ovvero
IL MESTIERE DEL VELAIO
Eccoci giunti ora al
dimensionamento e alla fabbricazione vera e propria delle vele; ora possiamo chiederci quanto grandi fare le nostre vele.
Qui
qualcuno dirà: “Ma, caro amico, se la mia barca ha l’ albero alto tot il boma lungo
tot e lo strallo lungo tot, ecco che le misure di randa e genoa sono belle e
fatte !”
No, mi
dispiace, ma non sono per nulla d’ accordo.
Se il mio
scopo non è quello di fare regate (e quindi di avere la superficie velica più
ampia possibile sapendo di poter contare su un equipaggio sempre pronto a cambiare genoa e a
terzarolare) bensì quello di navigare per andare a spasso con la famiglia, ecco
che le mie vele devono permettermi di lavorare il meno possibile quando vien su
vento e, anzi, dovrò pensare bene a come modularle così da poter navigare anche
quando il vento soffia bello teso o addirittura quando ce n’è troppo.
Così, per
poter valutare la cosa, trovo molto più corretto - invece che affidarmi al velaio che sulla mia barca non
ci ha mai navigato - che sia io a progettare le dimensioni delle vele; ho quindi creato un programmino che simuli la velocità della mia
barca e il momento ribaltante cui è sottoposta ad una certa condizione di vento
e di superficie velica (ripartita tra randa e genoa); ovviamente questo
mini-simulatore l’ ho fatto in modo tale che non funzioni solo per la mia barca
ma che, opportunamente tarato, vada bene per qualsiasi altra barca: è
sufficiente conoscere le attuali dimensioni di randa e genoa, le dimensioni di
albero e boma e i dati-limite di velocità del vento reale e della barca.
Per
dati-limite intendo dire semplicemente che l’ armatore, dopo aver navigato con
la sua barca, avrà stabilito quale sia
lo sbandamento che ritiene di non voler superare.
Uno di voi
per esempio potrebbe dire: “Ho navigato di bolina con 15 nodi di vento reale
con tutta randa e genoa e la barca faceva 6 nodi e mezzo e lo sbandamento era
il massimo che mia moglie sopportava".
Ecco, per quell' armatore questo rappresenta il limite per
navigare ancora piacevolmente.
Con questi
dati (che sono quindi soggettivi perchè dipendono dall’
armatore, dalla sua moglie, dai suoi figli o dalla sua morosa) il mio
programmino è in grado di calcolare il momento ribaltante agente
sullo scafo
che corrisponde proprio a quell’ angolo di sbandamento-benessere che l’ armatore considera come limite.
A questo
punto nel programma io posso variare le superfici veliche e la velocità del
vento reale così da mantenere il momento ribaltante sempre su quel valore
massimo fissato, sondando così svariate combinazioni di vele con svariate
situazioni di vento.
Un esempio
pratico vale meglio di tanti discorsi.
Sulla mia
barca il genoa originale aveva una base di ben
Ho scelto
quindi di ordinarne uno con la base di
Ora prendo
la prima mano a 15 nodi e, prendendo la seconda a 17, posso lasciare su tutto
il genoa fino a 20 dopodiché riesco ad arrotolarlo con discreta facilità.
Sembrerà
cosa da poco, ma ciò mi fa lavorare molto meno di prima perché il “range” di
vento in crociera spesso si sistema proprio all’ interno di questi valori.
Inutile
dire che dai 20 nodi in su a prua isso la trinchetta e, arrivando alla terza
mano di terzaroli alla randa, riesco a navigare fino a 35 nodi di reale;
dopodiché (se proprio mi capita di esserci in mezzo) lascio su solo la
trinchetta e così la barca naviga anche fino a 45 nodi di reale.
Il tutto
verificato sia col programmino che anche nella realtà.
Quale sarà
la combinazione giusta per la vostra barca?
Non lo so,
ma se vi serve potremo scoprirlo insieme.
Visti
i
materiali e il dimensionamento che - ripeto - per andare a spasso deve
essere soggettivo, veniamo ora alla fabbricazione delle vele.
Per quanto
mi sforzi di mettercela tutta so che non sarò certo in grado di descrivervi il
fascino che ha tutt’ ora il mestiere del velaio: vorrei riuscire con queste
righe e con le foto a farvi sentire la storia e la cultura che c’è dietro a
questo mestiere, ma non è facile.
