ARTICOLI E CHIACCHIERE COSE TRA NOI
 MARZO 2007

Ivo correva in auto dietro al fatturato, ma questo scappava via sempre più forte.
Ivo guidava sognando di tenere in mano la ruota del timone invece del volante dell' auto.
Ivo vedeva le luci rosse e verdi dei semafori, ma sperava di vedere quelle dell' ingresso dei porti.
Così un giorno Ivo scelse di comperarsi una barca e una grande bilancia alla foce del fiume.

Oggi Ivo è felice.
Non occorre attarversare l' oceano e andare a vivere in Polinesia per essere felici...
...anche sulle rive del nostro mare si può riuscire a dimenticare il fatturato.


Durante le mie ferie, che da molti anni ormai trascorro in barca con la famiglia o con gli amici, ho l' abitudine di tenere sempre aggiornato il diario di bordo (cosa che sarebbe obbligatoria per legge).
Al di là degli obblighi e dei formalismi questa abitudine è comunque una cosa molto bella perché, rileggendo quelle pagine dopo anni, riscopro informazioni, notizie, battute, situazioni che mi fanno divertire e che altrimenti andrebbero perdute.
Tutto l’equipaggio vi può scrivere qualcosa, ed è così che ho ritrovato tra gli appunti qualcosa che ha scritto (e anche illustrato) mio figlio Alessandro e che mi ha fatto riflettere.
Si tratta della “catena alimentare del diportista” che qui di seguito propongo. 

-  Il papà fa la cacca in mare.
-  Il pesce mangia la cacca del papà.
- Il papà mangia il pesce che peschiamo.

Ecco, al di là della sua essenzialità, questa catena mi ha fatto pensare: ciò che ha scritto Alessandro è del tutto vero:
durante le soste in baia adopero il wc marino di bordo che scarica a mare , ho visto i pesci mangiare i nostri escrementi, io mangio i pesci pescati dai miei figli.
Per la verità mi faccio molti scrupoli ad “evacuare” così liberamente, infatti cerco sempre di “tenere duro” fino a che la barca torna in mare aperto, ma non sempre ce la faccio e comunque talvolta la sosta in baia si protrae anche per più di un giorno. 
Forse sarò un po' esagerato ma poichè
frequentemente mi è capitato di essere circondato da barche di charter con otto – dieci persone a bordo, nella mia ignoranza mi chiedo: avranno usato le casse di tenuta prescritte dalla normativa CE?
Le casse di tenuta raccolgono i liquami volta per volta e poi ne permettono il riversamento in mare aperto tutto in una volta: è meglio quindi inquinare in rada seguendo fisiologici intervalli di evacuazione o inquinare in mare aperto a concentrazioni assai più elevate?
I pesci fungono da anti-inquinante naturale a tutti gli effetti o cibandosi dei nostri rifiuti fisiologici si “inquinano” a loro volta?
E' solo la fame che spinge i pesci a prediligere le acque dove "c'è da mangiare" piuttosto che quelle definite “immacolate”?
Navigando incontro sempre meno pescatori e pescherecci e invece scopro sempre più allevamenti di pesce: che cosa mangiano i pesci di allevamento?
E quale provenienza hanno i pesci che si trovano in ristorante?
Mangio più sano gustando un pesce pescato da mio figlio che ha mangiato la mia cacca, o gustandone uno al ristorante che non so che cosa abbia mangiato?
Parlandone con un amico questi mi ha detto: “Ma fatti una scatoletta di tonno e non pensarci più!”
Già ma in Croazia, oltre agli allevamenti di orate, ci sono anche quelli di tonni che mi risulta siano tra i più pregiati e più richiesti dal mercato giapponese per essere gustati crudi (ingrediente base di Sushi a Tokio, quotato circa 500 Euro al kilogrammo).
Qualcuno di voi solerti e fedeli lettori sa qualcosa di più su questi argomenti?


 
L' ARTICOLO DEL MESE
FINALMENTE ANCHE IO PARLO DI ....

OSMOSI,  ma a modo mio però !

