ARTICOLI E CHIACCHIERE COSE TRA NOI
OTTOBRE 2009

Che meraviglia quando randa e genoa lavorano insieme in armonia !


HO CONOSCIUTO L' ANONIMO SIGNOR POLIMERI

Io sono uno scarso navigatore nel web (mi piace di più farlo sul mare), pochi giorni fa però ho trovato un forum che si chiama  forum.amicidellavela.it  dove sono stato citato a proposito di svariati argomenti, quali fulmini, osmosi e carbonio.
Un anonimo signor "Polimeri" così scrive del mio articolo del settembre 2006 dove parlavo dei materiali da costruzione:

Mai lette tante stupidaggini messe tutte insieme....insomma senza andare sull'eccessivamente tecnico:
paragonare un batuffolo che e' un insieme disordinato di fili di cotone, con un filo di cotone singolo gia' di per se dimostra l'approccio confusionario dell'articolo nel tentativo maldestro di descrivere gli sforzi ed i diversi stadi della deformazione
il modulo elastico poi non e' necessariamente legato alla deformazione da snervamento a cui allude l'articolo
inoltre si parla di fibre, dimenticando che il composito si chiama composito perche' l'interfase conduce ad un materiale che ha caratteristiche diverse sia dall'una che dalla seconda, prese singolarmente
un composito tra due materiali non e' una media statistica delle resistenze fisiche dei due materiali,
in un composito oltre a variare l'apporto del fibrorinforzo, in termini di peso percentuale, dimensione dei fili orientamento e natura del materiale
varia notevolissimamente il risultato finale, a seconda delle caratteristiche meccaniche della resina impiegata
ad esempio ottenere un composito unendo una fibra ad alta resistenza a trazione pur con nessuno snervamento a rottura, con una resina ad calibrato allungamento elastico....forma un composito ad alto modulo che si comporta come se avesse uno snervamento.....quindi avvertirebbe prima di rompersi durante la fase di snervamento
Insomma il composito puo' essere progettato sia rigidissimo che elasticissimo e con comportamento pseudoplastico dipende da questi fattori
inoltre dire che il composito non aumenta la resistenza a rottura per pressione non e' affatto vero perche' essa viene incrementata dalla fibra anche se in misura minore rispetto alla resistenza a trazione
in piu' l'onda ripetuta non sottopone lo scafo a trazione e compressione separatamente come viene scritto nell'articolo, ma alla combinazione delle due che si chiama flessione
piu' tutta un'altra serie di corbellerie che e' inutile approfondire
insomma il composito in carbonio puo' essere piu' o meno fragile a seconda di come e' stato progettato, e non escludo che nelle barche da competizione si sacrifichi la flessibilita' e la resistenza all'urto per alleggerire anche di pochi kg la struttura per esasperarne le prestazioni, pero' nella cantieristica commerciale non si ricerca progetta con questi parametri e se un composito in carbonio risulta piu' fragile di uno in vetroresina significa solo che c'e' stato un errore di progettazione