Per esempio
Jens Glinkowsky è nato a Lubecca, dalle parti di Amburgo, lo stesso anno in cui
sono nato io (ma non vi dirò qual è); Lubecca è
il porto tedesco più importante sul mar Baltico e dal XIII al XV secolo fu la regina
della Lega Anseatica, vanta quindi tradizioni marinare importantissime.
Jens ha
frequentato lì le scuole professionali conseguendo la specializzazione di
velaio: altre specializzazioni della scuola erano il maestro d’ ascia e il
sommozzatore e, mi raccontava Jens, che per tutte le specializzazioni l’ esame
finale consisteva nella esecuzione pratica di ciò che si era imparato e su quello la commissione emetteva
il giudizio.
Fino a
qualche anno fa per fabbricare una vela sia il progetto (cioè la definizione delle
dimensioni, la scelta della grammatura del tessuto e il disegno dei ferzi) che il
tracciamento e il taglio degli stessi avveniva in veleria, stendendo i rotoli
sul pavimento e disegnandovi le sagome dei ferzi con fili e centine curvilinee.
Un
lavoraccio soprattutto con gli spinnaker, vele grandi e dal “tessuto”
deformabile e leggero.
Tutte
queste fasi oggi non si fanno più.
Ferma restando
la visita del velaio alla vostra barca sulla quale prenderà le misure, si
passa insieme a lui a definire le quote
delle dimensioni definitive vele e - per questa fase - io ho fatto le mie
scelte sulla base del programmino di simulazione di cui vi ho già detto.
Fatto
questo, insieme al velaio si sceglie il “tessuto” con cui eseguirle, sia individuandone
la tipologia che la grammatura.
Si
comunicano quindi i dati alla veleria-madre che li elabora e dà il suo benestare,
oppure chiede di apportarvi delle varianti.
Quando
tutto è concordato ed accettato, dalla veleria-madre arrivano sia i disegni delle
vele, sia i ferzi già tutti tagliati e arrotolati in una unica bobina.
Così comincia la parte manuale del lavoro: dai disegni vengono individuati i ferzi (che sono tutti siglati o numerati) e il velaio comincia a disporli sul pavimento nel loro ordine.
Per questo
scopo la vela viene divisa in zone (praticamente penna, scotta e mura) e per
ognuna di queste avviene la parte più delicata dell’ operazione, cioè l’ unione
dei ferzi l’ uno con l’ altro con del nastro bi-adesivo.
Questa
operazione è lunga e molto delicata, perché l’ assemblaggio avviene con la
precisione del millimetro (anche meno) e in questa operazione l’ abilità dell’
operatore è assolutamente fondamentale.
Pensate che
per il mio genoa di 55 mq che ha una inferitura di
Significa
che l’ operatore (in questo caso Sebastiano) ha unito con quella precisione
Realizzata così l’ unione di una zona della vela, si passa alla cucitura lungo tutti i ferzi, quindi all’ unione delle varie zone fino ad arrivare alla vela completa.
Mi vien da dire insomma che le vele sono
come un prosciutto di San Daniele.
Nell' ultimo ventennio gli Americani e i Giapponesi, con tutte le
loro diavolerie sul controllo di qualità nei processi
industriali, hanno provato a codificare
e unificare le fasi di lavorazione e gli ambienti di lavoro battezzando
tutto ciò con l' epiteto di "Certifcazione di
qualità"; direi che ci sono anche
riusciti, con l’ adeguamento delle normative comunitarie europee,
a imporre che
per fare qualcosa si usino gli stessi materiali e ad imporre che
vengano assemblati allo stesso
modo.
Ma, grazie
a Dio, in questa nostra scassata Italia l’ orgoglio della
lavorazione manuale,
la freschezza dell’ aria buona, l’ arte della pazienza sono
ancora in grado di
produrre qualcosa di unico; così è per l' aria che gioca
almeno per una ventina di mesi a stagionare il prosciutto di San
Daniele e così è
per l' unione dei ferzi e l' applicazione delle rifiniture delle vele.
E così mi
auguro che continui ad essere ancora per molti e molti anni !