ARTICOLI E CHIACCHIERE COSE TRA NOI
 MARZO 2014

NAUTICA UTILE O NAUTICA INTELLIGENTE ?

 

Sono molto contento di questi anni di attività nelle perizie nautiche da diporto.

Ho avuto infatti molte soddisfazioni, infatti diversi clienti sono tornati da me in occasione del loro secondo acquisto nautico e molti di voi mi hanno scritto sia per manifestarmi apprezzamento per ciò che scrivo in questo sito, sia per collaborare alla sua edizione.
Tuttavia ogni tanto mi prende lo sconforto, il che è una cosa abbastanza normale : mica nella vita si può essere sempre carichi al 100 %; gli alti e bassi del nostro umore fanno parte del vivere quotidiano.
E’ che questo sconforto non è sentimentale ma professionale: nel mio mestiere infatti non ho a che fare solo con barche, o capannoni, o finestre, o travi, o verricelli.
Se il mio lavoro si limitasse a ciò sarebbe facilissimo e (quasi) spensierato; purtroppo devo vedermela anche e soprattutto con le persone.
Insomma la mia insoddisfazione deriva dal fatto che, dovendo giustificare ciò che dico, che scrivo e che faccio, talvolta mi trovo ad avere a che fare con persone alle quali piace complicare le cose e questo loro punto di vista mi spiazza completamente.
Da quando sono nato, infatti, intorno a me sono abituato a vedere una natura che tende sempre a semplificare le cose: nessun ruscello si sogna mai di scorrere in salita, né alcuna leonessa si sogna di sprecare energie inutili standosene a portata di fiuto del branco di gazzelle, né il calore abbandona spontaneamente una sorgente a temperatura inferiore per migrare verso una a temperatura superiore.
Insomma tutta la natura in qualsiasi forma la si studi (minerale, animale, vegetale) cerca sempre di fare meno fatica possibile per campare; è questo un atteggiamento che a parer mio è assolutamente intelligente anzi – anche a parere di qualche illustre etologo – è la definizione stessa dell’ intelligenza.
Ma allora perché esistono appartenenti al genere umano (e, ahinoi, sono la maggior parte) che invece complicano le cose ?
La risposta è retorica e non la voglio dare io.
Lasciate allora che io riporti qui qualche esempio di ciò che voglio dire: questo mio sfogo, anche se del tutto personale, spero serva a fare un po’ di auto-analisi e pertanto credo si inquadri ancora una volta come nauticamente utile.
Non aggiungerò alcun commento agli esempi seguenti, lasciandolo al lettore. 

Mi è successo di essere stato chiamato con urgenza al capezzale di una barca appena alata e ancora sospesa sulle cinghie per diagnosticare o meno la presenza di osmosi, dopo che il potenziale acquirente aveva fatto eseguire una verifica con gli ultrasuoni dalla quale risultava la presenza del 99 % di umidità relativa (e vorrei ben vedere che non fosse così, con lo scafo ancora bagnato).
Eseguiti da parte mia alcuni saggi scratch-test (raschiamento a campione delle vernici e visione del gel-coat sottostante) e verificata l’ assenza di osmosi e la presenza di un trattamento preventivo sul gel-coat, il potenziale acquirente ha ignorato la mia verifica e il mio impegno a rilasciarne relazione scritta (eppure è stato lui ad avermi chiamato) e, chiedendomi una garanzia nel caso lo scafo avesse comunque presentato osmosi, ha preteso che venisse nuovamente effettuata una misura dell’ umidità relativa dello scafo dopo un paio d’ ore.
Io me ne sono andato sconfortato, vista la nullità di considerazione del mio intervento, dopodiché mi hanno informato che la misura dell’ umidità relativa effettuata nel pomeriggio aveva dato come risultato il 10%.
Appena due ore per passare dal 99 al 10, che attendibilità ! 

Leggendo occasionalmente sui blog di vela ci si accorge come la presenza nei dibattiti delle fibre aramidiche sia ormai una costante.
Anzi, se qualcuno si azzarda a criticare questi prodotti sfornati della chimica recente, viene immediatamente tacciato per una mosca bianca, refrattaria agli aggiornamenti e alle sperimentazioni.
A bordo della mia barca ho le scotte del genoa che sono da 12 mm con anima in kevlar.
Il genoa è sui 55 mq e la scorsa estate, cazzando sul winch con una ventina di nodi di vento, una scotta ha ceduto di schianto (nella foto).
Il carico di rottura di una cima da 12 in kevlar (12 mm è il diametro della calza esterna) è di circa 7000 Kg.
Il guadagno del winch è di circa 5 a 1; poiché ero io alla maniglia e con tutta la più buona volontà le mie braccia non riescono a spingere con una forza superiore a 70 Kg, sulla scotta agivano al massimo 70 x 5 = 350 Kg.
Adattando questi parametri alla situazione di bordo risulterebbe che la scotta ha ceduto 20 volte prima del suo carico di rottura (350 contro 7000) !
Dicono che è colpa della pastecca del passascotte, che deve essere a gola piatta, così da permettere alle treccine di kevlar che costituiscono l’ anima di lavorare tirando tutte insieme allo stesso tempo… ma anche se avessi adottato pastecche dalla gola piatta, come è possibile che tutte le fibre tirino insieme simultaneamente ? Come è possibile che non esista allungamento diverso tra un fascio di fili che devono per forza avvolgersi su diametri diversi ?
I 350 Kg contro i 7000 Kg mi hanno lasciato quantomeno dubbioso sulla veridicità dei dati (e soprattutto sulla durata) del kevlar. 