Mi permetto di rispondere.
Dopo 54 anni (e 30 di professione) in cui ho calcolato parecchia roba come barche, case, palestre, condomini, chiese, pali ferroviari, capannoni che a tutt' oggi anche in zona sismica sono ancora in piedi, mi ha profondamente amareggiato leggere che dimostro approccio confusionario nel tentativo maldestro di descrivere gli sforzi ed i diversi stadi della deformazioneche scrivo tante stupidaggini messe tutte insieme e anche  tutta un'altra serie di corbellerie che e' inutile approfondire.
A me piace il rispetto reciproco e soprattutto la buona educazione quindi, senza fare alcuna polemica trovo doveroso sottolineare che:
- l' esempio del batuffolo di cotone è corretto e pertinente: esso descrive benissimo l' invenzione dei trefoli di acciaio e la loro applicazione alla precompressione del calcestruzzo nonchè l' applicazione delle fibre (di vetro, di kevlar, di carbonio) all' interno delle resine; la stessa umile vetroresina ha subìto una evoluzione passando dai fogli di lana di vetro pressata alle stuoie di fibre di vetro (mat) e quindi al vetro E;
- la media statistica delle resistenze fisiche dei due materiali è un concetto che ha inventato il signor Polimeri; io non ne ho mai parlato e nessuno ne parla mai; semmai è corretto parlare di media a proposito di provini di laboratorio riferiti a più campioni di un solo materiale ma non certo come media di resistenza di due materiali;
- dubito assai che unire una fibra ad alta resistenza a trazione con una resina a "calibrato allungamento elastico" (?) formi un composito che si comporta come se avesse uno snervamento: ciò potrebbe accadere solo se le fibre si scollassero dalla resina (con immediata distruzione del composito); il perchè è evidente: a trazione sono le fibre che "comandano" l' allungamento quindi quest' ultimo si basa sulle caratteristiche delle fibre e non su quelle della resina;
- è vero che progettare un composito elasticissimo si può, basta considerare sia il calcestruzzo armato (dove le barre di acciaio costituiscono le fibre e il calcestruzzo la resina) sia la vetroresina stessa, ma che senso ha ? Poichè è proprio la tecnologia del composito che permette la costruzione di scafi rigidi e leggeri da competizione allora che senso avrebbe usare quella stessa tecnologia per costruire elasticissimo?  Esistono già materiali come legno e acciaio per questo e costano senz' altro di meno;
- un' onda ripetuta provoca flessione se le sezioni strutturali sono in grado di deformarsi di conseguenza (cioè se sono travi a sezione omogenea e isotropa, De Saint Venant insegna) ma se lo scafo dentro è vuoto (e così è) e se inoltre il composito è fatto con pellicole a sandwich, allora per il materiale esiste solo un modo di assorbire gli sfozi dell' onda: trazione su un lato e compressione sull' altro.
Penso che su tale tema scriverò un prossimo articolo perchè, oltre ad essere un argomento fondamentale sulla qualità delle barche, ho l' impressione che la cultura tecnica di oggi sforni nozionismi a livello di materiali accompagnati a grandissime potenzialità di calcolo, ma con scarse conoscenze sul comportamento delle strutture cioè sulla scienza delle costruzioni.
 
Sbaglierò, come succede a tutti, ma non mi pare di aver scritto corbellerie; di certo non sono maleducato, rispetto gli altri e risulto iscritto a un Ordine professionale (e ciò che scrivo lo firmo).
Non faccio ulteriori commenti sul signor Polimeri.

Due lettori mi hanno chiesto cosa ne penso riguardo alla durata del sartiame.

Mi hanno chiesto cioè quanti anni secondo me possono durare le manovre fisse (sartie e stralli) e ogni quanti anni occorre sostituirle.
E’ un argomento interessante, anche perché nella letteratura del settore (perlopiù nelle riviste nautiche) si legge di tutto: c’è chi parla di 10 anni, chi di 15, chi di 20 senza mai però curarsi di definire il perché di tali indicazioni.
Tuttalpiù si può trovare scritto che l’ acciaio si cristallizza e che pertanto perde la sua elasticità, ma non viene mai riportato un briciolo di dato a supporto di tali affermazioni.
La ragione di tale “vaghezza” è semplice: nessuno si è mai preoccupato di studiare e di raccogliere dati sulle condizioni di lavoro e sulla vita  del sartiame e pertanto le riviste si limitano a chiamare in causa il cosiddetto “esperto” che fa e dice quel che può.

ECCOVI PERTANTO LE MIE 
VALUTAZIONI SUL SARTIAME

Nemmeno io sono un esperto di metallurgia né ho dati a disposizione ma sono un tecnico, pertanto cerco sempre di trovare dei numeri sulla base dei quali prendere le decisioni o dare dei consigli.
Ho pensato quindi di seguire questo ragionamento: se una imbarcazione (tipo un WOR) riesce a fare il giro del mondo senza cambiare sartiame, può costituire questo un dato di partenza su cui confrontare la durata delle manovre fisse di una qualsiasi altra imbarcazione da diporto?
Direi di sì.
Paragonare la durata del sartiame della mia barchetta sulla quale passo le ferie, con quella di una barca che fa il giro del mondo mi offre un piacevole senso di sicurezza.
Prima di farlo però dobbiamo chiederci che cos’ è che manda in crisi l’ acciaio.
E' una tensione continua, una alternata o una troppo elevata?
Qui la ricerca della risposta è un po’ più elaborata.
Lo snervamento (cioè il passaggio dell’ acciaio dalla fase elastica e quella plastica) avviene quando esso viene soggetto a carichi troppo elevati (per un acciaio in barre è circa ai 2/3 della tensione di rottura per un acciaio intrecciato è circa ai 4/5 della rottura). 

