ARTICOLI E CHIACCHIERE COSE TRA NOI
 MARZO 2015

Egr Ing
le ho appena inviato una mail (con delle proposte di argomenti da trattare) - N.d.R. e ho aperto il suo sito 
(di febbrario 2015) leggendo solo il titolo.
La prego, non rinunci....Può essere il modo di non portare il cervello all'ammasso.
Il sito può significare permettere ad un velista di tanti anni fa, come me, di comprare una barca senza rimetterci e perdere l'entusiasmo; se succederà, porterò i miei figli ed i miei nipoti (nipoti come zio) a vela; forse qualcuno si appassionerà ed il mondo della vela non scomparirà dal mio paese (Bisceglie - a fianco a Trani, dove c'è la cattedrale più bella del modo se vista dal mare).
Io sono tornato sui moli a novembre ed è stata subito festa, perché i velisti sono gli stessi a 40 anni di distanza; se non ci sono possibilità per i ragazzi è finita, ma il suo sito è l'unico supporto che sono riuscito a trovare tra le pontificazioni degli autocertificati esperti.
L'unico improntato alla  virtù che tanti anni di medicina mi hanno insegnato: l'umiltà.
Per favore, non smetta
gigi papagni

Grazie dott. Papagni, un appello così incoraggiante e accorato non può rimanere inascoltato! Consideri comunque che ogni uomo ha i suoi limiti che non è detto siano solo professionali: il recondito mondo dei nostri sentimenti a volte si fa sentire molto di più, incoraggiando e portando alle stelle la persona o scoraggiandola e portandola allo smarrimento: non è un felice periodo per me. Comunque grazie ancora, farò il possibile.

 
Salve Marco...
mi sono "incagliato" sul tuo sito e faccio fatica a lasciarlo...
E spero tu non smetta di pubblicare....
Dopo diversi anni .... ritorno a navigare e trovo i tuoi articoli molto utili per togliermi la ruggine di dosso...
Le bambine sono un po' cresciute... le difficolta' economiche si stanno pian pianino diradando... e quindi.. ho rifatto il passo: da qualche giorno sono il nuovo armatore  di uno splendido (e datato.. ma questo permetteva il portafogli...) Camper & Nicholson 38...
Continuero' quindi a leggerti (e ho molti anni e articoli da recuperare...)
Ne approfittero', se posso, per chiederti talvolta qualche consiglio sulle manutenzioni che dovro' (ovviamente) fare...
Ciao e grazie
Dario

Grazie Dario. Di te non so nulla al di fuori del tuo nome, ma farò il possibile per continuare. Telefonami pure per i consigli.


 QUANDO L’ ANCORA E’ INCAGLIATA SU UNA ROCCIA..
...toh, proprio un bell' argomento !

  

Parlando della scelta della barca qualche mese fa ho toccato un argomento “pungente”: mi riferisco alla capacità di saper comandare, intendendo con ciò l’ essere in grado di dire l' ultima parola quando si tratti di prendere una qualsiasi decisione ed essere consapevoli che tutto il resto dell’ equipaggio riconosca in una sola persona tale prerogativa.
Non è un argomento facile su cui dissertare, perché investe sia capacità oggettive che psicologiche (e quindi suscettibili di soggettività) soprattutto da parte dell’ equipaggio.
Non ho certo a portata di mano adesso la ricetta per trasformare un lettore (seppur paziente e volonteroso) in un comandante, né credo l’ avrò mai; tuttavia un qualche esempio o una parvenza di traccia da seguire si può fare.