Un lettore mi ha inviato delle foto relative all’ attacco della pinna allo scafo della sua barca (che per correttezza di privacy non è quello riportato nell' immagine); ritraggono alcuni prigionieri della chiglia e le esigue piastre di diffusione poste all’ interno della sentina (non nomino il cantiere molto noto che ha fatto una simile schifezza); sono visibili delle vistose fessure che dalle piastre si ramificano verso il guscio orientate per madiere; egli stesso denuncia che la pinna di deriva oscilla a barca alata; mi chiede cosa ne penso e se sono in grado di fare una perizia e un’ analisi di intervento.
Alla mia diagnosi di urgente intervento di sostituzione delle piastre con altre sagomate così da diffondere meglio i carichi, all’ applicazione di fazzolettature di rinforzo in vetroresina e alla mia disponibilità ad eseguire i calcoli secondo le condizioni di carico previste dalle omologazioni dei Registri Navali (condizione con alberi in acqua e condizione con pinna in aria), risponde meravigliandosi che io non esiga che vengano fatti prima degli esami approfonditi sull’ entità delle fessure a mezzo termografia o raggi X per verificare "se anche sotto le piastre la vetroresina sia delaminata”…

Ecco, forse non sono chiaro nel mio pensiero o forse non sono adatto ai tempi che corrono.
Io amo la semplicità, se però viviamo in un epoca complicata è meglio che io lasci.
A me piace guardare con gli occhi se le bolle di osmosi ci sono o no; non mi piace affidarmi ad un amperometro travestito da lettore di umidità (basta cambiarne la scala di lettura) che ha la pretesa di entrare dentro la plastica e di dirmi che il valore di corrente elettrica che lo attraversa corrisponde alla diagnosi della presenza di bolle o meno….eppure c’è gente che lo crede !
A me piace avere un po’ di elasticità nelle scotte in poliestere prestirato perché non disputo le regate dell’ America’s Cup; non mi piace avere delle scotte di kevlar rigidissime che schiattano di colpo perché incapaci di adattarsi alle tensioni del mio winch….eppure c’è gente che farebbe anche il minestrone col kevlar e che confonde fragilità con affidabilità !
A me piace capire come funziona il materiale e come viaggiano al suo interno sia le tensioni che le rotture, soprattutto mi piace che la barca - se viene ad essere coricata da un’ onda e mette l’ albero in acqua - sia anche in grado di sollevarsi da sola senza perdere la chiglia, perché su quella barca ci porto la mia famiglia; non so che farmene della termogarfia e delle radiografie se vedo già con i miei occhi una bella fessura….eppure c’è gente che non  crede ai propri occhi !
E’ come andare in un orfanotrofio ad Addis Abeba, vedere e toccare i bambini che al mondo hanno solo il loro corpo che grazie a Dio (o purtroppo per loro) ancora respira e richiedere una indagine fiscale per misurare il loro reddito imponibile così da scoprire se abbiano fame o meno.
E’ come attendere prima di suturare la ferita dalla quale esce un femore di un ricoverato d’ urgenza al pronto soccorso, perché con una lastra occorre verificare se c’è stata la frattura dell’ osso.
Sbaglio forse nel cercare la semplicità ?

Un mio cliente mi ha posto tempo fa una domanda : “Tu sai dove vanno a finire le barche da diporto in disarmo ?”, che corrisponde alla seguente affermazione : “Esistono gli sfasciacarrozze per le auto, ma non ho mai visto uno sfascia battelli per le barche”.
Ecco, io per la verità ho visto un cantiere a San Giorgio di Nogaro che ha un vastissimo piazzale dove sono relegati alcuni relitti.
Sono scafi molto vecchi e in disarmo, lasciati alle intemperie.


Il legno era riciclabile prima dell' avvento della resine epossidiche con le quali viene oggi imbevuto....
La resina sintetica rinforzata con fibre varie (non solo di vetro) crea problemi di smaltimento anche se bruciata...

E’ ovvio che, come avviene per le auto, lo smontaggio e la raccolta differenziata di tutte le parti in legno, alluminio, acciaio, ghisa, piombo, bronzo possa essere effettuato e che la manodopera per queste operazioni abbia comunque un costo.
Resta però il problema dell’ involucro (scafo e coperta) nel caso esso sia in vetroresina o in fibre aramidiche resinate: il problema è l’ impossibilità di dividere la resina dalle fibre in essa annegate, o perlomeno io non sono al corrente di metodologie per eseguire tale operazione a costi accessibili.
Allora ?
Non resta che la discarica di rifiuti speciali.
Ma tutto ciò è semplice, o meglio, è intelligente ?
E non è forse vero che più ingredienti metto dentro la pentola per produrre il minestrone più affatico il mio stomaco e il mio intestino che devono lavorare di più e più a lungo per demolirli e assorbirli tutti ?
Ha senso accessoriare le nostre barche con tutto e ancor di più ?
Ha senso continuare in una ricerca che sforni nuovi materiali prima di aver messo a punto una ricerca che sia pronta a smaltirli e riciclarli ?
Purtroppo la risposta la facciamo sempre e solo noi “consumatori”.
Nel mentre un’ azienda è incentivata a produrre winch o punti luce avvenieristici perché noi li comperiamo, così non esiste azienda che si preoccupi di come poi smaltire questi nuovi accessori perché questo non fa parte della mentalità del commercio (in pratica ai consumatori non interessa).

E tutto ciò, visto con la logica della Natura che ci ha creati e che da millenni persegue la semplicità, è intelligente ? 


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