Il sartiame delle imbarcazione è però del tutto surdimensionato e pertanto è impossibile che ciò avvenga in conseguenza di sollecitazioni dovute al vento.

Digressione necessaria per giustificare quanto detto.
Una sartia di una barca a vela da 12 metri (che oggi disloca al massimo 9-10 tonnellate) può avere il diametro di 11 mm se realizzata con spiroidale da 19 fili o di 9,5 mm se realizzata in tondino.
In entrambi i casi il carico di rottura di quella sartia vale circa 9,5 tonnellate…Vale a dire cioè che una sola sartia potrebbe sostenere il peso di tutta la barca !

Pertanto la crisi dell’ acciaio (se di crisi si può parlare) può avvenire soltanto per cicli continui di carico e scarico, cioè per il movimento dovuto alle sollecitazioni dinamiche del moto ondoso.
E’ insomma lo stesso fenomeno che affatica le strutture di un ponte sul quale passano e ripassano continuamente i veicoli…in gergo strutturale si chiama “fenomeno di fatica” (è più o meno il principio che si applica quando si piega e si raddrizza più volte un filo di ferro con le dita per poterlo tagliare senza avere sottomano le pinze).

Altra digressione che è più che altro una parentesi.
Esiste ancora un altro caso possibile per portare a rottura una sartia: l’ incidente meccanico, come ad esempio il fatto che la barca cada dalle cinghie della gru durante la movimentazione e la sartia dia un colpo di karate da qualche parte (evento che capita non così raramente come si potrebbe pensare).
In questo caso però converrete con me che i danni nel sostituire il sartiame siano molto inferiori a quelli subiti dal resto della barca, che talvolta può anche non essere più riparabile, e che quindi questo non è un caso da prendere i considerazione per proseguire il nostro discorso.

Allora, riprendendo quanto sopra scritto riguardo alle barche che fanno il giro del mondo e alle sollecitazioni di fatica (cioè alle trazioni periodiche dell' acciaio), quante sono le onde che sollecitano il sartiame durante una circumnavigazione ?
Ovviamente il calcolo preciso è impossibile, ma la stima è piuttosto facile.
Un WOR alla velocità media di 13 nodi impiega circa 2307 ore, cioè un po’ più di tre mesi a fare il giro del mondo.
Esistono molti dati di rilevamenti effettuati in mare per conoscere le onde, in particolare la frequenza media del moto ondoso; per un fetch (cioè la distanza lungo la quale il vento può scaricare energia sulla superficie del mare) molto ampio e un vento tra i 15 e i 20 nodi la frequenza è di circa 0.17 Hertz, vale a dire di un onda ogni 6 secondi.
Questo dato ci porta a dire che il sartiame di un WOR per fare il giro del mondo viene sollecitato con cicli di carico con periodo di 6 secondi per un tempo di navigazione di 2307 ore, vale a dire con 2307 x 3600 / 6 = 1.384.200 volte.
Bene, seguendo il mio ragionamento poniamoci ora la seguente domanda: una delle nostre imbarcazioni da diporto, che naviga durante le ferie estive e per qualche ora durante alcuni week-end, per quante stagioni lo deve fare al fine di raggiungere gli stessi cicli di carico e scarico di un WOR?
Facile.
Se la navigazione durante le ferie dura circa 4 ore al giorno per 15 giorni e ci sommiamo altre 4 ore per 5 week-end, arriviamo a 80 ore all’ anno, cioè 80 x 3600 / 6 = 48.000 cicli.
Poiché nella circumnavigazione del globo abbiamo stimato 1.384.200 cicli, basta dividere questo valore per 48.000 e otteniamo il valore di 28,8 anni.
Insomma occorrono circa 30 anni perché il sartiame della nostra barca sia sollecitato lo stesso numero di volte che se facesse il giro del mondo.
Siamo così arrivati a un dato suffragato da una qualche valutazione.
Certo si possono obiettare diverse cose, per esempio che le onde dell’ oceano sono diverse da quella dell’ Adriatico sia in altezza che in frequenza, inoltre che dopo tre mesi l’ acciaio delle sartie del WOR non è certo vecchio come lo è dopo trent’ anni quello che è montato sulla mia barchetta.