Se qualcuno di voi ha letto i romanzi di Patrick O’ Brian sulle avventure del comandante Jack Aubrey e del suo amico medico di bordo Stephen Maturin (ne è stato tratto il film "Master e Commander" qualche anno fa) si accorgerà di come il prestigio di un comandante sia anche dovuto alla fortuna: stiamo parlando di romanzi storicamente ambientati a cavallo tra ‘700 e ‘800 quando gli oceani erano solcati da corvette, fregate, vascelli piene di vele, manovre e cannoni e che passavano la vita loro (e dei loro equipaggi) a distruggersi o catturarsi a vicenda.
Un comandante come Jack Aubrey (soprannominato nelle sedi della Royal Navy “Jack il Fortunato”) poteva vantarsi di aver intrapreso e concluso tutta la carriera di marina e di essere riuscito anche ad avere una moglie e dei figli, ma molti altri suoi colleghi di pari capacità marinare e attitudine al comando non c’ erano mai riusciti perché stroncati già in giovane età da un colpo di arma bianca o da una palla di cannone.
Oppure, più semplicemente, la cattura di una nave nemica che valeva una promozione arrise a Jack il Fortunato per un salto di vento al momento giusto, cosa che invece non avvenne per un altro suo collega comunque bravo.
Quindi, oltre che la capacità, nel comando conta anche la fortuna.
Vi racconto allora l’ episodio seguente dove, a fronte di un ragionamento istintivo e corretto da parte del comandante (indovinate chi è), è seguito un colpo di fortuna o meglio - più correttamente - non è seguito alcun colpo di sfiga !

       

Quando l’ equipaggio (verosimilmente più spesso mia moglie) mi invita a dare fondo all’ ancora oppure quando le circostanze (nelle quali comunque cerco di non cacciarmi) mi ci costringono, non sono mai tranquillo.
L’ ancora è di per se’ un oggetto affidabilissimo, ma il fondo del mare non lo è per nulla sicché l’ insieme ancora-fondo diventa per me un vero e proprio oggetto di inquietudine.
Non sto a raccontarvi le tante esperienze che ho vissuto di notti in bianco passate a vegliare se i campanili o gli alberi se ne stavano al loro posto oppure se si divertivano improvvisamente a scivolare via sopravento (segno inequivocabile che l’ ancora arava); né sto a raccontarvi delle alzate istantanee dalla cuccetta in mutande per mettere in moto, issare al catena, rifare tutta la manovra eseguita (inutilmente) il pomeriggio precedente e prestando anche attenzione ad evitare zigzagando al buio le altre barche alla fonda.
Sono esperienze di gioventù che oggi cerco in tutti i modi solo di ricordare e non di rivivere.
Tuttavia ancor adesso qualche volta mi capita di dar fondo, ma cerco di farlo solo su fondali conosciuti e magari solo per il breve tempo di un bagnetto, non già per tutta la notte.
Tra l’ altro il mese di luglio 2014 si è particolarmente distinto per il susseguirsi impietoso e continuo di numerose perturbazioni, tant’ è che nei 15 giorni che sono stato in giro con la barca solo il bollettino meteo dell’ ultimo giorno ha esordito con un quanto mai desiderato “No warning !”
Ebbene, la scorsa estate mi è capitato di voler accontentare il mio amico Marcellino che, sempre pronto a darsi da fare in cucina si è inventato la seguente proposta:
“Ué, ma pecché, prima di entrare nel Marina di Funtane (Istria, tra Poreč e Vrsar) non ci mettiamo all’ ancora in baia e ci facimmo un bel pranzetto?”
Così, con un bel maestrale sui 15-18 nodi mi sono convinto a dare fondo in baia, a circa 500 m (metri, non miglia) dall’ ingresso del Marina, giusto per la pausa del pranzo.
Eravamo partiti da Unije la mattina presto e, dopo una bella navigata di 52 M (miglia, non metri) prima con bora e poi con maestrale, eravamo giunti al Marina per passarvi la notte.
Eravamo piuttosto soddisfatti, perché il tutto era durato 7 ore e mezza (media 7 nodi) e la traversata del Kvarner (15 M) era durata solo 2 ore (media 7.5 nodi).
La baia di Funtane è però aperta a maestrale e, avendo un fondale piuttosto basso (dai 6 a 0 m), l’ onda che entra è corta e si fa sentire parecchio.
Purtroppo non vi avevo mai gettato l’ ancora e così, fatte le manovre di rito, ho dato fondo su 4 metri e mezzo di acqua con una ventina di metri di catena.
Lo strappo che essa diede alla fine mi impensierì: senza dubbio aveva preso molto bene perché le 10 tonn di Siddharta si fermarono nel loro abbrivo di botto, come se fossero finite addosso a un muro.
“Porca pupazza, qui ho preso una pietra!” esclamai.
Luciano, l’ incommensurabile fotografo ufficiale di bordo, in un impeto di voglia di rendersi utile decise di tuffarsi con la maschera e ne riemerse dandoci il temuto responso: “A gà ciapà ‘na piera e el manego se gà storto tuto a destra !”
Che tradotto significa: “L’ ancora ha arpionato un masso e il fuso è disteso a destra della pietra !”
Al che ho pensato di lasciar le cose come stavano, di andarcene tutti a mangiare sotto coperta e poi di cercar di uscirne portando Siddharta a macchina avanti e aggirando il masso sulla dritta.
Non ricordo cosa preparò Marcellino per pranzo (ero troppo impensierito sull’ uscir fuori da quella situazione), ma verso le 16.30 l’ onda sui fece alquanto insistente e così, messo sul fornello il caffè e sorbitolo nel tintinnare delle tazzine, decisi di spedare ed entrare in Marina.
Feci come volevo fare, alando sul verricello a macchina avanti fino a circa 10 m e poi portando la prua a dritta così da aggirare il masso…ma non successe nulla.
La prua si diresse sopra l ‘ancora, che restava ben inchiodata al suo posto.

