ARTICOLI E CHIACCHIERE COSE TRA NOI
 SETTEMBRE 2006

Luglio 2006 - Questo sono io; sto facendo il bagno in un posticino
che si trova a circa 130 miglia da dove tengo la mia barca.
Se volete sapere dove sia, scrivetemi (testainscarpa@fastwebnet.it)
...Vi risponderò in privato per evitare ressa!
tettest

Silvio De Poli e la sua gentile signora Paola sono una coppia di velisti molto validi e affiatati e soprattutto sono due persone con le quali da anni si è instaurato un rapporto di reciproca simpatia.
Silvio mi diceva che non concorda con quanto da me scritto a proposito delle “fatiche fisiche” a cui si sottopone il crocerista-velista: secondo lui infatti la vera fatica fisica consiste nell’ andare alla toilette nel Marina di Umago!

Ricordo il Marina di Umago (Istria settentrionale): è un porto turistico particolarmente “esteso e cementificato”.
Circa vent' anni fa l’ enorme richiesta di turismo nautico da parte dei popoli teutonici d’ oltralpe smosse gli animi degli allora Jugoslavi-Croati e contemporaneamente smosse polemiche urbanistico-politiche in Italia.
Intendo dire che mentre in Italia si fece ciò che si fa ancor oggi (si parla di calcio e non si fanno porti turistici), nell' allora jugoslava Croazia si parlò male dei Serbi ma si iniziò a costruire darsene e marine attrezzate.
Il risultato fu notevole: in Italia si disputarono campionati di calcio rigorosi e irreprensibili, mentre in Croazia  si  iniziò a progettare e a costruire: così  moltissimi tedeschi e austriaci (e anche italiani) trasferirono al di là dell' Adriatico le loro imbarcazioni, sorsero numerose società di charter, l’ indotto ebbe un fortissimo impulso, ci fu la guerra che portò alla secessione di Slovenia (senza spari) e di Croazia e Bosnia-Erzegovina (ahimè con molti spari) e si ebbe la graduale modifica del panorama della costa istriana, oggi molto meno boscosa e assai più urbanizzata di una volta.
Dal punto di vista ambientalistico però lo sbaglio non fu delle scelte politiche Croate, quanto piuttosto delle scelte estetiche degli architetti Croati.
Ritengo che in Italia la posizione sia rovesciata: a fronte di un modo di progettare razionale e particolarmente attento all’ ambiente abbiamo da sempre avuto scelte politiche inesistenti (o al solo favore di pochi).

Bene, il Marina di Umago è un notevole esempio della Nuova Scuola Architettonica Balcanica.
Voi scendete dalla vostra barca in ciabatte e accappatoio sul selciato abbagliante di un molo sconfinato, sotto un sole cocente e senza la benché minima traccia di ombra.
Cominciate a vagare per i moli cercando, nella sconfinata candida vastità che vi accerchia, le tracce di un tetto che significa “ufficio” o “wc”; quando avete intravisto l’edificio e l’ avete raggiunto entrate in un mondo fatato: da + 45° esterni passate a + 16° interni dove un’ aria condizionata micidiale vi assassina la laringe invadendo i polmoni; marmi lucidi sui banconi e sul pavimento vi guidano freddamente alla “reception” dove giganteggia una bellezza locale dotata di tacchi, calze nere e tailleur con gonna a tubino (e probabilmente sotto sotto dotata anche di pesante maglia di lana). A lei vi rivolgete chiedendo informazioni sulla toilette.
Ella con tipica e ostica scontrosità vi invita a uscire seguendo le indicazioni esterne.
Tornate a + 45° e vi sobbarcate altri duecento metri di piazzale ciabattando e imprecando.
Grondando sudore come solo il monsone sa fare, giungete finalmente all' interno dei servizi dove vi imbattete in un triestino barbuto che si sta lavando i denti, in una famigliola di francesi con tre figli che giocano a spruzzarsi tra una doccia e l’ altra e in una comitiva di giovani tedeschi gonfi e così  ingombranti da far fatica a passare per le porte.  
Tornate quindi alla vostra barca, avvolti in un misto di aromi che sanno insieme di bagno-schiuma e di cassonetti delle immondizie, più accaldati di prima e con un lieve accenno di mal di gola.
Partite il giorno dopo, puzzolenti e sudati, e il ricordo che vi resta di Umago è un potente raffreddore accompagnato da una leggera bronchite. 
Hai ragione Silvio, andare al cesso a Umago è proprio 'na gran faticaccia!


