ARTICOLI E CHIACCHIERE COSE TRA NOI
 OTTOBRE 2011

 SARTIE, SARTIE,ANCORA SARTIE


Caro Ing. Scarpa, 
ho letto sul suo sito, incuriosito da una discussione sul sito di Amici della vela, un articolo che riguarda la durata delle sartie; senza entrare nel dettaglio, Lei calcola che le sartie paragonandole a quelle di un WOR potrebbero durare sulle nostre barche circa 30 anni.
Il problema che non mi trova d'accordo è che Lei affronta il problema solo dal punto di vista dello stress meccanico dell'acciaio, ma dimentica di dire (o forse ritiene non significativo, non lo so) che il sartiame di una barca è SEMPRE sollecitato almeno finchè c'è un albero da reggere, anche in porto soprattutto se c'è risacca, e addirittura con la barca a terra (e questo dovrebbe influire comunque sullo stress meccanico diminuendo considerevolmente i 30 anni ipotizzati).
Inoltre non viene considerato minimamente quello che secondo me è il peggiore problema (e lo dico per esperienza diretta) del sartiame specialmente spiroidale, che è la corrosione nei punti di pressatura, dove volente o nolente si accumula acqua e salino. Su una barca che ho riportato dai Caraibi qualche anno fa una sartia bassa è saltata nello stesso punto, sempre per motivi di corrosione.
Non è successo nulla per fortuna e abbiamo riparato con un terminale Norsemann e un po' di grilli ma il sartiame, che aveva poco meno di 20 anni, è stato ovviamente subito sostituito al nostro arrivo.

Io credo che la durata delle sartie vada valutata principalmente da questo punto di vista, probabilmente lo stress meccanico è il minore dei problemi.
Addirittura lei calcola un uso di una barca per 15 gg + qualche WeekEnd all'anno, per 4 ore al giorno. Mi sembra una stima delle più prudenziali ma, nonostante ciò, io sono convinto che se la barca fosse usata 2 mesi l'anno per 8 ore al giorno questo non porterebbe la durata del sartiame ad 1/8 di quanto da Lei calcolato (cioè da 30 anni circa a meno di 4), ma rimarrebbe intorno ai canonici 10 anni, proprio perchè è la corrosione la principale causa di rotture del sartiame sulle barche da crociera (come Lei ben sa, sulle barche da regata il dimensionamento è molto più al limite dei carichi di rottura, allo scopo di risparmiare peso e quindi  il ragionamento è completamente diverso).
 
Oltre a lavorare con barche da charter, io ho una barca (un Atlantic 49, di un cantiere greco che si chiamava Anassis, albero e relativo rigging originale Z-Spars) che uso circa 1 mese e mezzo  l'anno, più un po' di miglia in trasferimenti: sto cambiando il sartiame e, smontandolo, è bastato torcere una sartia un poco di più per fare saltare alcuni trefoli nel punto della impiombatura: un problema di corrosione.
E il mio sartiame aveva 15 anni sulle spalle.

Cordialmente, La saluto
 William Fanelli
Resp. area Charter


Bene bene....Come tempo addietro sono tornato sull’ argomento “fulmini” in risposta a una lettera dell’ ing. Giardini, così stavolta torno sull’ argomento “durata del sartiame” in risposta alla lettera dello skipper Fanelli.
Trovo opportuno innanzitutto ringraziare William Fanelli per queste sue precisazioni: più si parla di un qualcosa e meglio è perché così facendo tutti impariamo un po’ di più.
Entrando nel merito della lettera di William c’ è una cosa che mi trova d’ accordo, l’ altra un po’ meno.
Cominciamo da quest’ ultima.

Quando nell’ articolo dell’ ottobre del 2009 scrissi sull’ argomento, ricordo che pubblicai anche un diagramma che qui riporto nuovamente.

