Ancora
in riferimento all’ articolo dello scorso settembre 2016 sulla "esplosione" delle chiglie in ghisa mi ha
scritto nei
termini seguenti Alessandro Puntonave che, da una ricerca che ho
fatto nel web, probabilmente è Vittorio Alessandro, autore
del libro "Puntonave".
Buongiorno, ho letto con molto interesse
il suo ultimo articolo di settembre, come d'altra parte tutti i precedenti
(complimenti!)
Ho cercato informazioni più
dettagliate riguardo ai casi di pinne in ghisa spaccate e perse "googglando" in
rete ma, a differenza dei noti casi di perdita delle derive che tanto clamore
hanno suscitato in passato, non sono riuscito a trovar traccia degli eventi
menzionati nell'articolo.
E invece mi paiono episodi
assai degni di nota, dei quali mi sarei aspettato grandi dibattiti e relative
inchieste sulle presunte qualità produttiva delle aziende responsabili.
I bulbi
in ghisa vengono prodotti in Cina?
Perchè se è vero che il marchio CE non è una
"certificazione di prodotto" ma una "autocertificazione di qualità" (sottili
cavilli che solo i burocrati comprendono), una volta dimostrato in sede
giudiziale che una determinata azienda immette sul mercato prodotti di scarsa
qualità dovrebbe esserle impedito di apporre il controverso marchio.
Se potesse fornirmi un paio
di riferimenti riguardo ai casi discussi sarei molto interessato a conoscerli
con maggiori dettagli.
Buon vento,
Alessandro
P.S. Qualora dovesse andare a
corto di idee di argomenti da trattare, ho scoperto recentemente (ma non è roba
recente) l'esistenza di sistemi antivegetativi ad ultrasuoni. A parte pareri
molto discordanti sulla loro efficacia, mi domandavo se questi ultrasuoni
possono avere un qualche effetto sulle strutture, sui compositi e sulle
laminazioni dei tipici scafi in VTR.
Buon lavoro e ancora complimenti per la costanza nello scrivere tanti
articoli interessanti e utili.
Grazie, grazie, Vittorio Alessandro.
I
due casi da me riportati di “esplosione” della chiglia in ghisa sono stati
descritti dall’ ing. Tamburrano e pubblicati sulla rivista “Bolina”; non
ho altre notizie al riguardo, se non il fatto (vero perché da me verificato in
più occasioni) che le fusioni in ghisa si fessurano e si spaccano con una certa
facilità....ma di questo ho già abbastanza scritto nei mesi scorsi.
Quanto
alla marcatura CE di un prodotto non è detto che corrisponda alla Certificazione di
Qualità di una azienda, nel senso che esse sono cose diverse che possono coesistere o meno.
Coincidono tuttavia nel campo della nautica solo nel caso riportato dalla
normativa comunitaria (Direttiva CE n° 25 del 16/06/1994 - CAPITOLO II art. 8
comma 2) la quale afferma che "qualsiasi
tipo di unità in qualsiasi categoria di navigazione può essere marcata CE con
il solo modulo H"
(cioè con
la Certificazione di Qualità del cantiere).
Rimando
il lettore a tale direttiva per saperne di più:
sbrigativamente ciò significa che se sono titolare di un
cantiere dotato di
Certificazione di Qualità posso costruire, marcare e
immettere nel mercato qualsiai unità in qualsiasi categoria di
navigazione senza alcuna altra formalità (cioè senza
alcun controllo da parte di Organismi Notificati e/o Registri Navali).
Sul
fatto poi che “dimostrato in sede
giudiziale che una determinata azienda immette sul mercato prodotti di scarsa
qualità dovrebbe esserle impedito di apporre il controverso marchio” siamo pienamente d’ accordo; il
problema però è che se è stata emessa una sentenza di condanna ad una azienda significa che
quell’ azienda il dolo l’ aveva già commesso; e che mentre il tribunale è impegnato
nelle sue procedure giudiziarie molte altre ditte (forse anche la stessa che ha
già cambiato il nome) continuano o possono continuare a falsificare.