QUESTO MESE, COME ANNUNCIATO LO SCORSO GIUGNO, PARLEREMO 
NEL BENE E NEL MALE DEI MATERIALI DA COSTRUZIONE ADOTTATI NELLA NAUTICA

QUESTO E’ UN ARTICOLO CASUALMENTE MOLTO TECNICO MA  LE SUE CONCLUSIONI  SONO VOLUTAMENTE 
MOLTO PRATICHE SOPRATTUTTO PERCHE’ TOCCANO CONSISTENTEMENTE IL PORTAFOGLI
 

Perciò cari lettori Genovesi, Friulani e Lussiniani….farete bene a leggere ciò che segue.

 

 IL MODULO DI ELASTICITA’  - OVVERO: di quale materiale è meglio che sia fatta la mia barca ?

Ho incontrato molti armatori (indifferentemente se di scafi a vela o a motore) che amano propagandare con gli amici il fatto che la loro barca è fabbricata (o accessoriata) con materiali compositi (leggi Kevlar, Carbonio et similia). 
Talvolta vedo scritto sulle barche o sento dire dai loro proprietari: “Kevlar Powered” o “Carbonium Equipped”…La qual cosa "fa molto figo", naturalmente.
Ritengo perciò doveroso sottolineare ciò che segue al fine di far capire a questi signori come a volte essi abbiano fatto un cattivo affare ad acquistare tali tipi di scafi o accessori.

Oggi nell’ acquisto di una imbarcazione o di una vela o di un accessorio abbiamo sempre più a che fare con fibre dai nomi particolari e/o curiosi delle quali non tutti conosciamo proprietà, pregi e difetti.
Poiché la grandezza che meglio esprime nel bene e nel male le caratteristiche di tali materiali (insieme al peso specifico e alla tensione di rottura) è il modulo di elasticità è bene soffermarsi un momento sulla sua definizione, anche per comprendere meglio le conclusioni di questo articolo.
Detto anche Modulo di Young, il modulo di elasticità è simbolicamente rappresentato dalla lettera E; per un dato materiale è definito come il rapporto tra la tensione cui questo viene sottoposto e il suo conseguente allungamento: ma poiché detta in questi termini la cosa non è molto chiara, è allora bene dire che il modulo di elasticità altro non esprime che l’ entità di quanto si deforma un materiale una volta sottoposto a forze meccaniche.
A questo punto sembrerebbe ovvio desiderare di avere scafi vele e accessori il più indeformabili possibile e quindi adottare nella costruzione materiali dal modulo di elasticità molto elevato…Ma ciò non è sempre la scelta giusta per le considerazioni che seguiranno.

 I NUOVI MATERIALI

Basta tirare un batuffolo di cotone e poi fare la stessa cosa usando del filo di cotone per rendersi conto di come le cose cambino dal punto di vista della resistenza: il batuffolo cede subito, il filo solo dopo che lo si è tirato con una certa forza…Eppure sempre di cotone si tratta!
Ebbene, questa “strategia dei filati” è ciò che la tecnologia ha messo in pratica nel corso degli anni per molti altri materiali:
- prima con l’ acciaio, che nell’ edilizia dalle putrelle si è trasformato in trefoli per calcestruzzo precompresso;
- poi con le fibre di vetro, che dalle stuoie (mat) è diventato filato (cioè vetro E);
- infine con il kevlar e le fibre di carbonio.
Tutte costituiscono delle variazioni sullo stesso tema: un materiale ridotto a fili regge molto di più prima di rompersi, in altre parole ha una resistenza a rottura molto più elevata.
L’ esempio forse più eclatante è proprio dato dalle fibre di vetro.
Il PRFV, cioè la ben nota vetroresina, ha una tensione di rottura a trazione di circa 1000 Kg/cmq ed è fatta di stuoie di feltri di vetro annegate in resina; il vetro E ha una tensione di rottura a trazione di circa 24000 Kg/cmq ed è fatto dello stesso materiale trafilato e poi filato.
Un rapporto di 24:1, una differenza abissale! 

