ARTICOLI E CHIACCHIERE COSE TRA NOI
 SETTEMBRE 2014
 ANCORA KORNATI  

Sono un po' sorpreso perché questo è il 103° articolo che ho scritto in questo sito; non credevo di arrivarci.

Ma la cosa che mi sorprende di più è che queste righe sono nate semplicemente perché, mentre me ne stavo a cercare delle foto da inserire in altri articoli già pubblicati, mi sono accorto di quante belle immagini io abbia di questo arcipelago e la loro visione mi ha fatto emozionare, pensando a un grande amore mai vissuto.
Così mi sono messo a scrivere: lo so che delle Kornati ho già ampiamente parlato sia nel gennaio e febbraio 2009 che nel maggio 2013, infatti oggi non aggiungerò altre notizie a quelle che già ho scritto; vorrei solo rendervi partecipi di qualche mia emozione e vi chiedo scusa se scriverò qualcosa di molto personale.

Immaginate allora di aver ormeggiato la vostra barca al moletto della Konoba di Andrjia, a Kravliačica; proprio lì dove vi invito tutti ad andare, prima o poi.
Nonostante la crisi economica e la miserevole scarsezza di entrate che vi ha fatto sudare per adempiere agli obblighi fiscali, nonostante lo spasmodico bisogno di attenzione da parte della vostra anziana mamma che vi vorrebbe sempre lì con lei, nonostante le ferie di vostra moglie in bilico con le reperibilità e il suo perenne malcontento, nonostante gli impegni sociali che vi siete assunti durante l’ anno con varie associazioni, nonostante i figli con tutte le loro attività e le loro richieste insomma, nonostante tutto, siete riusciti ad arrivarci anche quest' anno.

La vostra vecchia barca, che continuate ad amare nonostante le linee ormai d’ epoca e qualche ruga sulla coperta, anche per questa volta ha attraversato il Kvarner e vi ci ha portato; essa ora giace ben tirata tra le cime di prua che avete dato volta alle bitte cementate artigianalmente da Andrjia nel moletto e il corpo morto di poppa che, serpeggiando, si perde nell’ azzurro di queste acque splendide, tra scuri ricci e chiare roccette calcaree.
Siete a meno di un miglio dalle scogliere più ammirate del Parco e che domani farete vedere ai vostri amici che sono venuti via con voi.

Siete ridossati dalla bora e lievemente esposti a scirocco, che però l’ area anticiclonica sta tenendo ben lontano da qui; si preannuncia una stellata notturna bellissima dopo la cena alla Konoba e, mentre da soli col battellino vi avvicinate alle rocce dove giace il cassonetto delle immondizie, il vostro pensiero va al panorama che si vedrebbe dalla cima dell’ isola Kornat, dove non siete mai stati; la vetta più alta di quell’ arcipelago che vi sta dominando proprio da lassù, dietro le rade chiome dei pini che contornano la Konoba di Andrjia.
Così decidete che è giunto il momento di andarci e giurate che l’ indomani mattina, prima del levarsi del sole, sarete già in cammino lungo il sentiero (se esiste) che porta lassù.

La cena è stata squisita, come già vi immaginavate; Andrjia vi ha preparato come al solito ciò che aveva: polipo lessato con le patate che ribollendo insieme sono diventate rosse, un pesce di San Pietro alla griglia con quell’ olio che solo lì c’è e i cappucci tritati con un paio di pomodori.
Non c’è alcuna confusione intorno, solo il debole sciacquìo delle ondine tra le pietre e qualche belato di capra oltre le collinette.

Solo più tardi, ad oscurità completa, sentite ronzare il motore del barchino di Andrija che si perde nel buio verso le nasse che solo lui sa dove ha posato.
Sì, domani sentite proprio il desiderio di salire lassù; anche Simone, il vostro amico, ha deciso che verrà con voi.

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Un debole chiarore filtra dall’ osteriggio e, senza aver fatto colazionei, alle sei mettete piede sul moletto.
Dove sarà il sentiero, se c’è ?