Oggi tutti sanno tutto di tutto: credo faccia parte dell’ aggressività latente che viene giornalmente globalizzata dal marketing selvaggio dei media.
Tutti parlano di informatica, sessualità, religione, problemi psicopedagogici, economia e finanza, mercati internazionali, guerre, ricerche farmacologiche, omicidi, depurazione, epurazione pensionamenti e naturalmente di calcio con una disinvoltura che fa spavento.
Sembra (anche se non è vero che tutti sanno tutto) che a tutti sia concesso di sapere tutto.
Ritengo che la causa di questa degenerazione sia dopo tutto una faccenda piuttosto semplice: un qualsiasi ignorante (come uno di noi) può adottare il vecchio trucco dei politici, che invece di rispondere alle domande le pongono.
E’ molto più facile porre molte domande piuttosto che trovare una sola risposta: per porle è sufficiente essere ignoranti, per rispondere bisogna essere colti.
C’è un campo, però, attraverso il quale misteriosamente quasi nessuno si avventura; è un campo in cui i cosiddetti “fautori della falsa cultura aggressiva” addirittura si dichiarano ignoranti: pare impossibile che esso esista, ma c’è ed è la nautica.
Manager, Dottori commercialisti, Primari, Onorevoli, insomma superuomini (o superdonne), che sembrano comperare e vendere ogni giorno aziende intere come si trattasse di  bistecche o patatine, di fronte ad una barca non capiscono più nulla (o fanno un po’ finta di capirci qualcosa) e dopo un paio di brutte figure sono costretti ad affidarsi a giovanissimi sedicenti skipper o a maturi sedicenti periti o a pensionati sedicenti meccanici.
Attenzione, non voglio essere frainteso: con il precedente accenno polemico  non voglio affermare che skipper, periti e meccanici fanno tutti schifo mentre io sono bravo: anch’ io sono un maturo sedicente perito, perchè sono convinto che nella nautica non esista un vero e proprio “esperto” - cioè un signor “so tutto” - che possa essere un vero consulente tecnico e commerciale a tutto campo. 
Credo che nella nautica (cioè nel mondo degli oggetti collegati all’ andare per mare che si chiamano barche) ci sono talmente tante discipline e tanto da sapere che non basterebbero dieci lauree e dieci vite per conoscerle tutte.
Io so un mucchio di cose ma nello stesso tempo non ne conosco un altro mucchio, e così è per un mio collega o uno skipper o un meccanico.
Quello che invece mi dà molto fastidio è l’ incapacità che hanno alcune di queste persone cosiddette "esperte" di confessare apertamente “Mi dispiace, ma questo non lo so fare”.
Mi spiego meglio.
Quando cercherete notizie sull’ osmosi, tutte le riviste i cantieri  i periti  gli skipper del settore vi spiegheranno in che cosa consiste il fenomeno, vi mostreranno delle fotografie, vi guideranno sui possibili trattamenti e/o rimedi ecc., ma quando li inviterete a definire se la vostra barca (o quella che state per comprare) abbia l’ osmosi o meno allora tutti saranno disponibili a vederne la carena per un giudizio, pochi saranno disponibili a metterlo per iscritto e - quando verrà il momento fatidico del sopralluogo - coloro che resteranno si divideranno nelle seguenti tre categorie:

  1 - quelli a cui basterà dare un’ occhiata alla carena;
2 - quelli ai quali necessiterà avere “lo strumento” e che esamineranno la barca solo dopo un mese che è all' asciutto;
3 - quelli che vi chiederanno di poter fare dei saggi raschiando le vernici e il primer fino al gel-coat.

 

Orbene, coloro che appartengono alle prime due categorie dovrebbero secondo me avere la lealtà di affermare  “Mi dispiace, ma questo non lo so fare”, per le seguenti considerazioni.

 1- L’ osmosi è visibile al di fuori delle croste di vernice anti-fouling solo se è ad uno stadio molto avanzato, così avanzato da richiedere senz’ altro l’ intervento di asporto e rifacimento degli strati di resina di tutta o gran parte dell’ opera viva. In tale evenienza le bolle sono visibilissime da chiunque e chiunque è in grado di romperle con un unghia e di “assaggiare” il liquido acidulo che ne esce: in questo caso non occorre alcun esperto per definire se è presente osmosi o meno.

