neve e ghiaccio,
col sole e con i panorami mozzafiato sulle isole visti dalle pendici della
catena del Velebit. Ancora una volta non un locale pubblico aperto.
“Come faremo adesso a varcare due frontiere senza aver
potuto fare i tamponi prescritti entro le 48 ore?” dissi a Gino.
Semplice: alle frontiere non ci ha fermato nessuno, né in
Croazia, né in Slovenia né il Italia.
Poi per Gino è stata una impresa non da poco partire da
Split e portare la barca a Lerici durante i primi giorni dello scorso mese di
marzo.
Ma, in questa situazione di restrizioni, senza mollare gli ormeggi risulta complesso anche il
solo andare a trovare la nostra amata barca per accudirla: aprire gli
osteriggi, cambiare l’ aria interna, far uscire un po’ di umidità, levigare e
ritoccare i legni esterni, magari farci anche un giretto sopra o anche solo
avviare il motore… Tutte attività che possono diventare impossibili in zona
arancio o rossa.
Sono infatti attività che, oltre a dover essere svolte spesso
presso Comuni (talvolta anche Regioni) diversi, sono “hobbistiche” e non certo considerabili
come “comprovate esigenze di lavoro”.
Quindi i relativi spostamenti che ne conseguono sono
perseguibili.
Certo l’ autorità pubblica preposta alla salute può
obiettare che senza barca si vive lo stesso e che pertanto sia di gran lunga
più importante far di tutto per non diffondere il contagio (leggi starsene a
casa).
Vero, ma che contagio posso diffondere se sono da solo,
all’ aria aperta e ho a che fare solamente con un ammasso di vetroresina,
alluminio e legno che non respira?
Tuttavia questa forma di “isolamento” a bordo - perché una
barca che naviga è in effetti un’ isola - fa sì che il navigare per diporto risulti
un modo di passare il tempo libero di gran lunga più rispondente alle
prescrizioni anti-contagio che non il prendere il sole su uno sdraio in
spiaggia, o il bere una bibita al bar o il passeggiare tra le vetrine…
Pare
che il mondo della politica tale messaggio lo abbia recepito: infatti la
Regione del Veneto nella circolare del 09.03.2021 riguardante le principali
regole relative alle zone rosse dice: “è
ammesso spostamento verso seconde case, anche fuori comune e regione (V.faq
Governo, zona rossa); sono assimilate le strutture fisse diverse dalle case
(es. roulotte, imbarcazione cabinata, ecc.).
Il concetto di isolamento ben si sposa infatti con la navigazione
da diporto.
Navigando sul mare non ci sono code agli impianti di
risalita, non ci sono assembramenti al banco del bar, non ci sono promiscuità
tra gli ombrelloni.
Quindi dovrebbe essere una attività consentita, o per lo
meno disciplinata ma con minori precauzioni.
Insomma se posso andare a trovare i parenti insieme a mia
moglie e ad un figlio di età inferiore a 14 anni, dovrei poter anche andare a
trovare la mia barca.
Così come non vorrei che l’ attuale governo recuperasse
quella normativa “fantasiosa” cui ho fatto riferimento nell’ articolo dello
scorso mese di ottobre 2020: si trattava della Circolare Ministeriale sull’ Aggiornamento della Sorveglianza
Sanitaria sulle imbarcazioni da diporto.
Mi permetto di
definirla “fantasiosa” perché per redigerla innegabilmente è occorsa molta
fantasia che, come si sa, è sempre lontana dalla realtà.
Ma queste sono impressioni mie personali che non contano
nulla.
Per esempio se io dico che “è essenziale debellare il virus
così da consentire al più presto la ripresa economica” è come se dicessi che l’
acqua è bagnata, o che il ghiaccio è freddo.
Ma se quelle stesse parole le dice un segretario di
partito, ecco che i giornalisti ne diffondono subito la notizia.
E’ la differenza che c’ è tra me e un segretario di
partito….E’ costruita dai giornalisti.
Poi assisto comunque a delle contraddizioni mostruose: a me
non è consentito di recarmi alla darsena per manutentare la mia barca, ma mi è
consentito recarmici per far parte del comitato organizzatore delle Selezioni
Interzonali FIV della classe Optimist.
Nel primo caso me ne starei solo soletto a lavorare in
barca, nel secondo invece sarei in mezzo a circa 200 persone, tra ragazzi
iscritti, allenatori e accompagnatori.
All’ aperto certo, sul mare certo,… ma anche a bordo della
mia barca sarei all’ aperto e sul mare.
Probabilmente è perché se vado da solo sulla mia barca
nessuno mi controlla la temperatura né mi fa il tampone, mentre alle Selezioni
Interzonali sì.
Concludo con la seguente vignetta….
Dove il messaggio che capisco io non è: ”Fate sesso e
divertitevi invece che studiare come scemi”, ma piuttosto in senso molto più
lato: “Vogliate bene al prossimo usando il cuore e non preoccupatevi solo di
combinare ingiustizie usando il cervello”.
Perché ormai di gente che ricopre incarichi importanti e
che è in grado solo di usare cinicamente il cervello senza preoccuparsi delle
conseguenze è piena l’ Italia, è piena l’ Europa, è pieno il mondo.
(*) Credo tutti sappiamo la differenza che c’è tra DOC e
DOCG.
Forse non tutti sappiamo che alla seconda e più recente
denominazione ci sono stati costretti i produttori della fascia collinare che
in origine era DOC (Valdobbiadene, S. Pietro di Barbozza, Santo Stefano, Guia,
Guietta, Col San Martino, Farra di Soligo, Solighetto, Follina, Refrontolo,
Arfanta e la zona del Feletto di Conegliano).
Ci sono stati costretti per tornare a distinguersi da
quando la zona Prosecco DOC è stata dilatata a tutto il Triveneto dove si vendemmiava
Merlot, Raboso, Cabernet, Pinot, Tocai, Incrocio Manzoni, Refosco, ecc…
Ecco che chi produceva Prosecco DOC si è trovato a doversi
distinguere producendo Prosecco DOCG.
Tutto ciò ha portato naturalmente a produrre troppo e
peggio (perché allargandosi i produttori onesti si sono inevitabilmente
allargati anche quelli speculatori), così gli onesti si trovano a dover
fronteggiare una concorrenza sempre più spietata e qualcuno ha pensato bene di
importare l’ uva anche dall’ estero…
Ecco che una G “aggiunta” mette le cose a
posto.
Tornando a creare un confine, questo dovrebbe anche contribuire a separare
la qualità delle produzioni.
Ma, caro Governatore, dopo quel che hai combinato sarà proprio così ?