La seguente tabella mette a confronto le resistenze a rottura a trazione di vari materiali impiegati oggi nella nautica da diporto espresse in Kg/cmq, per valori via via crescenti: 

LEGNO

PRFV

ALLUMINIO

CARBONIO

ACCIAIO TRAFIL

VETRO E

KEVLAR

900

1000

2400

20000

24000

24000

30000

 (DIGRESSIONE ISTANTANEA: - Vorreste avere tutti la barca in Kevlar, vero?) 

Poiché una barca meno pesa e meglio è, sarebbe opportuno esaminare la faccenda anche dal punto di vista del peso specifico che esprime quanto pesa la stessa quantità in volume di ciascun materiale.
La seguente tabella mette a confronto i pesi specifici degli stessi materiali impiegati oggi nella nautica da diporto espressi in Kg/mc, sempre per valori via via crescenti: 

LEGNO

KEVLAR

    PRFV

CARBONIO

ALLUMINIO

VETRO E

ACCIAIO TRAFIL

800

1400

1500

1800

2700

2800

7800

 (NUOVA DIGRESSIONE ISTANTANEA: - E ditelo no, che vorreste avere tutti la barca in Kevlar!)

Qui è evidente la superiorità del legno, che ha il peso specifico più basso di tutti ma - ahimè - consultata la prima tabella notiamo che ha anche la resistenza a rottura a trazione più bassa.
Ora poiché è importante avere materiali resistenti ma altrettanto importante è caricare a bordo meno peso possibile, ecco la seguente terza tabella che mette a confronto i rapporti tra resistenza e pesi specifici dei precedenti materiali; dal suo esame si capisce che la graduatoria tra essi è  decisamente cambiata: 

PRFV

ALLUMINIO

LEGNO

ACCIAIO TRAF.

VETRO E

CARBONIO

KEVLAR

0,67

0,88

1,12

3,07

8,57

11,11

21,42

Vista così la cosa, vien da dire che il legno non è poi tanto male, no?
Parrebbe proprio invece che avere tutta la barca in vetroresina sia una vera e propria schifezza, mentre averla tutta in kevlar sia il top dei top.
Invece così non è, e non solo per una questione di costi.
Per capirne le ragioni occorre tirare in ballo nuovamente il modulo di elasticità e fare anche una distinzione tra due mondi a noi tutti ben noti.

 YOUNG E IL MONDO DELLE COMPETIZIONI

Chi vuole arrivare primo deve per forza correre più forte degli altri e quindi nella costruzione è costretto a percorrere la strada della leggerezza e della scarsa deformabilità: scafi rigidi, vele rigide e attrezzature rigide che pesino il meno possibile.
Tutta la barca allora diventa un insieme di fili disposti nel senso delle trazioni tenuti insieme da resine e pellicole: è la soluzione adottata ormai da qualche anno per vincere, ed in effetti è quella vincente! Ben vengano allora il kevlar e il carbonio, con l’ accortezza però di ricordare che le alte resistenze a rottura valgono solo per la trazione ma non per la compressione. 

(SCUSATE QUESTA NUOVA E ULTIMA DIGRESSIONE ISTANTANEA: - Il passaggio di un’ onda provoca in tutte le parti della barca in rapida successione sia una trazione che una compressione... ...scusatemi, ma ci avevate mai pensato?)