Quello a sinistra è il diagramma-tipo delle tensioni-deformazioni di un comune acciaio da carpenteria, quello a destra rappresenta la stessa cosa ma per un trefolo di acciaio da precompressione.
Quest' ultimo si adatta meglio a descrivere ciò che succede allo spiroidale di una sartia, tuttavia, in entrambi i casi, si vede bene il ripido tracciato quasi rettilineo e un po’ inclinato della fase elastica (l’ acciaio teso si deforma e poi ritorna alla dimensione iniziale una volta scaricato) e quello molto più curvo e poi quasi orizzontale della fase plastica (per lo spiroidale questo tracciato parte intorno ai 140 Kg/mmq) dove è bene che l’ acciaio non arrivi mai, pena la sua deformazione permanente.
Per ulteriori definizioni e precisazioni rimando il lettore a quell’ articolo.
Ora è innegabile che una sartia è fatta per sostenere sia la spinta delle vele sull’ albero sia gli ulteriori strappi dovuti alle oscillazioni per il moto ondoso; la sartia è progettata per questo - cioè per reggere la somma delle due sollecitazioni - e quando dico che è progettata per questo intendo dire che regge le tensioni rimanendo in campo elastico, cioè senza deformarsi permanentemente.
Se una barca invece si trova in porto (o a terra), è vero che l’ albero non sta fermo proprio perché c’è la risacca o perché esso vibra, a secco di vele, sotto l’ azione del vento ma in questo caso la sartia, seppure sollecitata, non raggiungerà mai le sollecitazioni per le quali è stata dimensionata.
Insomma è come se avessimo in mano un elastico: nel primo caso è come se lo tenessimo fortemente tirato e in più lo tirassimo e mollassimo ulteriormente ancora un po’, nel secondo caso invece è come se lo tirassimo e mollassimo un po’ senza averlo prima tirato.
(Mi si perdoni l’ ulteriore paragone finanziario e tra parentesi : in un conto corrente bancario una cosa è andare di 500 Euro sopra o sotto un saldo contabile di 10.000 Euro, un’ altra cosa è andare di 500 Euro sopra o sotto un saldo di 0 Euro).
Quindi i fenomeni di stress a fatica, come li avevo definiti, per una pura faccenda di tensioni applicate esistono solo con la barca in navigazione, le vele gonfie e il moto ondoso presente, altrimenti le sollecitazioni a secco di vele costituiscono per il sartiame quasi una specie di “solletico” .

Veniamo adesso invece al fatto della corrosione.
Qui do pienamente ragione a William: anche a me è capitato di esaminare le condizioni del cavo spiroidale immediatamente vicino al terminale di una barca molto vecchia: è un punto dove spesso ristagna il sale e, se la qualità dell’ acciaio non era delle migliori e se la barca ha navigato e ha preso mare e non è stata lavata e spazzolata con acqua dolce o se non ha piovuto per lunghi periodi, quello è un punto in cui vi può essere corrosione.


In alto Adriatico, dove durante l' anno di pioggia ce n’è tanta e frequentemente, non succede quasi mai di assistere a casi del genere ma in altre regioni e altri mari il fenomeno si può presentare con maggiore frequenza.
Credo quindi senz’ altro possibile che ai Carabi o nell’ Egeo o nel  Mediterraneo sud-orientale il salino possa agire con più frequenza, non tanto sulla superficie dello spiroidale, quanto sul “collare” dove comincia il terminale.
Da questo punto di vista avere il sartiame in tondino è senza dubbio meglio che averlo in spiroidale; il perché è rappresentato dal fatto che più la superficie metallica è liscia e meno v’è la possibilità che sale e sporcizia si incuneino negli interstizi.
Questa non è una banalità: in darsene situate nelle vicinanze di coste sabbiose (come capita sovente in Alto Adriatico) la superficie talvolta un po’ unta del metallo vicino agli arridatoi agisce come carta moschicida nei confronti della polvere e delle particelle più fini della sabbia che vengono sollevate dal vento….e lì ristagnano.
Bisognerebbe che lo skipper di quella barca fosse previdente spazzolando e lavando con cura i terminali.
Né aiuta coprire i terminali con delle cuffie (se ne trovano di materiali diversi) in quanto lì sotto, se è vero che la sporcizia entra con più difficoltà, una volta che è penetrata non la toglie più nessuno.