Basti
pensare a ciò che succede nelle confezioni e negli accessori di
abbigliamento e, purtroppo, anche nei generi alimentari spacciati per
IGP, DOP, DOC, BIO ecc...
Resta
poi del tutto da definire cosa significhi “un prodotto di scarsa qualità”,
definizione che in genere è collegata a due fattori: il corretto funzionamento di
quel prodotto e la durata dello stesso nel tempo.
Per
esempio il mio Comet 12 n° 76 costruito nel 1986 è da più di 30 anni che naviga… (e
naviga anche molto ma molto bene).
E’
un prodotto di qualità?
Mi
azzarderei a dire di sì...
...Ma
se invece “essere un prodotto di qualità” per una imbarcazione da diporto significasse
funzionare bene per 100 anni, il
mio Comet 12 sarebbe ancora un prodotto di qualità?
Mah !
Tutto è relativo, soprattutto se confrontiamo un Comet 12
costruito nel 1986 con un "JamesCookMagellan 42’ Super Large"
costruito nel 2009
che fa entrare acqua dai masconi !
Un
altro esempio di relatività della qualità è dato da uno dei prodotti su cui
pare che non esista modo alcuno di… valutare la qualità: e cioè le vernici
antifouling.
Vuoi
per la temperatura media dell’ acqua dove uno scafo staziona, vuoi per la frequenza e la durata delle
navigazioni cui viene soggetto, vuoi per le caratteristiche chimiche delle acqua dove è ormeggiato o si trova a navigare,
vuoi per il solito battito di ali della farfalla in Giappone, sta di fatto che
le variabili sono talmente tante e imponderabili che non esiste alcuna certezza
di efficienza e durata (cioè di qualità).
Infatti non sono a conoscenza di alcuna forma di
garanzia sull’ efficacia delle vernici: non mi risulta infatti esista alcun produttore
che mi venda la vernice con su scritto: “Garanzia: se dopo un anno dall’
applicazione di due mani di questa vernice su qualche zona dello scafo
ha attecchito una qualsiasi forma vegetativa lunga più di 2.5 mm, le verrà riconosciuta una operazione
di alaggio, lavaggio e varo gratuita”.
Insomma siamo circa allo stesso livello del Super Enalotto..."tu gioca, ma che tu vinca non te lo assicuriamo"...infatti
non ho ancora capito perché lo Stato non si metta a produrre vernici
antifouling !
Battute
a parte, tirando in ballo in modo un po' provocatorio le vernici antifouling sono riuscito a legarmi all’
argomento proposto da Vittorio Alessandro.
Le
vernici antifouling ad ogni stagione lasciano comunque più o
meno attecchire incrostazioni di cirripedi o semplici rivestimenti di
alghe
Veniamo
quindi ai “sistemi antifouling a ultrasuoni”, che si compongono sostanzialmente
di un alimentatore che invia impulsi ad alta frequenza a uno o più trasduttori i
quali trasformano energia elettrica in energia meccanica; essi sono applicati
rigidamente all’ interno dello scafo (in vetroresina o metallico) e producono
nell’ acqua, all’ esterno di esso, uno strato continuo di piccole bolle
esplodenti che tengono lontani gli organismi animali e vegetali.
La
potenza di ogni trasduttore è piccola (si parla di 4 - 6 W), mentre la
frequenza è molto alta (17 – 59 KHz).
Ciò
significa che l’ assorbimento di corrente, se collegato agli accumulatori a 12
V, è circa valutabile in 0.5 A per trasduttore; è basso ma occorre tenere presente che deve
funzionare sempre, quindi è indispensabile il collegamento degli accumulatori a
un sistema di alimentazione esterno (rete 220 V, pannello fotovoltaico,
generatore eolico) che assicuri continuità di ricarica.
