ARTICOLI E CHIACCHIERE COSE TRA NOI
OTTOBRE 2010

Questo mese, carissimi et affezionati lettori, abbiate la compiacenza di scusarmi se non vi propino il solito articolo ad argomento unico; sento la voglia di chiacchierare un po' del più e del meno con voi
come se stessi seduto al tavolino di un bar guardando questa bellissima foto di Luciano Michielin.

Trovo questa cosa (stare seduto al tavolino di un bar) molto accattivante 
perchè è un passatempo che non faccio mai; mi rendo conto che per molti questa sia una vera "occupazione" e - per dirla tutta fino in fondo - queste persone non hanno tutti i torti. 
Concedersi delle pause
di riflessione durante il lavoro è tutt' altro che un' attività controproducente, serve infatti a stimolare la creatività del cervello (che si spera continui sempre a funzionare
senza limitarsi ad ipotizzare quanti goal potrà segnare Ibrahimovic col Milan).

Tanto per cominciare, qualche volta mi telefona Daniele che, insieme a Wilmo, qualche anno fa ha comperato un Canados 33.  
Mi ha riferito che, leggendo il Forum "Amici della vela", ha scoperto che per pulire e rinnovare l' anodizzazione dell' albero un tale consiglia di trattarlo con una miscela di tre parti di acqua e una di gasolio.  Mi ha chiesto cosa ne penso....

La cosa mi ha fatto ricordare il mio amico Roberto Checchin (ora dentista) che, ai tempi dei nostri studi universitari durante una serata passata al rifugio Nuvolau (le gite in montagna erano i nostri "momenti di evasione" di allora), si preparò una fetta di pane da toast con burro, tonno in scatola, Nutella e una spruzzatina di limone...Allora Roberto studiava medicina a Padova e si dice che per fare medicina ci vuole un bello stomaco !
Certo è che uno skipper è libero di trattare l' albero della propria barca con quel che più gli piace.
Francamente però all' acqua e al gasolio che - come tutti sanno - non sono miscibili per ovvia diversità di peso specifico e il cui potere detergente è tutto da dimostrare, anch' io aggiungerei una spruzzatina di limone....Se non ha fatto male a Roberto al rifugio Nuvolau non può certo nuocere all' anodizzazione dell' albero al livello del mare.

Qualcuno mi suggerisce di trasformare queste pagine in un forum, altri di proporre la vendita di accessori e occasioni per la nautica. Non ho queste idee, tuttavia per un amico farò una eccezione: si tratta di Marcellino (che ho già citato un paio di volte in questo sito) che mette in vendita la sua Orca 43 a 60.000 Euro; la barca è un vecchio progetto da regata in vetroresina di Carter e, rispetto alle barche costruite oggi, può essere definita una corazzata pressochè indistruttibile.

 

Marcellino le ha fatto il trattamento completo anti-osmosi, l’ ha dotata di elica di prua e di numerosi altri accessori; attualmente è ormeggiata a Chioggia.
Se vi interessa potete contattare direttamente il proprietario al 335 6974764.


Oltre a Daniele e a Marcellino mi ha telefonato anche Maurizio Maran: da quando ho periziato la barca (che poi lui ha acquistato) mi interpella se ha dei dubbi; evidentemente ritiene che io sia uomo dalle molte risorse.
Stavolta mi ha chiesto qualcosa relativamente alla ricarica degli accumulatori di bordo.

(MINI PRECISAZIONE TRA PARENTESI : so che molti di voi lo sanno, comunque dopo che avete ricaricato le batterie dei servizi navigando per qualche ora a motore, se
spegnete il diesel perchè navigate a vela o siete alla fonda ricordate di togliere il parallelo (altrimenti insieme alle batterie dei servizi scaricate anche quella adibita alla messa in moto….e ciò non va bene).