Anche dal punto di vista delle prestazioni il tondino è migliore dello spiroidale: lo spiroidale in acciaio inox Aisi 316 abbisogna di circa il 40% di sezione in più rispetto al tondino in acciaio Nitronic 50 per avere lo stesso carico di rottura e in più presenta anche un allungamento superiore del 20%, che non è poco.
Insomma col sartiame in spiroidale abbiamo più probabilità che lo sporco ristagni, più probabilità di innescare la corrosione sui terminali, più peso a riva (perché le sezioni di acciaio sono maggiori) e anche maggior deformazione dell’ albero.
Quest’ ultimo particolare è accettabile se si usano vele in dacron (cioè alquanto deformabili) ma
non lo è se si usano vele in Kevlar o  Carbonio (cioè molto meno deformabili).
Ma allora perchè quasi tutte le barche per andare a spasso - cioè quelle da crociera - hanno il sartiame in spiroidale?
A risposta è ovvia: perché costa quasi un quarto di quello in tondino !
Per i patiti delle prestazioni, e quindi anche dei costi, informo che gli acciai Nitronic austenitici contengono Cromo, Nichel, Manganese e Azoto (non chiedetemi come queste leghe possano anche contenere un gas, perchè non lo so) e che esiste anche il tondino al cobalto MP-35-N con Nichel, Cobalto, Cromo e Molibdeno.
Ma il mio sapere in questo campo è molto, molto limitato: occorrerebbe che io fossi un ingegnere chimico-metallurgico e che avessi fatto qualche campagna di Coppa America per dare ulteriori informazioni su leghe, percentuali, processi di lavorazione, caratteristiche, prestazioni, costi….
Il mio sapere purtroppo è limitato (e lo è sempre di più, ogni stagione che passa), tuttavia il piacere che provo a veleggiare con un armo in spiroidale vi assicuro che è lo stesso che provo con un armo in tondino: tra le barche che ho avuto e quelle su cui ho navigato ho sperimentato sia questo che quello, sia con vele in dacron che con vele in mailar-kevlar e, francamente, non solo non ho mai disalberato o assistito a cedimenti del sartiame ma anche mi sono sempre ugualmente divertito. 
Forse sarà perchè mi accontento o perchè non "tiro mai troppo".
L' unica cosa che mi sento di sottolineare (anche se dopo quanto detto dovrebbe essere ovvia) è che non ha senso dotare la propria barca di albero in carbonio e vele in "pellicole con intromissioni di fili rigidi" e poi avere il sartiame in spiroidale, così come ha poco senso dotare la barca di sartiame in tondino e avere l' albero di alluminio e le vele in dacron.

Per concludere direi che i “30 anni” di durata del sartiame sono plausibili se esso è di buona qualità e se è stato lavato e mantenuto bene, viceversa vanno a ridursi se i terminali non sono stati ben eseguiti e/o se la pulizia dei terminali e degli intersizi tra le trecce non è stata curata.
Purtroppo nessuno di noi è in grado di sapere se
i terminali sono stati ben eseguiti (occorrerebbero i raggi X, e questo vale soprattutto per i terminali in tondino), però siamo senz' altro in grado di mantenere pulita la nostra barca.
Del resto il discorso della manutenzione assidua vale per qualsiasi parte della barca, dell’ auto, della bici, della casa…e anche del nostro fisico: anche noi abbiamo bisogno ogni tanto di un esame del sangue o di un elettrocardiogramma, no?
Tuttavia - e mi scuso se insisto su questo punto su cui mi sono già soffermato nel gennaio 2010 - quanti di noi conoscono la qualità dell’ acciaio usato per i prigionieri che reggono la chiglia della propria barca e quanti di noi ne ispezionano costantemente lo stato e la pulizia ?
Forse alla seconda domanda qualcuno tra noi risponderà alzando la mano e dicendo “Io lo faccio, sorveglio sempre la pulizia dei prigionieri e faccio loro sempre prender aria ! ”, ma sfido chiunque tra noi a rispondere con sicurezza alla prima.
Eppure, tra i due guai, è senz’ altro meglio disalberare che perdere la chiglia...
...Perlomeno si rimane a galla, no ?

Grazie William per il tuo graditissimo intervento.

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