L’
area di efficienza di ciascun trasduttore inoltre è variabile dipendendo anche
dalla struttura dello scafo: l’ intensità della vibrazione infatti dipende anche
dalle dimensioni delle parti di guscio racchiuse dalla geometria dei rinforzi
interni (ossatura) dello scafo e dal suo spessore; inoltre, come ogni sorgente
di energia puntiforme, anche quella vibrazionale è soggetta alla legge dell’
inverso del quadrato della distanza, vale a dire che laddove la distanza
raddoppia grossomodo l’ intensità dell' energia diventa un quarto.
Le
ditte che commercializzano tale sistema consigliano l’ applicazione di un
trasduttore per barche fino a 10 m e di due trasduttori oltre. Particolare
limitazione insorge sugli assi di trasmissione e sui piedi poppieri, per i
quali dovrebbe essere installato un trasduttore a parte.
Detto
questo le frequenze in gioco sono talmente alte e lontane dalle frequenze
proprie di risonanza dello scafo che non sussiste pericolo strutturale alcuno:
sarebbe un po’ come far sbattere le ali ad un Boeing 747 con la stessa
frequenza con cui vola una mosca.
Tuttavia, stanti
le limitazioni di cui sopra, non ho dati sulla efficienza antifouling di questo
sistema perché non conosco alcun armatore che abbia fatto questa scelta.
Certo
è che gli zinchi sulle parti metalliche immerse vanno comunque cambiati ogni anno e, per gli scafi in
vetroresina, far trascorrere loro un inverno sull’ invaso ogni 2 – 3 anni a
titolo di deumidificazione e prevenzione-osmosi male non fa.
Sicché
mi vien da dire che anche in questo caso ci siano vantaggi e svantaggi,
nel senso che ecologicamente le micro bolle non avvelenano l' acqua (ma
consumano energia elettrica che se proviene da una centrale
termoelettrica inquina comunque), mentre nel caso delle vernici l'
avvelenamento è evidente.
Insomma non siamo ancora riusciti ad inventare un sistema o un
metodo antifouling che sia senza dubbio valido, che costi poco e che non inquini…Ogni
trattamento infatti porta con sé pregi e difetti rispetto all’ altro.
A
proposito mi vengono in mente le tartarughe marine più diffuse nei nostri mari
(Caretta caretta).
Ne
ho incontrate diverse navigando…sono creature magnifiche che se ne stanno in beata
solitudine al largo, navigando sopra e sott’ acqua a velocità molto modeste o
assenti quasi per tutta la loro vita salvo gli istanti che atterrano per
deporre le uova.
Ebbene,
non ne ho mai vista una con le alghe attaccate sul carapace o sul piastrone !
Mai !
Che dipenda dalla loro capacità di secernere sostanze antifouling ?
O che
dipenda dal solito battito delle ali di una farfalla in Giappone ?
La
ricerca è apertissima e ovviamente rivolta in particolare modo
ai biologi marini (e alle aziende che producono vernici antifouling)...
P.S.
Nell’ estate del 2009 sono stati rinvenuti in alto Adriatico molti esemplari di
piccole tartarughe completamente infestate dai balani (denti di cane) ma non
dalle alghe.
Esami
veterinari hanno accertato delle disfunzioni alimentari e nel fegato di tali
esemplari.
Permane il dubbio se l’ attecchimento dei balani sia la causa delle
loro patologie (indebolimento fisico, anemie, infezioni batteriche) o quanto
piuttosto una delle conseguenze delle stesse patologie.
In
questo caso varrebbe la pena di valutare se esistono correlazioni tra le patologie
delle tartarughe e la loro presunta capacità di secernere sostanze antifouling
!
La
ricerca è sempre più aperta…e invito biologi e chimici a farla.
Intanto
noi stiamo facendo sempre più male al nostro mare modificandone
temperatura
media e concentrazioni di sostanze inquinanti…Non mi spiego
infatti altrimenti perché
i balani abbiano aggredito le piccole tartarughe solo nel 2009 e
perchè ogni anno l’ attecchimento di organismi sullo scafo
della mia barca (che se ne
sta sempre allo stesso posto) è sempre diverso in entità
e tipologia….