Non è tuttavia per questo che scrivo qui della sua telefonata, quanto per il fatto che Maurizio mi ha raccontato di come abbia rotto una delle due cime di ormeggio al gavitello di Uvala Maracol (alle isole Unije) durante una forte sciroccata: “Per fortuna che avevo messe due cime”, ha aggiunto.
Bravo!
Ecco cosa significa fare tesoro delle esperienze: se il bollettino prevede scirocco (cioè un vento tipico di un fronte caldo in avvicinamento e quindi prevedibile sia come intensità che direzione), innanzitutto va ricercato un approdo ridossato e - se proprio non è possibile - vanno senz’ altro rinforzati gli ormeggi.
Quella notte ero anch’ io al gavitello con la mia barca a Ilovik (un posto più riparato dallo scirocco rispetto a baia Maracol, soprattutto sulla riva vicino al paese) e ricordo che il giorno dopo andai a Isto, dove trovai tutti i gavitelli della baia deserti ! 
Erano scappati tutti per l’ insostenibilità dell’ ormeggio, perché il porto principale di Isto è aperto a SE.
Ora che ci penso mi viene in mente un’ altra cosa che riguarda Isto, ma ve la racconterò più avanti.

E' proprio vero che ci si innamora della propria barca (argomento sul quale mi sono ormai abbondantemente soffermato gli anni scorsi) ma la dolcezza e la sicurezza con le quali il mio Comet 12 si avvia sui 7 nodi di bolina larga quando spira una brezza sui 10 nodi, ha del meraviglioso.

 

Forse non tutti sanno che il Comet 12 è nato dalla mente di Vallicelli subito dopo l’ esperienza di Azzurra, nel 1983; erano anni in cui la Coppa America si disputava ancora con i 12 metri Stazza Internazionale.
Questa regata, o meglio si dovrebbe dire questa serie di regate, non mi ha mai del tutto entusiasmato infatti non ne parlo mai.
Se da un lato infatti essa ha permesso di cercare, trovare e poi applicare svariate innovazioni e materiali per il mercato della nautica, è anche vero che la sua formulazione è sempre stata una sorta di “contratto” tra detentore e sfidante, con tutti i pro e i contro che ciò significa.
Ho sempre avuto l' impressione che il tutto assomigli alla sfida tra un campione di tennis e un altro avversario e che, prima dell’ incontro, questi stilassero le regole dello stesso modificando le dimensioni del campo di gioco, il tipo di pallina, le caratteristiche della racchetta, a seconda delle loro reciproche esigenze.
Tale modo di sfidarsi assomiglia più ad un affare da avvocati e commercialisti piuttosto che ad una sfida sportiva; è vero che poi sul campo contano muscoli fiato e tecnica, ma gran parte della sfida della Coppa si svolge prima e dopo le regate (e talvolta anche durante) nelle aule dei tribunali, dove quei fogli di carta che hanno cercato di normare il normabile poi sono stati sistematicamente contestati dall’ uno o dall’ altro dei contendenti.
Tutto ciò rende la sfida molto esclusiva e - consentitemi - poco sportiva e convincente.
Del resto, ripensando alle origini della sfida, non si può fare a meno di notare che di argomenti da trattare in un’ aula di tribunale già ce n’ erano abbondantemente.
Nel lontano 22 agosto 1851 infatti lo schooner America (stazza 170 tonn), imbarcazione vincitrice, misurava ben 100 piedi di lunghezza mentre il cutter Aurora (stazza 47 tonn), avversario inglese giunto secondo, ne misurava meno di 70.
Una lunghezza di oltre 30 metri contro circa 20.
Poiché il distacco in termini di tempo tra i due fu di appena otto minuti, si capisce bene come in quell’ occasione gli americani non abbiano fatto nulla di eccezionale nel battere gli inglesi.
Anzi, accordandosi prima su un handicap opportuno, probabilmente la coppa sarebbe rimasta in Inghilterra.
Con ciò non voglio assolutamente denigrare i progetti americani e lodare quelli inglesi, che di fatto all’ epoca consistevano nelle due scuole di pensiero ben distinte tra Schooner americano (largo e piatto) e Cutter inglese (stretto e fondo), mi chiedo però piuttosto come sarebbe andata la sfida se si fossero misurati due scafi di pari lunghezza.
Lo schooner “America”  avrebbe così facilmente vinto ?
La storia negli anni a seguire ha poi dato ragione agli americani, che non sono mai più stati sconfitti dagli inglesi, anche con barche molto simili tra loro.
La prima sconfitta la subirono ad opera dell’ Australia, non certo perché l’ equipaggio fosse più forte, ma semplicemente perché ancora una volta la barca "andava di più": fu l’ innovazione delle alette in chiglia che permise di ridurre gli attriti del vortice di deriva a far bolinare meglio la barca australiana.
Insomma la Coppa America non è mai stata corsa con barche monotipo e quindi non ha mai saputo fornire vere informazioni sulla bravura dell’ equipaggio.
Solo se batto un avversario che è dotato di un mezzo esattamente uguale al mio, posso dire di essere più bravo di lui, sennò posso dire di essere più fortunato (o più ricco, oppure sfacciatamente più ricco).
E’ lo stesso disorientamento (e scarso entusiasmo) che provo guardando le gare di automobilismo di Formula 1: è merito dell’ auto o del pilota ? E quanto è merito dell’ auto e quanto del pilota ? E quanto è merito dei soldi ?