    

Anzi il verricello, soggetto a notevole assorbimento, fece scattare il magnetotermico di protezione (cosa che non mi era mai accaduta).
Mi uscirono una paio di “Porca puttana!” involontari (nulla in confronto alle esecrazioni degli equipaggi mormorate sotto il castello di prora nei romanzi di O’ Brian) e di cui mi scuso ancor oggi.
Che fare ?
Se fossi riuscito a far indietreggiare a motore Siddharta (la barca) portando la poppa sopravento all’ ancora di una ventina di metri forse ce l’ avrei fatta; altrimenti non restava altra alternativa che andare sotto e cercare di liberare l’ ancora con le mani (faccenda senz’ altro scabrosissima con la catena in tensione e 18 nodi di vento fuori che spingevano sulla barca).
Ma che ostacolava l’ esecuzione della manovra di cui sopra c’ era anche un altro fatto: Siddharta se ne stava fermo traversato al vento mostrandogli il fianco di dritta e, avendo l’ elica destrorsa, se davo macchina indietro la poppa si sarebbe spostata a sinistra cioè sottovento (che era l’ esatto contrario di ciò che volevo ottenere).
Insomma, in quella situazione non riuscivo a mettere Siddharta con la poppa al vento per poter portarmi ad uscire a macchina indietro; credo che la tensione della catena contribuisse a tenere inchiodata la prua e le forme dello scafo spinto dal vento contribuissero a spingere la barca in avanti, così da tenere in stallo la situazione.
Così mi misi a far lavorare il cervello e ad immaginare la visione dall’ alto…(come adesso potete vedere nei fotomontaggi riportati dove la freccia arancio indica la provenienza del vento)… e l’ idea arrivò.
Diedi ordine di mollare una ventina di metri di catena e dopo qualche istante presi a dare macchina indietro con vigore; alla prua (così improvvisamente liberata dalla tensione della catena) non parve neanche vero di poter scivolare sottovento e così Siddharta prese un po’ di abbrivo indietro girandosi quasi da solo con la poppa al vento.
Dopo aver indietreggiato e quando giudicai che la prua era una decina di metri sopravento all’ ancora, diedi l’ ordine di issare la catena il più velocemente possibile senza fermarsi e soprattutto mantenendo la macchina indietro per non cedere metri sottovento… e ne uscimmo !

   

 

L’ equipaggio non commentò, ma credo sia stato contento della manovra e anche sorpreso perché aveva scoperto che, a volte, per spedare occorre mollare catena invece che recuperarla.
Inutile dire che il comandante ”guadagnò molti punti” come si dice in gergo.

Più o meno la stessa cosa mi successe tanti anni fa a Lastovo: allora facevo lo skipper su un 46 piedi e andai a beccare una catena sommersa, residuo militare, nella propaggine nord-occidentale della baia di Velo Lago, poco più a WSW dell’ istmo di Pasadur.
Anche in quell’ occasione la manovra di indietreggiare dalla parte opposta di dove si era dato fondo consentì di uscirne, ma allora risultò molto più facile perché fu eseguita praticamente in assenza di vento.
Comunque il ricordo di questa avventura a Funtane è rimasto ben visibile sulla CQR: la piastra da 15 mm di acciaio dove parte lo snodo del fuso è stata piegata come burro e il vomere è risultato storto di una trentina di gradi rispetto al fuso stesso.