Cominciate a salire il pendio dietro la Konoba e, dopo poco, incontrate una traccia che proviene da nord: sì è un sentiero, anzi è il sentiero.
Tra piccoli speroni calcarei, avvallamenti terrosi rossastri, erbe spinose, fiori acuminati che sembrano sfidare l’ aridità continuate l’ ascesa mentre il panorama verso sud-ovest prende vastità.
Gli arbusti vi accarezzano le gambe e qualche spina si fa particolarmente sentire, mentre gruppetti di pecore selvatiche gonfie di lana fino a terra vi precedono trotterellando e si allontanano da voi. Già l’ albero della vostra barca si perde in lontananza e il cielo assume le sfumature dell’ alba.

Dopo un’ ora durante la quale il sudore se ne è volato via insieme alla brezza che catabaticamente scende dal crinale di Kornat, mettete finalmente piede sulla sella del declivio che vi spalanca il panorama verso nord-est.
E’ un momento magico, anche se la cima dell’ isola è ancora lontana, perché ora la bora mattutina si apre a ventaglio e spinge sulle erbe paglierine che si inclinano, mentre il sole irradia tutto l’ infinito.

Le erbe sono come fili d’ oro che cambiano sfumature continuamente e il vostro respiro si riempie dell’ aria secca che viene del Velebit.

Ora si tratta di risalire lungo il crinale del monte, con direzione sud-est.
Sopra un muretto a secco, costruito chissà da chi, un uccellino lancia il suo richiamo di allarme ma non si sposta da lì: non sembra avere paura di voi, piuttosto pare dirvi che lì è casa sua e che, oltre a salutarvi, vi concede il passaggio ma purché la vostra vista sia breve.

Ancora una ventina di minuti e raggiungete il culmine dell' isola: lì trovate un piccolo impianto fotovoltaico che fornisce energia a un piccolo ripetitore, invisibile dal mare, e c’ è anche il sigillo di una stazione trigonometrica italiana risalente alla seconda guerra mondiale, ma il tutto non dà fastidio soprattutto perché è nulla rispetto a quel che vi avvolge.
Sembra che l’ universo si sia dato appuntamento lì per voi.

Il potente sfolgorare del cielo va dal dorato verso est, al celeste allo zenith, all’ azzurro verso ovest.
Il riverbero del mare verso Zut è accecante, mentre dalla parte opposta sotto di voi si disegna proprio l’ immagine di una carta nautica viva; così cominciate a battezzare tutte quelle isole e quegli scogli che durante l’ inverno avevate studiato un po’ sulla carta: Silo, Mana, Lavsa, Bisaga, Levrnaka, Kurba …

Il dorso di Kornat sfila verso sud-est, come la spina dorsale di un immenso dinosauro per metà dipinto d’ oro e per metà dipinto di grigio.

E la bora incalza e vuole entrare in voi, oltre i vestiti; non è cattiva come d’ inverno, ma è comunque prepotente.
La bora ha personalità perché non è mai uguale; è come una donna che cambia sempre vestito; ogni raffica detta la sua legge, ha le sue vibrazioni.
Comunque volgi lo sguardo verso di lei, se di petto o di fianco o riparandoti con il bavero della giacca, essa ti sorprende e ti scuote dentro.

Ti scuote, ti stringe lo stomaco, ti fa palpitare il cuore: è l' amore, quello grande, quello della tua vita, quello che hai atteso come quell' attimo di felicità che dura all' infinito, quello nell' esistenza del quale non hai mai smesso di credere.
Ed è quell' amore che alla fine (o all' inizio) hai incontrato : l' amore impossibile.
Quello che un attimo prima di condividere la felicità ti ha girato le spalle.
Quello che ti ha riempito il cuore di equivoci e di atteggiamenti falsi, perchè ha trovato piacere nel tuo disorientamento.
Quello che ti ha suggerito una cosa e poi ti ha ordinato di farne un' altra, perchè non sapeva cosa voleva.
Quello che confondeva qualsiasi amore con il possesso, perchè credeva che le persone fossero una proprietà.
Quello che pensava al tuo amore come alla ricerca del piacere solo per te, perchè il suo cuore era limitato.
Quello che vedeva il tuo approccio come l' attacco di un nemico, e si è armato per difendersi.
Quello che era pieno di problemi ma non ti permetteva di risolverli, perchè ti invitava al dialogo e poi lo interrompeva.
Era colei che non aveva compreso che amare significa offrire felicità senza chiedere nulla in cambio.