E come funziona il modulo di elasticità nella scelta di questi strepitosi materiali?
Magnificamente, ma con una pecca non trascurabile: esso ha valori stratosferici e pressoché costanti fino a che il materiale arriva a rottura, poi…..più nulla.
Ciò significa in poche parole che prima che si rompa ce ne vuole, ma che il momento della rottura avviene di schianto e senza apprezzabili preavvisi.
E’ un po’ insomma come cercare di spezzare fra le dita una barretta di ghiaccio: lo schianto avviene all’ improvviso e senza deformazioni visibili.
Ovviamente in un caso del genere la regata o la competizione motonautica è persa (e forse c’ è anche qualche ferito a bordo se non di peggio), ma lo sponsor può prontamente aprire il portafoglio e sostituire scafo, albero o velatura e forse anche aiutare a mettere a tacere le polemiche per l’ eventuale infortunato o cadavere che sia. 

YOUNG E IL MONDO DELLA CROCIERA

Chi va a spasso in genere vuole spendere il meno possibile e viaggiare con la maggior sicurezza  possibile.
Quindi se la vela perde di forma all’ aumentare del vento ma non si strappa, o se lo scafo beccheggiando allenta o tira lo strallo di qualche centimetro ma senza disintegrarsi, va benissimo ugualmente.
Nello scafo in vetroresina e nelle vele in dacron il modulo di elasticità ha valori molto più bassi, così come lo sono le resistenze a rottura.
Occorre pertanto realizzare le varie parti con spessori più elevati, quindi alla fine con pesi molto  più rilevanti; questi materiali più “ruspanti” hanno però la pregevole caratteristica di avere dei moduli di elasticità di valore non costante: vale a dire che più si tira, più il materiale si allunga ma senza più la stessa proporzione di prima; in altre parole esso raggiunge deformazioni visibili prima di rompersi, “avvisando” quindi della sua rottura molto prima che essa avvenga.
E’ un po’ insomma come cercare di spezzare della gomma da masticare: prima di riuscirci la deformazione è elevata e visibilissima.
Ciò si traduce in pratica nella parola “sicurezza”.
Inoltre l’ aumento degli spessori e quindi del peso, se da un lato limita le prestazioni in termini di velocità, dall’ altro aumenta di gran lunga la durata nel tempo della barca…
Questo significa meno svalutazione per l’ usato e quindi investimento finanziario più sicuro nel tempo.

 LA MORALE

Allora cosa è meglio fare per chi vuole andare a spasso?
La risposta è immediata: chi vuole vincere e vuole rischiare deve avere molti soldi disponibili: una barca rigida ma fragile è l’ unica scelta percorribile.
Chi vuole andare a spasso e non cerca il rischio può (e deve) invece spendere molto meno: una barca deformabile e che duri nel tempo è la scelta più giusta. 

Diceva Catalano (o Pazzaglia, non ricordo) ai tempi di quella fantastica trasmissione televisiva di Renzo Arbore: “E’ meglio essere ricchi e scoppiare di salute che essere poveri e malati”.
Giusto, ed io aggiungo:
“E’ meglio spendere meno e avere la barca che dura di più, piuttosto che spendere molto e dover buttar via tutto dopo qualche stagione”. 

Aggiungo anche quest’ ultima osservazione.
Negli ultimi dieci anni circa alcuni grossi cantieri stanno percorrendo per le barche da crociera la strada della leggerezza adottando però come materiale ancora il PRFV (vetroresina).
In altre parole non fanno altro che togliere spessore ad un materiale che pesa molto ma che resiste poco. Poi, qualche volta, quelle barche perdono il bulbo…
Inoltre vien da chiedersi: “cosa resterà di esse tra dieci o vent’ anni”? 

Amaramente devo ammettere che la cantieristica ci stia lentamente portando verso la stessa tendenza in vigore nel mondo dell’ abbigliamento, dell’ automobile dell’ elettronica e dei calzini: 

“CARO CONSUMATORE NON RIPARARE PIU’ NULLA !  L’IMPORTANTE E’ CHE TU COMPRI, CHE TU SPENDA POCO E CHE BUTTI VIA TUTTO IL PRIMA POSSIBILE”.

IT ’S EASY !! 

 

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