ARTICOLI E CHIACCHIERE COSE TRA NOI
 NOVEMBRE 2012

 ENTRIAMO NELLA VELERIA
ovvero

IL MESTIERE DEL VELAIO
    

Eccoci giunti ora al dimensionamento e alla fabbricazione vera e propria delle vele; ora possiamo chiederci quanto grandi fare le nostre vele.
Qui qualcuno dirà: “Ma, caro amico, se la mia barca ha l’ albero alto tot il boma lungo tot e lo strallo lungo tot, ecco che le misure di randa e genoa sono belle e fatte !”
No, mi dispiace, ma non sono per nulla d’ accordo.
Se il mio scopo non è quello di fare regate (e quindi di avere la superficie velica più ampia possibile sapendo di poter contare su un equipaggio sempre pronto a cambiare genoa e a terzarolare) bensì quello di navigare per andare a spasso con la famiglia, ecco che le mie vele devono permettermi di lavorare il meno possibile quando vien su vento e, anzi, dovrò pensare bene a come modularle così da poter navigare anche quando il vento soffia bello teso o addirittura quando ce n’è troppo.

Così, per poter valutare la cosa, trovo molto più corretto - invece che affidarmi al velaio che sulla mia barca non ci ha mai navigato - che sia io a progettare le dimensioni delle vele; ho quindi creato un programmino che simuli la velocità della mia barca e il momento ribaltante cui è sottoposta ad una certa condizione di vento e di superficie velica (ripartita tra randa e genoa); ovviamente questo mini-simulatore l’ ho fatto in modo tale che non funzioni solo per la mia barca ma che, opportunamente tarato, vada bene per qualsiasi altra barca: è sufficiente conoscere le attuali dimensioni di randa e genoa, le dimensioni di albero e boma e i dati-limite di velocità del vento reale e della barca.
Per dati-limite intendo dire semplicemente che l’ armatore, dopo aver navigato con la sua barca, avrà stabilito quale sia lo sbandamento che ritiene di non voler superare.
Uno di voi per esempio potrebbe dire: “Ho navigato di bolina con 15 nodi di vento reale con tutta randa e genoa e la barca faceva 6 nodi e mezzo e lo sbandamento era il massimo che mia moglie sopportava". 
Ecco, per quell' armatore questo rappresenta il limite per navigare ancora piacevolmente.
Con questi dati (che sono quindi soggettivi perchè dipendono dall’ armatore, dalla sua moglie, dai suoi figli o dalla sua morosa) il mio programmino è in grado di calcolare il momento ribaltante agente sullo scafo che corrisponde proprio a quell’ angolo di sbandamento-benessere che l’ armatore considera come limite.
A questo punto nel programma io posso variare le superfici veliche e la velocità del vento reale così da mantenere il momento ribaltante sempre su quel valore massimo fissato, sondando così svariate combinazioni di vele con svariate situazioni di vento.
Un esempio pratico vale meglio di tanti discorsi.

Sulla mia barca il genoa originale aveva una base di ben 8 metri e a 12-13 nodi di vento reale ero costretto già a prendere una mano di terzaroli; quando - intorno ai 16 nodi - dovevo arrotolarlo facevo una fatica enorme a fargli compiere i primi giri, proprio per la sua grande superficie.
Ho scelto quindi di ordinarne uno con la base di 7 metri, perdendo così circa 8 mq di superficie ma nel contempo di allunare un po’ di più la randa riguadagnandone circa 5 e modificando le altezze sulla sua inferitura per le prese di terzaroli.
Ora prendo la prima mano a 15 nodi e, prendendo la seconda a 17, posso lasciare su tutto il genoa fino a 20 dopodiché riesco ad arrotolarlo con discreta facilità.
Sembrerà cosa da poco, ma ciò mi fa lavorare molto meno di prima perché il “range” di vento in crociera spesso si sistema proprio all’ interno di questi valori.
Inutile dire che dai 20 nodi in su a prua isso la trinchetta e, arrivando alla terza mano di terzaroli alla randa, riesco a navigare fino a 35 nodi di reale; dopodiché (se proprio mi capita di esserci in mezzo) lascio su solo la trinchetta e così la barca naviga anche fino a 45 nodi di reale.
Il tutto verificato sia col programmino che anche nella realtà.
Quale sarà la combinazione giusta per la vostra barca?
Non lo so, ma se vi serve potremo scoprirlo insieme.

Visti i materiali e il dimensionamento che - ripeto - per andare a spasso deve essere soggettivo, veniamo ora alla fabbricazione delle vele.

Per quanto mi sforzi di mettercela tutta so che non sarò certo in grado di descrivervi il fascino che ha tutt’ ora il mestiere del velaio: vorrei riuscire con queste righe e con le foto a farvi sentire la storia e la cultura che c’è dietro a questo mestiere, ma non è facile.
Per esempio Jens Glinkowsky è nato a Lubecca, dalle parti di Amburgo, lo stesso anno in cui sono nato io (ma non vi dirò qual è); Lubecca è il porto tedesco più importante sul mar Baltico e dal XIII al XV secolo fu la regina della Lega Anseatica, vanta quindi tradizioni marinare importantissime.