Così tu non hai avuto scampo e ti sei scoperto innamorato di un muro di egocentrismo.
Che peccato !
Eppure la vita in fondo è così semplice : una ricerca continua di felicità che non può far altro che contagiare gli altri e creare altre felicità.
Perché a che serve essere felici se non lo si condivide con gli altri ?
L' egoismo nella felicità è una bestemmia alla vita.

La bora riesce sempre ad asciugarti, meno quando sei in mare perchè allora ti solleva contro gli spruzzi delle onde.
Così ti senti ripulito, come dopo una confessione dal prete.
Così ti senti umile, perché sei costretto ad ammirarla per la sua forza.
Così ti senti buono, perché ti fa pensare a chi sta soffrendo più di te.
Così ti senti disponibile, perché contro il più forte vien spontaneo aiutare il più debole.
La bora fa parte di questo lembo di Mitteleuropa.
Dalla Carnia alla Slavonia all’ Illiria, accomuna in un unico abbraccio le pianure del Triveneto e le lagune dell’ Adriatico; ne ha condizionato la storia spingendo e sventrando le vele di Austriaci, Boemi, Dalmati, Istriani, Romagnoli, Triestini, Uscocchi e Veneziani (in ordine alfabetico).
Ancor oggi, che le ali degli aerei sembra facciano superare qualsiasi ostacolo scavalcando montagne e mari in pochi minuti, la bora sa dire la sua, facendo orientare le piste degli aeroporti in un certo modo e preoccupando i piloti.

Allora, seduti in cima a Kornat e immersi in quello spettacolo naturalistico, pensate a quanto siete fortunati; così una profonda gratitudine vi invade e resta con voi anche mesi dopo che ve ne siete tornati a casa.
Resta in voi e vale molto di più di una seduta dallo psicologo.
La località di Vrulije giace ancora all’ ombra sotto di voi, lungo le sponde della baia omonima, e il canale di Kornat è come un immenso turchese sul quale un pittore, un po’ pazzo un po’ maldestro, ha lasciato cadere alcune gocce di vernice dorata dal suo pennello sottile.
Azzurro e oro.
Oro e azzurro.
Che gioia poter godere dei colori !
Anche solo questo è di per se’ un dono immenso che Dio ci ha dato.
Ma perché ce ne dimentichiamo ogni giorno della nostra vita ?
Perché dimentichiamo la grande fortuna di essere qui in questi momenti ?
La fortuna di gioire e di soffrire.
Direte che sono pazzo a considerare una fortuna anche la sofferenza, ma non ci può esser l’ una senza l’ altra, così come non può esistere luce senza buio.
Entrambe sono un dono, l’ impareggiabile dono della vita.

Scendiamo ?
Vabbè !
Il resto dell' equipaggio mugugnerà quando, risalendo in barca abbarbicati sul pulpito, l’ ancora a prua farà “tlock” al vostro passaggio.
Poi magari qualcuno vi chiederà borbottando anche di metter su il caffè, ma sarà ugualmente bello: pensate a quante cose potremo raccontare e, se non ci riusciremo, pensate a quante immagini comunque resteranno stampate nei nostri occhi…

...E pensate a quale dolcissimo incanto, se quel muro che vi ha voltato le spalle potesse ora finalmente riuscire a leggerle dentro di voi.

Le foto sono state scattate nel 2013 da Simone Scarso e Luciano Michielin (grazie amici !)

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