Lo scorso mese di giugno, complici gli amici frocieristi che mi ci hanno coinvolto, sono andato al Salone Nautico di Venezia.
Denuncio tutta la mia scarsa “venezianità”
nel confessare che non ero mai entrato nell’ Arsenale di Venezia, esclusa una
sporadica esperienza di voga alla veneta di diversi anni fa, presso una società
remiera che lì aveva sede.…Esperienza fallimentare perché mi ha fatto render
conto di quanto fossi (e sono) assolutamente privo della tecnica e della
esperienza necessaria…infatti non ho fatto altro che far girare in tondo la
barca a velocità ridicola.
Ma non è questo l’ argomento su cui voglio
soffermarmi oggi.
Oggi, come si addice a chi abbia visitato
una esposizione di nautica, vorrei parlare di novità.
O meglio, non avendo le competenze per
analizzare tutte le novità, vorrei parlare delle impressioni che tale vista mi
ha lasciato, ovviamente con qualche spunto più fisico che tecnico (dove per
fisico intendo non collegato ai muscoli, ma alla Fisica).
Per cominciare, la cosa più eclatante è
che ho assistito all’ “inondazione nel mercato” del motore ibrido.
Nella intenzione degli espositori (tutti),
tale motore ibrido sarebbe un motore diesel tradizionale al cui albero motore
in uscita viene accoppiato un motore elettrico, prima di collegarsi all’ asse
di trasmissione dell’ elica.
Nelle informazioni tecniche degli
espositori (tutti), il loro modello è insuperabile, “non come quello presentato
nello stand accanto”.
Il fatto che mi ha lasciato molto
perplesso è che il motore diesel, per esempio da 150 KW (circa 200 CV), viene
associato con un motore elettrico da 50 KW (circa 70 CV).
Quest’ ultimo, oltre che spingere
proporzionalmente un terzo e quindi inducendo una velocità pari al 60% rispetto
a quella del diesel (le resistenze viaggiano circa col quadrato della velocità),
ha una autonomia di circa 1 ora.…poi occorre attaccarsi da qualche parte per la
ricarica… oppure accendere il diesel !
Certo l’ autonomia si può aumentare, basta
aumentare le batterie a bordo; con quali costi di produzione e di smaltimento
non si sa, con quale peso in più all’ incirca sì.
Cero l’ ideale sarebbe svincolarsi
completamente dal motore a combustione interna eliminando peso e inquinamento e
il sogno conseguente sarebbe l’ autonomia energetica e pulita, che però
attualmente è ancora del tutto irrealizzabile.
Porto un piccolo esempio: sulla mia barca
è istallato un diesel da 40 CV (29 KW); un motore elettrico da 29 KW è
compattissimo rispetto al diesel, occupa più o meno il volume di una tanichetta
da 10 litri; però per produrre 29 KW col sole attualmente occorrono circa 200
mq di pannelli fotovoltaici (opportunamente orientati e senza nuvolosità); sopra
un capannone ci starebbero, ma sulla mia barca sarebbe ovviamente impossibile
collocare tale impianto.
Senza contare che con le nuvole o di notte
resterei senza propulsione.
Quindi mi occorrerebbero comunque delle
batterie, che ovviamente pesano e occupano spazio… Molto di più di quello che
occupano il diesel e i serbatoi di gasolio.
Quindi, non potendo eseguire la ricarica
col fotovoltaico, occorrerebbe ricaricarle accendendo un generatore (che guarda
un po’ è un motore diesel), oppure attaccandosi alla rete (che guarda un po’ è
alimentata per la massima parte dalle centrali nelle quali si bruciano ancora
combustibili fossili).
Insomma non se ne viene fuori.
Ho visto anche una soluzione che reputo a
livello di “biennale d’ arte”.
Per la verità non l’ ho vista realizzata,
ma su modellino che vi propongo con le seguente foto.
Trattasi del progetto di cui ho riferito
poche pagine sopra: una grande area di pannelli fotovoltaici sopra coperta e
orientabile (senza definire come).
Purtroppo a volte (e spesso) insieme al
sole c’è anche il vento e una tale distesa di pannelli fa senza alcun dubbio da
vela, stavolta assai indesiderata.
Ho visto poi anche alcune forzature di
design con le quali non vorrei proprio aver a che fare sulla mia barca.
Per esempio su un day cruiser ho visto
installato questo paramare in plexiglass, buono ad impigliarsi nelle cime di
ormeggio e sui sostegni dei parabordi e pertanto soggetto a spezzarsi
facilmente.
Tutta un' altra musica, rispetto alle forme senza tempo create perchè ognuna con una propria funzione, come la forcola della voga alla veneta...
Continuando con le novità, nel settore
“vela” mi ha colpito una barca piuttosto singolare.
Infatti l’ hanno chiamata “Stramba”.
Purtroppo non l’ ho fotografata, ma ne
troverete qualche immagine pubblicitaria nel seguente sito: www.stramba.it
Avendo una opera morta a più piani come un
motoscafo di pari lunghezza ed essendo armata con due alberi (non uno davanti
all’ altro, ma uno di fianco all’ altro collegati in sommità da un arco) non
passa certo inosservata.
Quindi ho chiesto informazioni all’
espositore, il quale mi ha spiegato che la vela di prua è murata con rollafiocco
a prua, naturalmente, ma la sua penna può scorrere in sommità tra i due alberi
su una rotaia, adattandosi così alle mure che la barca prende: scorre a
sinistra navigando con mure a dritta e scorre a dritta navigando con mure a
sinistra.
“E la randa?” chiesi ancor più
incuriosito.
La randa è rettangolare, con boma in basso
e picco in alto simmetrici.
Quando si cambia di mure, i winch
elettrici fanno scorrere il tutto lungo la rotaia piazzata lungo i due alberi e
l’ arco superiore, così la randa sale lungo un albero e scende lungo l’ altro
di fatto rovesciandosi: quel che prima era boma diventa picco e viceversa…
Il grosso vantaggio (così mi è stato
detto), oltre ad avere il flying bridge libero da alberi e boma, è che la randa
presenta sempre la stessa faccia rivolta la vento e pertanto può essere
eseguita con profilo ad alto rendimento.
Lascio ogni commento a chi legge (e sa
qualcosa di barca a vela).
Continuando con le (mezze) novità ho visto
anche il proliferare dei motori f.b., che giustamente stanno soppiantando gli
entrofuori-bordo (sempre pieni di problemi per la manutenzione del piede
poppiero) e, tra questi, il f.b. diesel.
Un propulsore pesante e corposo, ma
potente ed affidabile.
Unico problema: il costo che lo rende
adatto solo ad una utenza di carattere professionale.