Soldi, soldi, perennemente soldi....
No, non ce la faccio a rinviare al prossimo mese ciò che mi è venuto in mente riguardo a Isto, pertanto ho deciso di scriverlo ora.

Come detto, quest’ anno sono colà tornato con la famiglia (se trovate vecchio e obsoleto questo termine, mi dispiace, io lo trovo gradevole).
Isto è un’ isola dalmata che da sempre riscuote le nostre simpatie e che ho già citato in queste pagine coprendola di entusiastiche lodi (vedi settembre 2008).
Le foto che seguono sono tratte dai nostri viaggi negli anni precedenti, in cui ci siamo sempre trovati bene.

Quest’ anno invece le cose sono un po’ cambiate: vuoi per l’ esosità dei prezzi, vuoi per le “conseguenze del futuro” di cui ho scritto lo scorso mese di agosto, Isto mi ha lasciato un brutto ricordo: per essere più chiaro pubblico le foto seguenti.

 

Ora però lasciatemi porre una domanda.
Indipendentemente da dove sia arrivata e da chi si sia disfatto di tutta quella plastica (che si è impadronita del litorale di Isto così come di quelli delle nostre italiche coste), come mai gli abitanti dell’ isola non si sono ancora organizzati a ripulire?
Anche nella nostra criticabilissima Italia assistiamo ormai a iniziative di associazioni turistiche o ambientalistiche o semplicemente di alunni delle scuole che promuovono campagne di pulizia di cave, litorali e fiumi.
A Isto no?
E’ un vero peccato.
A fronte di un continuo incremento dei prezzi per i turisti nautici in Croazia è triste assistere all’ invasione di scogli e spiagge ad opera di Polietilene, Cloruro di Polivinile, Fosfobromuro, Cassan-Prandellammonio, Ibrastankovicene, Mourinhestere a catena, e Bossilviuro di Berluscopropano.  Basta !
Dobbiamo smettere di tollerare simili invasioni di sostanze inquinanti nella nostra vita; facciamo sentire la nostra voce a chi non riesce a comprendere la differenza tra fatti importanti e boiate, tra onesti e furbacchioni. 
Alle persone equilibrate e sagge certe distinzioni paiono scontate, ma sono fermamente convinto che al giorno d' oggi l' imbarbarimento culturale e l' ottusità cerebrale portano purtroppo all' incapacità di distinguere il bene dal male, il giusto dallo sbagliato.
Il rispetto per gli altri - unico comportamento in grado di salvarci - è uno stile di vita sempre più disatteso e talvolta sbeffeggiato: peccato perchè le religioni, che da secoli lo insegnano, vengono tirate in ballo solo per asservire alla politica a mezzo di proclami integralistici e mai per i loro veri contenuti di amore e solidarietà.
Gesù non amava i Farisei, così come Buddha e Maometto non amavano gli ipocriti...
...Vien da pensare a noi, che andiamo a Messa ad ascoltare il Vangelo e contemporaneamente evadiamo l' IVA e ignoriamo chi muore in mare per raggiungere un lavoro: ma chi siamo, Cristiani o Farisei ?

 Zio Pino mi ha suggerito di lasciare stare sia la professione di prete 
(che secondo lui non mi si addice) e di dedicare piuttosto un po' di spazio il prossimo mese 
ad un argomento rigorosamente nautico che sia più disintossicante.

Dominus vobiscum ! 
A presto. 
 

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