E’ già passato più di un anno (aprile 2008) da quando ebbi un incontro con l’ architetto Vismara di Viareggio durante il quale scambiammo un po’ di chiacchiere insieme.
Non so quale opinione si sia fatta l’ architetto di me, certo è che la mia nei suoi confronti è stata positiva.
E’ senza dubbio un uomo che ha avuto il coraggio di fare una scelta giusta: è riuscito a ritagliarsi una fetta di mercato nautico del tutto particolare e, per ora, vincente: costruire barche a vela da crociera (e non solo) adottando materiali innovativi e tecnologie molto spinte in collaborazione con la ricerca universitaria; barche-prototipi molto veloci, molto leggere, molto razionali, vestite a capriccio dell’ armatore e dotate di tutti gli accessori per rendere confortevole la navigazione e la vita di bordo.
Insomma, Vismara ha pensato di costruire tecnologico per togliere chili e guadagnare prestazioni senza rinunciare al comfort.
Inutile dire che ciò significa costruire per ricchi; infatti questa è la clientela del cantiere Vismara.
Potrei paragonare le barche made in Italy di Vismara alle barche made in Finland di Baltic, forse con un po’ meno tradizione nelle linee ma senza dubbio con un po’ più attenzione per il look e le prestazioni.
Se il ritratto di Alessandro Vismara finisse qui, potrebbe essere quello di un capace e fortunato imprenditore qualsiasi, invece l’ uomo si è rivelato in una frase che mi ha rivolto con lo sguardo velato di impotente tristezza.
In risposta a una mia considerazione sulle strutture di un capannone collassate visibili nelle vicinanze di dove ci trovavamo e alla mia diagnosi che “togliere chili alla fine porta a ridurre sezioni e costi ma anche resistenze” Vismara amaramente commentò:
“Già è così. Pensi che io faccio barche progettate per attraversare gli oceani, poi gli armatori le varano, ci passano dieci giorni con la famiglia in Sardegna, e poi non ci vanno più”.
E torniamo così al tema iniziato il mese scorso: è proprio necessario avere l’ albero di carbonio per attraversare l’ Adriatico (o per andare in Sardegna) ?
O forse, al di fuori delle competizioni, l’ accessoristica all‘ ultimo grido serve solo per far fare fatturato alle industrie produttrici e quindi serve - si fa per dire - a quegli “armatori” cui la navigazione interessa poco o nulla ?
Se ciò è avvilente per Vismara (che oltre ad essere un appassionato di barche è anche un imprenditore che ha assolutamente bisogno di fatturato) figuratevi quanto lo è per me che sono come voi un semplice appassionato.
E’ assolutamente vero il fatto che le darsene pullulano di barche sia a vela che a motore che sarebbero in grado di attraversare oceani e che invece passano la loro “vita nautica” sempre legate alla banchina, ma è anche vero che non sempre i moderni progetti e i materiali avveniristici sortiscono un buon “effetto marino”.
Sarò più esplicito.
Durante quella mia visita a Viareggio vidi sul piazzale una barca prodotta dal cantiere, sui 50 piedi di lunghezza, che era andata “a scogli”: il siluro di estremità della chiglia aveva una botta e una fessura paurose ma l’ attacco chiglia-scafo era perfetto.
Le fibre composite e le tecnologie sottovuoto permettono oggi di realizzare gusci veramente a prova di bomba non solo, ma la loro leggerezza (rapportata a materiali più tradizionali come la vetroresina) fa sì che, in caso di urto, la forza di inerzia derivante sia molto inferiore.
Il difetto però sta nella loro rigidità, cioè nella mancanza di deformazione: hanno una resistenza enorme ma, nel momento in cui cedono, si disintegrano (questo aspetto l’ abbiamo già visto nell’ articolo di settembre 2006).
Infatti in altre due barche sul piazzale (compreso quel 50 piedi) notai come le estremità delle pale dei timoni fossero decisamente spezzate.
Questo incidente aveva come causa il collasso del materiale dovuto all' urto sul fondale; il progetto delle pale dei timoni aveva previsto infatti dei profili strettissimi e molto profondi (tipo l’ ala di un gabbiano, per intenderci) e quindi a grande pescaggio.
Immaginate ciò che succede quando la barca viene ormeggiata di poppa, vicino alla banchina: il timone inesorabilmente tocca e un po’ di oscillazioni fanno il resto.
Qualcuno può chiedersi: “ma come mai occorre un timone così profondo ?”
Ecco, questo è uno scotto che si paga se si vuole correre, basta guardare i progetti attuali: la barca vista dall’ alto è diventata un triangolo col baglio massimo all’ altezza dei giardinetti (o addirittura tutto a poppa) e deve navigare il più possibile diritta, infatti i siluri di zavorra sotto la chiglia sono sempre più in basso per creare il momento raddrizzante più elevato possibile; spesso le chiglie sono retrattili (altrimenti il pescaggio non consente l’ attracco nei porti turistici) o sono addirittura basculanti sopravvento.
Il fatto è che quando la barca si inclina (anche poco) le sue forme “a triangolo” la fanno diventare immediatamente orziera.
Digressione culturalmente necessaria per coloro che non hanno mai letto “Lo Yacht” di Carlo Sciarrelli.
Può sembrare curioso il fatto che uno scafo a vela dalle forme diverse tra prua e poppa diventi orziero una volta sbandato; eppure basta guardare le forme degli scafi delle navi a vela per capirlo.