Sono obiezioni legittime.
Dal punto di vista dello stress per l’ acciaio il moto ondoso dell’ Adriatico è senz’ altro diverso da quello oceanico, mi sentirei di dire che le onde sono più ripide e hanno frequenza più elevata (si susseguono cioè con ritmo più sostenuto) ma hanno minore altezza.
Poiché il parametro che sollecita le manovre fisse è l’ accelerazione e la decelerazione che a loro volta dipendono dall’ energia dell’ onda, ecco che ciò che conta non è il mare dove si naviga ma l’ energia accumulata dal mare…e questo ultimo parametro dipende solo da tre fattori: la velocità del vento, la sua durata e il fetch.
A parte l’ ultimo (che dipende dalle geometrie e dalle orografie delle coste) gli altri dipendono solo dalla meteorologia, cioè in pratica dal Buon Dio, e si possono assumere senz’ altro variabili ma comunque coinvolgenti in egual misura tutti i mari del mondo.
Se è vero poi che le onde in Adriatico sono più frequenti e più ripide (quindi più incisive sulle trazioni periodiche sul sartiame), è anche vero che il diportista cerca di evitare le burrasche durante le ferie, mentre chi fa il giro del mondo per regata spesso ci si ficca proprio dentro.  

Allora non mi sento di dire che esiste una grande differenza tra le sollecitazioni sul sartiame prodotte in un mare piuttosto che in un altro, e che il dato di 30 anni può avere un suo significato.
Dopo trent’ anni allora è consigliabile sostituire il sartiame ?
Non lo so, non è mica detto che quel WOR dopo aver fatto il giro del mondo perda l’ albero, no?
E allora è ammissibile che lo perda una imbarcazione da diporto dopo trent’ anni di onorato servizio ?
Ho ancora dei dubbi….
Per la stessa ragione infatti si dovrebbero sostituire tutti i bulloni esistenti a bordo, compreso i prigionieri che tengono su la chiglia. E come mai nessuno pensa di farlo ?
Pigrizia ?  Dimenticanza ?  Mancanza di interessi commerciali ?

E’ che per fortuna nostra l’ acciaio ha un gran pregio…è elastico e quindi è in grado di “avvisare” quando sta per tirare le cuoia deformandosi “un po’ di più del solito”.
Se in un futuro (spero lontano) il sartiame metallico verrà sostituito con fibre sintetiche (carbonio o kevlar et similia), allora sì che ci sarà da preoccuparsi perché la rottura, se avverrà, avverrà di colpo senza alcun preavviso e la sostituzione delle manovre fisse dovrà esser fatta secondo una vera e propria tabella di marcia.

Evviva i materiali deformabili (e meno costosi)…e abbasso la rigidità, 
tanto la maggioranza di noi in barca ci va per andare a spasso, mica per vincere ! 

Concludo con un consiglio da amico.

Piuttosto di preoccuparsi tanto dell' età di sartie e stralli, ritengo fondamentale invece 
salire ogni anno in testa d' albero a verificare :
le condizioni di perni e coppiglie, gli incavi dei martelletti di arrivo delle sartie, i pernetti dei grilli dei bozzelli delle drizze spi, i sostegni dell' antenna VHF e del mostravento, il perno dell' anemometro.
Dopo un bel po' di anni vi assicuro infatti che le sartie saranno ancora al loro posto mentre l' anemometro potrebbe staccarsi e finire dopo un bel volo sulla testa di vostra figlia che se ne sta sdraiata in coperta a prendere il sole.

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