Jens ha frequentato lì le scuole professionali conseguendo la specializzazione di velaio: altre specializzazioni della scuola erano il maestro d’ ascia e il sommozzatore e, mi raccontava Jens, che per tutte le specializzazioni l’ esame finale consisteva nella esecuzione pratica di ciò che si era  imparato e su quello la commissione emetteva il giudizio.
Fino a qualche anno fa per fabbricare una vela sia il progetto (cioè la definizione delle dimensioni, la scelta della grammatura del tessuto e il disegno dei ferzi) che il tracciamento e il taglio degli stessi avveniva in veleria, stendendo i rotoli sul pavimento e disegnandovi le sagome dei ferzi con fili e centine curvilinee.
Un lavoraccio soprattutto con gli spinnaker, vele grandi e dal “tessuto” deformabile e leggero.
Tutte queste fasi oggi non si fanno più.
Ferma restando la visita del velaio alla vostra barca sulla quale prenderà le misure, si passa  insieme a lui a definire le quote delle dimensioni definitive vele e - per questa fase - io ho fatto le mie scelte sulla base del programmino di simulazione di cui vi ho già detto.
Fatto questo, insieme al velaio si sceglie il “tessuto” con cui eseguirle, sia individuandone la tipologia che la grammatura.
Si comunicano quindi i dati alla veleria-madre che li elabora e dà il suo benestare, oppure chiede di apportarvi delle varianti.
Quando tutto è concordato ed accettato, dalla veleria-madre arrivano sia i disegni delle vele, sia i ferzi già tutti tagliati e arrotolati in una unica bobina.

 

Così comincia la parte manuale del lavoro: dai disegni vengono individuati i ferzi (che sono tutti siglati o numerati) e il velaio comincia a disporli sul pavimento nel loro ordine.

           

Per questo scopo la vela viene divisa in zone (praticamente penna, scotta e mura) e per ognuna di queste avviene la parte più delicata dell’ operazione, cioè l’ unione dei ferzi l’ uno con l’ altro con del nastro bi-adesivo.
Questa operazione è lunga e molto delicata, perché l’ assemblaggio avviene con la precisione del millimetro (anche meno) e in questa operazione l’ abilità dell’ operatore è assolutamente fondamentale.
Pensate che per il mio genoa di 55 mq che ha una inferitura di 16 m e una base di 7, i ferzi sono ben 38 e i lembi dei ferzi da unire assommano a circa 240 m.

Significa che l’ operatore (in questo caso Sebastiano) ha unito con quella precisione 240 m di lembi “camminando” sempre sulle ginocchia: una fatica e una professionalità non indifferente.

Realizzata così l’ unione di una zona della vela, si passa alla cucitura lungo tutti i ferzi, quindi all’ unione delle varie zone fino ad arrivare alla vela completa.

 

 Ora occorre passare all’ unione delle fazzolettature, dei rinforzi, dei meoli, delle balumine, delle tasche per le stecche, delle bugne, delle striscie di sagoma, dei garrocci, dei mostravento.
Una infinità di manodopera del tutto artigianale.

Alla fine la vela è pronta ma…andrà bene ?

“Certo” – vien da dire - “se le misure sono state prese bene e si è lavorato con quella precisione…”
Invece non è detto che vada sempre così.
Mi raccontava Jens che diversi anni fa in Francia imparò a cucire una sola volta i ferzi lungo le inferiture perché, data la flessibilità degli alberi, doveva comunque sempre variare la concavità delle vele nei pressi di tale zona e quindi doveva scucire e riprendere le cuciture.
Ricordiamoci infatti che un sarto prende le misure del corpo e confeziona il vestito e, se non è passato troppo tempo tra una fase e l’ altra durante il quale la persona è ingrassata o dimagrita, il vestito va bene.
Il velaio invece si trova ad avere a che fare con un albero sul quale prende le misure in condizioni di riposo ma poi in navigazione e sotto sforzo quello stesso albero si deforma e, alle volte, lo fa in modo poco prevedibile.
Bene, ora le vele sono pronte per dare il meglio di sè; ricordiamoci che esse sono un prodotto che alla tecnologia di base dei materiali (che la chimica organica aggiorna continuamente agglomerando altri elementi a carbonio e idrogeno) affianca una manodopera altamente specializzata e che è assolutamente fondamentale.

Mi vien da dire insomma che le vele sono come un prosciutto di San Daniele.
Nell' ultimo ventennio gli Americani e i Giapponesi, con tutte le loro diavolerie sul controllo di qualità nei processi industriali, hanno provato a codificare e unificare le fasi di lavorazione e gli ambienti di lavoro battezzando tutto ciò con l' epiteto di "Certifcazione di qualità"; direi che ci sono anche riusciti, con l’ adeguamento delle normative comunitarie europee, a imporre che per fare qualcosa si usino gli stessi materiali e ad imporre che vengano assemblati allo stesso modo.
Ma, grazie a Dio, in questa nostra scassata Italia l’ orgoglio della lavorazione manuale, la freschezza dell’ aria buona, l’ arte della pazienza sono ancora in grado di produrre qualcosa di unico; così è per l' aria che gioca almeno per una ventina di mesi a stagionare il prosciutto di San Daniele e così è per l' unione dei ferzi e l' applicazione delle rifiniture delle vele.
E così mi auguro che continui ad essere ancora per molti e molti anni !
  

 

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