Nei secoli scorsi le prue e le poppe avevano quasi gli stessi volumi, infatti le navi mantenevano la rotta molto bene, avevano poco bisogno di correzioni col timone e la pala di quest’ ultimo (in proporzione alle dimensioni della nave) era molto piccola.
Se uno scafo è stretto a prua e largo a poppa quando sbanda immerge volumi diversi lungo il suo asse longitudinale: per mantenere l’ equilibrio idrostatico deve tuffare di più la prua che la poppa e quindi il suo baricentro di carena si sposta a prua…ma il baricentro della spinta del vento sulle vele resta fermo dov’ è, cioè più a poppa, quindi la barca tende a venire all’ orza, alle volte in modo brutale.
Pertanto queste barche devono avere un timone ad altissima efficienza, stretto e profondo.
A volte, cosa che ho visto nei progetti attuali compresi quelli di Vismara, il pescaggio del timone eguaglia quasi quello della chiglia nella sua posizione più sollevata (ultimamente si passano i 3 metri).
Non è certo una cosa ben fatta dal punto di vista della crociera e di tutte le insidie che gli ormeggi presentano.
Quindi io ritengo che per andare a spasso (leggi crociera o brevi navigazioni pomeridiane ritempratrici dello spirito) si possa benissimo rinunciare a qualche decimo di nodo di velocità comperando barche che abbiano un profilo del timone un po’ più tradizionale (e naturalmente linee d’ acqua meno esasperate).
“Ma c’è di più” (come disse zio Pino quando, asciugata la sentina sotto al piede dell’ albero, scoprì altri 20 cm di acqua sollevando i paglioli della dinette).
I profili stretti e lunghi dei timoni moderni possono portare a un altro tipo di problema che penso tratterò con voi tra qualche mese.
Prossimamente vi parlerò infatti di un argomento che, come la mafia, c’è sempre stato e sempre ci sarà: vedremo insieme infatti le perdite di energia dei moti vorticosi che tanto condizionano le prestazioni delle nostre amatissime barche a vela.
Timoni, chiglie, vele, sartiame, tutto ciò che si muove in un fluido ha a che fare con i problemi di formazione di vortici e quindi di dissipazioni inutili di energia.
Per trattare questo argomento ho però ho bisogno di tempo perché sto attendendo la collaborazione di un armatore la cui barca denuncia proprio problemi in tal senso: si sa che un ingegnere senza dati a disposizione è perfettamente inutile e i dati non si possono inventare come le formule.
Si tratta di un WOR (imbarcazione da regata oceanica di 60 piedi) che naviga al gran lasco con mure a sinistra sotto randa, spinnaker e fiocco e che è spinto da un buon vento (dal tipo di onde visibili alla fine del filmato stesso stimabile al massimo sui 25 nodi).
La barca è naturalmente un progetto tirato, a dislocamento molto leggero e con baglio massimo molto a poppa, adatto a planare.
E’ il tipico scafo che farebbe rabbrividire Sciarrelli (e soprattutto l’ ammiraglio Turner) per le linee d’ acqua completamente asimmetriche tra prua e poppa e quindi a scarso equilibrio di rotta, come già spiegato più sopra.
Infatti, se osservate con attenzione, l’ equilibrio della barca è assai precario: basta infatti una rollata sopravento di pochi gradi per innescare la strapuggiata.
La barca tuffa il fianco di sinistra (sopravento) in acqua e diventa immediatamente poggiera; il timone diventa inutile e parte la virata incontrollata a dritta; la barca attraversa il letto del vento mostrando la poppa e si ritrova dopo la strambata con mure a dritta, lo spinnaker incaramellato, il tangone strallato sottovento e, soprattutto, la randa che porta e induce ora la straorzata, sempre col fianco di sinistra in acqua.
La cosa che non funziona (oltre alla strapuggiata e alla straorzata susseguente) è che la barca scuffia e non si raddrizza: in altre parole la randa e quel che resta dello spinnaker tengono “incollata” la barca sull’ acqua.
Riguardatelo con calma più volte.
E’ chiaro che io un progetto così non lo vorrei nemmeno prendere in considerazione né per andare a spasso con al famiglia, né tantomeno per attraversare un oceano, anche se fosse tutto in carbonio, avesse tredici bagni con idromassaggio e il tavolo di carteggio in oro massiccio !
Ditemi pure che è capace di planare a 25 nodi; la cosa non mi interessa.
Non lo vorrei nemmeno per fare bella figura con gli amici nella regatina sociale davanti a Caorle.
Riporto in azzurro il limpido commento di Carlo: ”…dovrei aggiornarmi e andare su queste forme, sennò non avrei più lavoro; ma ormai sono vecchio, non avrò più lavoro. Oggi vogliono queste barche perché sono pubblicizzate, perché “vanno”. E io non so fare queste barche. Come posso disegnare una forma che so che, se c’è vento, si ribalta così ?”
Io non sono uno “sciarrelliano” convinto (talvolta mi permetto di criticare anche lui), ma non mi piacerebbe certo fare bella figura con gli amici comperando una barca simile e poi, se vien su un colpo di bora, non riuscissi a far rialzare la barca e a governarla.
Questa, mi si consenta, ma a mio modo di vedere non è una barca.
E pur non essendo una barca (nel senso che non ottempera alla sua funzione che è quella di portare sul mare persone e cose per farle giungere a destinazione) ci va ancora bene che non perda i pezzi e non vada a fondo…
Perché il mese prossimo parleremo anche di questo, e ci sarà veramente da piangere.