 2 - Lo “strumento” non è altro che un lettore a ultrasuoni che è in grado (neanche troppo bene) di definire il grado di umidità relativa negli strati all’ interno della vetroresina. Io ho fatto molte misure con esso e mi sono sempre accorto che (oltre alla taratura che praticamante va rifatta ad ogni misura) la presenza o meno di osmosi ha poco a che fare con il grado di umidità relativa della vetroresina. Qualsiasi barca appena tirata in secco avrà alti gradi di umidità. Dopo un bel po’ di mesi all’ asciutto (diciamo 4) il fianco più esposto al sole potrà arrivare ad avere un’ umidità del 12% mentre quello più in ombra potrà averne anche il doppio e l’ osmosi ci potrà essere in tutte e due le parti e in egual misura.                                                                                 Questo strumento quindi serve solo, una volta accertata la presenza di osmosi, per determinare se il periodo di tempo di essiccazione sia stato sufficiente per poter effettuare il trattamento dello scafo e fare in modo che le ditte fornitrici dei prodotti siano in grado di...garantire la garanzia; esso perciò non serve per la diagnosi, bensì per determinare quando iniziare la cura.
 

 Ecco come si presenta una carena dopo aver fatto il trattamento preventivo antiosmosi: 
una pellicola cristallizzata e lucida di resina epossidica avvolge l' opera viva e, 
a catalizzazione avvenuta, è pronta per essere coperta dal primer e poi dall' anti-fouling.

Invece raschiare gli strati di vernice fino al gel-coat con un raschietto molto affilato permette di accertare la presenza di osmosi anche allo stadio iniziale, quando cioè è sufficiente intervenire anche solo con un trattamento preventivo (spalmatura di resina epossidica una volta raschiato le vernici e accertato il limite tollerabile per l’ umidità). Riuscire a vedere l’ osmosi allo stadio iniziale non è molto immediato…occorre una buona esperienza, anche perché i punti della carena dove “il male attecchisce prima” sono sempre i soliti, un perito (UN BUON PERITO) li conosce bene e non è quindi costretto a raschiare tutto lo scafo.

Perciò, caro lettore, se un “esperto” da te interpellato per scoprire la presenza di osmosi appartiene alla prime due categorie, è meglio lasciarlo perdere.
Magari egli potrebbe essere bravissimo sul giudicare il taglio delle vele in “Tecnora” o sul dimensionare il diametro delle turbine per i motori.
Il prossimo mese vedrò di mettercela tutta per far in modo che sia chiaro come riconoscere bene l’ osmosi e che cosa si debba fare nei diversi casi.
Come infatti ormai esistono diverse terapie per il cancro, così ritengo oggi sia appropriato parlare di esistenza di diverse terapie per l’ osmosi che, mi si passi il paragone azzardato, è una specie di cancro della vetroresina.
Come nel caso del nostro organismo in cui la guarigione è tanto più possibile e valida quanto prima viene diagnosticata la malattia e iniziata per tempo la terapia, così anche per le nostre barche diagnosticare l’ osmosi il più anticipatamente possibile e sapere come intervenire è il miglior metodo per salvaguardare il valore della stessa barca.
A questo punto è bene che mi fermi, lasciando le questioni più tecniche al mese prossimo; se vado ancora avanti, infatti, va a finire che rischio di fare la figura di ritenermi un primario di un policlinico italiano invitato alla trasmissione “Elisir”. 

 

E perchè non optare per una bella barca in legno?  
Senz' altro non avrà problemi di osmosi...(ma ne avrà tanti altri però!)

 

Donne, Uomini...VI RACCOMANDO CALDAMENTE DI LEGGERE IL PROSSIMO ARTICOLO DI APRILE, MA SOPRATTUTTO DI NON MANCARE ALL' APPUNTAMENTO DI MAGGIO.
Sarà così interessante che... non so nemmeno come intitolarlo.


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