Poco male: il fabbro, facendo uso della fucina e di tante martellate come si faceva una volta, è riuscito a raddrizzarla e una buona zincatura a caldo l’ ha rimessa come nuova.
Però, storcere di 30° una piastra da 15 mm non è stato certo uno scherzo !

Mi son divertito allora a fare un piccolo calcolo degli sforzi in gioco.
Poiché la piastra dove si è storta l’ ancora ha la sezione di mm 75 x 15, deformandosi non elasticamente significa che l’ acciaio si è plasticizzato: è come dire che le fibre più esterne hanno lavorato ad una tensione intorno ai 2400 daN/cmq (in effetti 1350, cioè 2400 diviso la radice quadrata di 3, perché si tratta di azioni tangenziali dovute a torsione).
Data la geometria della piastra e del vomere (braccio 30 cm) significa che il momento torcente applicato è stato di circa 510 daNm, e che quindi la catena ha dato uno strappo intorno a 1600 daN  (1.6 tonn).
Per la catena da 8 mm (sezione utile di un anello 1.01 cmq) significa aver lavorato ad una tensione di 1580 daN/cmq e cioè al limite del campo elastico (senza deformazione permanente), per l’ albero del verricello elettrico però non deve essere stato facile assorbire il botto.
Ammesso che Siddharta in quel momento stesse indietreggiando a 30 cm/s e dato che la sua massa è di 10 tonn, il teorema di conservazione della quantità di moto (non preoccupatevi di conoscerlo nel caso facciate una professione diversa dalla mia) permette di valutare che la barca si è fermata in un tempo di circa 2/10 di secondo: proprio come se fosse finito contro un muro !

Così penso a quanto vulnerabili siano i nostri arti e le nostre estremità (mani e piedi) quando ce ne stiamo spensieratamente in ferie a bordo delle nostre barchette.
Una frustata o un colpo di catena possono “accarezzare” quelle dita con una forza di diverse centinaia di kilogrammi, né più né meno di quel che può succedere in un qualsiasi cantiere edile.
Ma in un cantiere edile è obbligatorio indossare elmetto, scarpe antinfortunistiche e guanti.
Spesso invece in crociera noi e le nostra famiglie indossiamo un paio di bermuda e un paio di ciabatte infradito e ci esponiamo a rischi inutili.
Io stesso ho più volte ri-tesato il meolo del genoa standomene in bilico sulla draglia di sottovento stringendo le ginocchia sul candeliere per avere entrambe le mani libere….
Così come molte volte sono passato sottovento al boma nell’ andatura di bolina, quando la scotta porta qualcosa come 300 Kg che vanno a finire tutti su un grillo attaccato alla faccia inferiore del boma stesso, confidando sempre nella tenuta della sua sezione di 0.2 cmq !
Io ho l’ accortezza di camminare in coperta sempre con le scarpe allacciate, ma tollero (sbagliando) che qualcuna altro a bordo  indossi le ciabatte.
Vi esorto tutti, o voi appassionati del mare, quando manovrate verricelli, catene, cime, winch, ecc., a stare molto attenti a dove voi e il vostro equipaggio poggiate dita, gomiti e ginocchi (e soprattutto anche a che altezza avete la testa).
Durante le ferie le sale del pronto soccorso è bene stiano il più lontano possibile da noi.


Una delle foto più significative che io abbia mai visto !
Ritrae il sottoscritto che predica bene e razzola male.
In questa immagine infatti non solo sono in coperta a piedi scalzi, ma sto anche scolando l' acqua bollente della pasta.
Fortuna che non mi ha visto zio Pino, però ammirate la mia sfrontatezza dato che mi state vedendo voi !


Per concludere, se al fine di “guadagnare punti” intendete dare fondo all’ ancora su una baia dove ci sono rocce onde dimostrare all' equipaggio la vostra bravura,
                           ricordate che a me è andata bene perché alla manovra che ho fatto “non è seguito alcun colpo di sfiga”, insomma perché sono stato “fortunato come Jack Aubrey".
                                                               

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